Marcio Kogan. Vedersi guardare
È uno dei padiglioni nazionali più coinvolgenti. Non foss’altro per quell’invito al riposo. E che può essere attuato utilizzando le amache messe a disposizione dei visitatori. A raccontare il Brasile alla Biennale di Architettura di Venezia è Marcio Kogan.
I due volumi che compongono il padiglione brasiliano (Mindilin, Palanti, Marchesin 1964) sono uniti da una galleria coperta, una sorta di raggio di luce (di cemento) a forma di C, che si estende anche all’esterno dell’edificio. I materiali usati sono il legno e il vetro per l’edificio più basso sul fronte, mentre i mattoni e il gesso bianco assemblano il volume del retro.
Sulla combinazione di questi quattro elementi-cardine posa l’intera storia dell’architettura brasiliana. Storia che quest’anno, alla 13. Biennale di Architettura, ha irrotto nella contemporaneità grazie a una doppia presenza. Il curatore Cavalcanti ha, infatti, ipostatizzato una linea del tempo che interseca i progetti di Lucio Costa (Lione, 1902 – Rio de Janeiro, 1998), e Helio Oiticica con quelli di Marcio Kogan (San Paolo, 1953), in un comune terreno di pura ConVivência.
Marcio Kogan è un architetto affermato, conosciuto per la sua potente capacità di rievocazione contemporanea di emblemi della modernità quali Paulo Mendes da Rocha, Rino Levi, Affonso Reidy, Lina Bo Bardi, ovviamente Oscar Niemeyer e dunque anche Lucio Costa. Con Kogan abbiamo parlato di questo padiglione.
Quale tipo di attitudine di progetto, quale caratteristica del tuo lavoro ti ha portato sul Common ground della Biennale?
Una parte rilevante del common-ground dell’architettura brasiliana risiede nel dialogo costante con il modernismo. La nostra metodologia di lavoro, in studio, non esita ad assumere questa relazione fra le basi dell’architettura. Ma, in alcuni casi, si possono trovare problemi comuni e comuni soluzioni, preservando le differenze di ciascuna epoca. Nonostante questo, personalmente, quando ho terminato i miei studi, prediligendo una formazione multidisciplinare, non mi sono trovato particolarmente influenzato dagli architetti, ma piuttosto da varie aree di interesse e da figure come Ingmar Bergman, Federico Fellini, Andy Warhol e il regista francese Jacques Tati.
Puoi brevemente descrivere la scelta della tua installazione e le sue intenzioni al Padiglione brasiliano della 13. Biennale?
Si tratta dello svolgimento di un film nel quale lo spettatore stesso si scopre guardare attraverso spioncini posizionati lungo una parete, posta proprio al centro di un’ala del padiglione brasiliano. Ogni peep-hole è stato concepito come un piccolo buco dal quale catturare momenti di vita domestica all’interno di un’abitazione residenziale, che, come studio, abbiamo recentemente disegnato. In totale abbiamo posizionato 18 camere fisse mostrando differenti aree della casa in cui accadono piccole storie, sketch che riflettono la vita e le visioni di una famiglia e dei suoi domestici; avvenimenti che prendono posto in territori comuni come ricorrente, riconoscibile situazione sociale nella nostra cultura. Lea Van Steen ha co-diretto il film con me.
In parallelo, in convivenza con questo progetto, nel padiglione ti è stata affiancata un’installazione di Lucio Costa. Com’è possibile tradurre, interpretare e trasporre il modernismo nella contemporaneità?
L’architettura attuale brasiliana è strettamente connessa con la propria eredità moderna. Per molti decenni è stata un importante peso che insisteva e gravava sulle nostre spalle. Oggi abbiamo imparato a venire a patti con la produzione architettonica che, tra il 1930 e il 1960, ha costituito la più importante estetica struttural-progettuale nel mondo. C’è una differenza in ogni contesto a seconda dei diversi periodi che si analizzano, ma l’architettura moderna brasiliana è sempre il principale riferimento sia per l’esattezza, la precisione del segno, che per il radicalismo concettuale di progetto.
Quale tipo di specifica affinità lega le tue visioni, la tua linea di progetto a quelle di Lucio Costa?
Soprattutto, ritengo che ci accomuni l’idea, il fatto che costruire un’architettura brasiliana significhi mantenere un dialogo costante con la produzione internazionale. È piuttosto bello e sempre più raro, nel mondo, ritrovare il desiderio di Lucio Costa di mantenere l’essenza culturale di un Paese nell’architettura che erige, senza rinnegare l’avanguardia europea nel tempo e nella storia. Uno dei suoi progetti, Conjunto residencial di Guinle Park, è uno dei suoi più perfetti disegni di architettura, che mostra una relazione integra, intatta fra il clima e il paesaggio intorno. In esso giacciono anche gli stilemi principali dell’architettura europea moderna, eccetto il fatto che in Costa vengono tropicalizzati. Quella è una vera lezione di architettura con la rivelazione di una sua direzione precisa e d’eterna ispirazione.
Potresti anticipare qualche dettaglio sulla tua futura installazione che farà parte del percorso espositivo di Interni, al prossimo Salone del Mobile di Milano?
Come sempre, all’inizio di ogni mio progetto, si comincia a lavorare su un’enorme nuvola di significati, temi e idee, dove uno non riesce a vedere nulla, ma proprio nulla, fino a che non arriva il momento giusto. Al tempo giusto.
Atto Belloli Ardessi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati