Politici, ascoltate!
Mi capita sempre più spesso di essere invitato all’estero a tenere lezioni e seminari di formazione e aggiornamento professionale per politici e amministratori locali sui temi della produzione culturale e creativa. È un’esperienza interessante e per me abbastanza insolita, perché in Italia non mi è mai stato chiesto niente del genere.
In Italia si preferisce organizzare convegni in cui i politici e gli amministratori fanno passerella, con qualche trafelato intervento in apertura o in chiusura della manifestazione, non raramente del tutto slegato dai contenuti effettivi del convegno, quando non in aperta contraddizione con quanto emerso dai lavori. Sembra quasi che, se il politico o l’amministratore locale si fermano ad ascoltare e a riflettere, vuol dire che non sono abbastanza importanti, perché più importanti si è, meno tempo si ha per ascoltare.
Certamente non tutti, ma alcuni dei guai in cui ci troviamo oggi nel campo delle politiche culturali (e, temo, non solo quelle) dipendono da questo: avere una classe di politici e amministratori che non hanno o non vogliono avere il tempo di ascoltare idee nuove, riflettere, porsi dubbi non retorici, e quindi avere una qualche idea chiara e strutturata su ciò di cui parlano e decidono. E questo si riflette sul modo in cui si lavora: in Italia è fin troppo frequente che progetti di sviluppo culturale partiti con determinate premesse si arenino o prendano una direzione sbagliata perché coloro che li hanno voluti e a volte sostenuti non si erano mai presi veramente il tempo di capire cosa stavano promuovendo e sostenendo e quindi finiscono per snaturarne i contenuti e vanificarne il senso. Con spreco di risorse pubbliche, e a volte anche private.
Ci viene spesso ricordato che la politica è un mestiere che ha bisogno di elevate professionalità. Ma sarebbe anche interessante capire in cosa consistono gli standard professionali di questo mestiere. Tutte le competenze oggi hanno bisogno di un aggiornamento continuo, figuriamoci quelle complesse e multiformi della politica e dell’amministrazione locale. Quando vedrò professionisti della politica che, prima di parlare di cultura, invece di attaccarsi alle solite formule retoriche insensate e controproducenti che ci hanno infestato per decenni con i risultati che tutti vediamo, vorranno fare uno sforzo reale di capire, penserò che questo Paese ha ancora una possibilità di utilizzare la cultura come una reale leva di sviluppo. Fino ad allora, mi permetto di mantenere un costruttivo scetticismo.
Pier Luigi Sacco
docente di economia della cultura – università iulm di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #8
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