E anche Lorenzo Bruni emigra. Ad Amsterdam
A colloquio con il direttore di una nuova fondazione olandese, fresco di nomina. Lorenzo Bruni guiderà la Binnekant21 di Amsterdam. E ci svela ogni dettaglio in questa intervista. Progetti, idee, molto entusiasmo e qualche riflessione sulla crisi. Con un occhio al Nordeuropa e uno all’Italia.
Un italiano ad Amsterdam. Un bel goal per il giovane Lorenzo Bruni, curatore fiorentino tra i più vulcanici del Paese, che a sorpresa si porta a casa un incarico come direttore artistico della neonata Binnekant21 Foundation. Lo spazio, che ha ultimato la prima fase dei complessi lavori di ristrutturazione, inaugurerà il prossimo 6 ottobre il programma espositivo della fondazione, con il primo step di un ciclo di mostre in cui il tema del dialogo e della riflessione intorno ai luoghi, ai ruoli, alle pratiche dell’arte è assolutamente centrale. Abbiamo incontrato Lorenzo, in questo momento travolto dai preparativi e in pieno via vai Italia-Olanda. Ci ha raccontato tutto sulla fondazione e sull’impostazione che darà alle attività. Concedendoci anche qualche anticipazione sui nomi degli artisti in mostra e su due special project, firmati dagli italiani studio ++.
Raccontami dello spazio. Che edificio è, che storia ha e in che area della città si trova?
La fondazione si trova in città, in un antico palazzo del Seicento, appartenuto fino a qualche anno fa a Marina Abramović. Siamo tra la stazione dei treni e la famosa zona rossa. Il quartiere negli anni ha subito una forte rivalutazione urbanistica che ha portato, prima dell’estate, a trasferirsi proprio nella strada accanto alla fondazione la prestigiosa istituzione De Appel, diretta da Ann de Mester. Inoltre, al di là del porto ha inaugurato in primavera una serie di nuove architetture tra cui l’EYE, il nuovo museo del cinema.
La Binnekant21 è una fondazione pubblica o privata? Con che fondi lavora?
Nasce come fondazione privata con la partecipazione di finanziamenti sia pubblici che di altri privati. Di volta in volta stabiliremo dei rapporti con partner di versi, in base ai differenti progetti da realizzare.
Con cosa cominci il tuo programma?
La fondazione nasce prima di tutto per creare nuove connessioni e sinergie tra le varie istituzioni presenti nei Paesi Bassi e con i molti artisti internazionali che si sono trasferiti lì. In accordo con lo spirito del progetto, si parte il 6 ottobre con un ciclo di mostre che coinvolge proprio alcuni artisti il cui lavoro ruota intorno al concetto di appartenenza, di dialogo interculturale, di incontro. Il titolo è Mi scusi… Ma dove mi trovo?: una domanda che può riferirsi allo spazio fisico della fondazione, al ruolo della cultura nella città di Amsterdam, ma anche a ciò che intendiamo per arte e sistema dell’arte. È un po’ il biglietto da visita con cui la fondazione si presenta alla città, puntando a una ricognizione delle energie che circolano nei Paesi Bassi, in dialogo con il dibattito culturale internazionale. Lo spazio è quello del basement, un grande salone visibile già dalla strada grazie a un ampio portone a vetri. Lo spettatore si troverà immediatamente di fronte alla questione del limite tra spazio privato e pubblico, affrontata poi dalle varie opere in mostra.
Gli artisti?
Per questa prima collettiva del ciclo ci saranno il portoghese André Romão, Ahmet Öğüt dalla Turchia e poi la nostra Rossella Biscotti.
Che idea hai per la fondazione? Come funzionerà sul piano dei contenuti e dei servizi?
I lavori di ristrutturazione non sono ancora terminati. Per questo motivo, in accordo con la presidente, Anka van der Meer, abbiamo deciso di aprire i vari spazi nel tempo, progetto dopo progetto. Il primo è questo ciclo di mostre ospitato nel basement, mentre il prossimo anno attiveremo le residenze al secondo piano, i talk e le presentazioni di video d’arte e ancora le mostre di artisti storici e non, all’interno dello spazio della collezione che si trova al primo piano.
Ci sono anche degli special project a cadenza regolare. Uno per il sito web…
Sì. Ogni due-tre mesi inviterò un artista a interpretare la homepage del sito della fondazione con un’immagine, un testo o un intervento di altra natura. Il progetto si chiama 800x600dpi. Nei prossimi mesi sono in programma l’opera di Jonathan Monk e poi quella di Shimabuku. L’onore di inaugurare il progetto ce l’ha il collettivo studio ++ con l’opera Navigare, una presa diretta di immagini del mare e delle sue innumerevoli mete, come l’Antartico o New York visti dall’albero maestro di una nave da crociera. Un lavoro che concretizza la questione latente negli ultimi quindici anni attorno alla veridicità delle immagini, constatando, senza critiche, che la creazione dell’immagine avviene nel momento della sua distribuzione.
… e poi il progetto per la facciata.
Esatto. In via del tutto eccezionale, per l’evento inaugurale anche questo è stato affidato a studio ++. Di volta in volta chiederemo ad artisti internazionali di confrontarsi con il problema della riconoscibilità di un certo luogo all’interno dello spazio urbano, riflettendo su cosa intendiamo oggi per confronto con l’architettura. L’opera di studio ++ è una frase installata sulla facciata ma visibile solo attraverso una applicazione per iPhone o iPad: Hook of Desire. È questo il nome che il famoso esploratore e navigatore olandese Willem Barents diede verso la fine del Cinquecento a un promontorio a forma di uncino dei mari del nord. Gli artisti collocano il nome di un luogo immaginario, ma reale al tempo stesso, sul prospetto del palazzo, evidenziando un luogo altrettanto immaginario e concreto come quello del dibattito sull’arte contemporanea.
Com’è la situazione artistica in Olanda e, nello specifico, ad Amsterdam? Che temperatura hai registrato?
C’è una forte rete di istituzioni che negli anni ha attratto artisti provenienti da tutte le parti del mondo. Oltre al De Appel mi riferisco alla Rijksakademie, da cui recentemente sono passati – per citare solo gli italiani – Rossella Biscotti, Rosa Barba, Francesca Grilli, Anna Franceschini, Giorgio Andreotta Calò. A fine settembre, dopo tantissimi anni, riaprirà lo Stedelijk, che infonderà (si spera) nuova energia. La fondazione è consapevole che il progetto nasce in un momento particolare, visto che proprio adesso in Olanda hanno ridotto bruscamente i fondi statali. Ma la voglia di realizzare progetti, di restare, è aumentata anche negli artisti. Sarà interessante trovare assieme nuove modalità di interazione tra pubblico e operatori culturali.
In Italia è un bollettino di guerra: chiudono musei, fondazioni, giornali, gallerie. E chi non chiude fa enorme fatica. Anche tu, come molti altri italiani, hai trovato la tua occasione all’estero. Non ci resta che la fuga? La parola resistenza ha ormai il sapore dell’utopia?
La parola resistenza è fondamentale, ma forse riguardo all’arte preferisco la definizione del “fare”. Come ho imparato con anni di collaborazione con lo spazio non profit BASE/progetti per l’arte a Firenze, con gente come Pier Luigi Tazzi, Gino Giannuizzi e Fabio Cavallucci, è importante trovare il punto d’incontro attorno a una “esigenza” comune di dialogo e scambio culturale, che apra a nuovi significati, a nuove ragion d’essere. Adesso, con la persistenza del concetto di crisi economica – o meglio di sistema -, questa tipologia di richiesta la sento molto forte, anche in Olanda, così come è stata ed è ancora molto forte nei Paesi dell’Est, dalla Polonia alla Lituania, in cui mi trovo adesso per discutere di un progetto per il prossimo anno a Klapedia.
Nel caso dell’Italia, però, il vero problema che costringe gli operatori culturali a scappare non è la mancanza di finanziamenti, ma la mancata presenza di partecipazione del pubblico. Uno scollamento che ci portiamo dietro dagli Anni Sessanta; e non è un caso che molti che lavorano fuori sentano sempre di più l’esigenza di realizzare progetti con nuove modalità di coinvolgimento, capaci di stimolare un dibattito più ampio. In quest’ottica, una grande responsabilità ce l’hanno le riviste d’arte che, per costituzione genetica, negli anni hanno lavorato su questo fronte. Speriamo che i musei, i centri d’arte e le gallerie seguano il buon esempio.
Helga Marsala
BINNENKANT21 ART FOUNDATION
Binnenkant 21 – Amsterdam
[email protected]
www.binnenkant21.com
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