‘Priscio’ è una di quelle parole di cui la lingua italiana avrebbe un gran bisogno. Nel dialetto barese descrive lo stato d’animo di chi ha voglia di fare una cosa divertente e la sta facendo o la farà presto, ma descrive anche l’oggetto stesso del divertimento (“Ho il priscio di andare a quel concerto”, ma anche “quel concerto è un priscio”). L’oggetto del priscio è una cosa prisciosa, mentre chi prova priscio è prisciato o imprisciato. Spegnere il priscio in qualcuno imprisciato significa sprisciarlo. L’uso del sostantivo e dei verbi derivati è molto articolato e, a seconda del contesto, può avere diverse sfumature. “Sto di priscio”, per esempio, equivale a qualcosa come “sono dell’umore giusto per divertirmi”, mentre “togliersi un priscio” significa “fare una cosa divertente che si voleva fare da tempo”.
Bene.
Un paio di settimane fa, avevo il priscio di passare una giornata in un parco divertimenti, uno di quelli a tema. Non ci ero mai andato prima, questioni generazionali: quando ero piccolo io esisteva solo Gardaland che, da Bari, era decisamente troppo lontano. Insomma, mi volevo togliere questo priscio e, a trentasei anni, era decisamente arrivato il momento di toglierselo.
Il parco più vicino a Bari si chiama Miragica – Terra di giganti (mezz’ora di macchina sulla statale) ed è accanto a un villaggio-outlet.
Prima di entrare (io e lei) abbiamo letto il regolamento del parco condividendo quasi tutte le norme di civile convivenza e forse storcendo un po’ il naso per la regola che ci obbligava a non fumare durante le file. All’ingresso non c’era nessuna fila, ma abbiamo dovuto percorrere una lunga serpentina per arrivare alla biglietteria.
All’entrata ci siamo subito chiesti se ci fosse una Casa Stregata ad aspettarci insieme alle altre attrazioni, per spirito barthiano (il mio) e wallaciano (il suo). Sarebbe stato – come dire? – un priscio ulteriore avere l’opportunità di entrare nella Fun House dopo aver letto quel che abbiamo letto. Ma niente casa stregata e montagne russe fuori uso (bella botta di realismo per entrambi).
La terra dei giganti è stata accogliente e divertente, abbastanza prisciosa, ma mancava qualcosa. Eravamo circondati da oggetti giganti che sovrastavano le attrazioni e qualche volta finivamo in bocche spalancate che spuntavano dalle rocce di plastica, ma sembrava che la terra dei giganti fosse stata abbandonata, la presenza dei giganti era piuttosto un’assenza. Il parco non ci stava raccontando quello che aveva promesso di raccontarci: io e lei persi in una terra popolata da uomini spropositati e da cui potevamo fuggire solo affrontando rapide e cascate (le attrazioni acquatiche), entrando in un castello di carte misterioso (il cinema 4d) o ritrovandoci a essere sballottati su un enorme portacandele rotante.
Eravamo semplicemente in un posto dove c’erano le giostre e si vendevano mele caramellate. Bello, priscioso, ma niente di più. Per carità, Miragica ci ha fatto divertire parecchio (testimone la fotografia delle nostre facce urlanti all’interno di una canoa di finto legno che precipita lungo una scoscesa rapida), ma niente di più. Sarebbe bastata una struttura narrativa, qualcosa che desse l’impressione di un’idea complessiva, di una storia.
Lo so, probabilmente è un mio problema, una mia debolezza, una deformazione professionale cercare ovunque una coerenza narrativa, ma questa ipersensibilità mi porta a notare spesso le incoerenze formali e a subirle come una violenza. Nelle pubblicità, nei film, nei telefilm, nei romanzi, nelle recensioni dei romanzi: ovunque vedo narrazioni sbagliate, errori madornali di struttura, totale incomprensione della sostanza delle cose.
Per esempio. Leggo le recensioni di un fumetto (ok, si dice graphic novel) pubblicato da Coconino: Il signore dei colori di Roberto La Forgia. Le recensioni parlano tutte di un ottimo esordiente che vive al nord ma ambienta il suo primo lavoro lungo in un paesino della Puglia; tutte le recensioni dicono che il fumetto tratta in maniera delicata ma decisa la pedofilia. Il resto sono fronzoli, la sostanza delle recensioni è sempre la stessa. Compro il fumetto e lo leggo tutto d’un fiato: non trovo la pedofilia (se non come sfondo secondario della storia), ma trovo tante cose che non c’erano nelle recensioni. Innanzitutto trovo una provocazione al lettore che compra un fumetto che ha come titolo Il signore dei colori ma è realizzato utilizzando solo il bianco, il nero e l’arancione; poi trovo una storia di bambini di periferia, un lirico South Park meridionale; trovo anche disegni scarni di rara efficacia che si alternano a doppie pagine descrittive, paesaggi esatti, quasi impressionistici; trovo un racconto di formazione sentimentale più che sessuale; trovo persino qualche fuoco artificiale meta-narrativo.
Trovo, in definitiva, tutto quello che non ho trovato nelle recensioni di questo fumetto e mi chiedo se forse il problema più grande sia che troppa gente ha perso il priscio di fare bene le cose che fa.
Cristò
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