Siamo arrivati a Toronto a Festival iniziato, è vero. Allora forse qualcosa ce lo siamo perso e le nostre considerazioni possono peccare di oggettività. Nei primi giorni c’è l’eccitazione, la curiosità, la carica e tutto il meglio che una festa che si rispetti invita ad assaggiare. Ma il Tiff non ci ha convinto. Sembra un contenitore gigante, con poca personalità.
Non ci sono piaciuti gli spogli, lilipuziani red carpet, che sembrano così belli in tv grazie alle sapienti mani di operatori, tecnici della luce e montatori. Non ci è piaciuto il sistema delle complicate rushline. Non ci è piaciuta l’aria condizionata siberiana nelle sale. E infatti ci siamo ammalati. E ci è mancato quel jingle di presentazione che sembra di buon auspicio e prepara l’atmosfera alla proiezione. Qui, dall’altra parte dell’oceano, niente tendina. E il piacere della visione è dimezzato sul nascere. Si usano, invece, i quiz con risposta wireless prima degli screening a pagamento del pubblico comune, che accumula così punti virtuali da spendere in altri biglietti o in pop corn al burro.
Sostanzialmente, oltre a essere un posto dove si comprano e vendono film e dove si ripete ottuso il rito orgiastico delle feste notturne, a Toronto c’è ben poco da osservare. Anche il divertimento sembra un cinico obbligo. A fronte di costumi sessuali molto aperti, c’è una grande campagna anti Aids in corso. Ma la mentalità antiquata e bigotta si legge nelle prime pagine dei giornali, dove la discussione può essere focalizzata sulle questioni più inique. Su Metro Toronto del 10 settembre 2012, ad esempio, il focus era puntato sull’esigenza delle famiglie perbeniste e religiose di esimere i figli dalle lezioni scolastiche con tematiche omosessuali o legate alla contraccezione.
A Toronto ci si può perdere in un centro commerciale che comincia a Dundas St e Yonge e finisce a King W e Peters St (cioè quasi gli estremi della città). Eaton Centre si estende piani sotto e sopra la terra collegando palazzi con ponti e strade con le sopraelevate, ma dove sostanzialmente è tutto spaventosamente uguale e scadente.
Il rischio di un festival senza o con poche anteprime mondiali porta con sé molti rischi. E benché la funzione di wholesale nordamericano del film la svolge a pieni voti, è un’esperienza un po’ arida. Soprattutto per un addetto stampa. Che qui conta quanto il due di coppe, tanto per essere diretti. Anche la tanto decantata democraticità, del resto, ha i suoi lati negativi e l’accesso agli eventi non sembra mai una conquista meritata.
Il programma del Tiff è veramente troppo ampio e dispersivo. Inquietante e disumano almeno quanto i grattacieli di vetro che inurbano la città, boriosi, prepotenti e coi deliri di onnipotenza uguali ai cittadini che li abitano. In attesa di conoscere l’esito della scelta del pubblico, curiosiamo ancora un po’ per la città, alla ricerca di qualche sorpresa. Di qualche posto per mangiare che non sia un franchising, di qualche succo di frutta che non abbia l’aggiunta di coloranti che copre l’intero abbecedario, di qualche negozio che non abbia le stesse cose di due negozi prima.
Per passare a Venezia, oltre al problema degli autoctoni scortesi, di cui abbiamo già ampiamente dissertato, del cibo spesso pessimo – anche questa caratteristica che sembra comune alle mete festivaliere – e ai proibitivi prezzi degli affitti durante la kermesse (che c’entrano poi i giornalisti, che nella maggior parte di casi vengono ampiamente sfruttati e sottopagati?), la Mostra del Cinema resta un bell’evento e col senno di poi, anche nelle peggiori edizioni, presenta una decorosa selezione.
Cannes infine è altro ancora. Veloce. Snob. È la più intellettuale. Cannes è per i cinefili che restano ore sotto la pioggia torrenziale, anche coi tacchi a spillo, i vestiti da sera e le acconciature da grande soirée. Cannes è red carpet, eleganza, stravaganza, gioielli. Cannes è privilegi dell’aristocrazia, dei ricchi, dei potenti. Cannes è cultura, ma è anche l’ammaliante perfezione delle prostitute d’alto bordo, sirene incantatrici dai corpi statuari. È un festival per i registi e per i critici. Quindi là, per quanto si possano inizialmente incontrare difficoltà, per quanto il razzismo legato al colore del badge che spudoratamente espone il rango a cui si appartiene limiti il proprio raggio di azione, ci si sente a casa e benvenuti. E si sente di star svolgendo una funzione utile per la collettività. Per un giornalista cinematografico è uno degli eventi più appaganti in assoluto.
Ancora indecisi se saltare direttamente al Festival di Roma, che sotto l’egida di Müller attira un cinefilo come le formiche sul miele, oppure fare prima un piccolo scalo ad Abu Dhabi dove ad ottobre inoltrato si terrà l’omonimo festival, già stiamo pregustando quell’attimo magico che genera il buio, appena le luci si sono spente e si sente tossire la gente. Quando tutto può ancora accadere, e forse si sta per assistere a un nuovo sconvolgente capolavoro…
Federica Polidoro
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