Daniele Ciprì, sempre cinico

A vent'anni esatti dagli esordi di “Cinico Tv”, programma che ha segnato un'epoca, Daniele Ciprì torna nelle sale cinematografiche dopo essere passato in concorso a Venezia con il suo primo film da regista solista. “È stato il figlio” è un film che sintetizza le tante ispirazioni avute in duo con Franco Maresco dentro un percorso che punta verso nuovi lidi. Sempre rigorosamente cinic style.

Dopo Venezia, quali nuove?
Sono stato a Toronto, dove ho ricevuto un’accoglienza inaspettata. Il film ha riscosso l’interesse di Paesi lontani, come l’Argentina. L’ho da poco presentato in Sicilia e a Palermo. Sono soddisfatto e un po’ affaticato.

Sei tornato alla regia, questa volta da solo e su una storia di Roberto Alajmo. Come ci sei arrivato?
Dopo la separazione artistica da Franco Maresco avevo un po’ chiuso con il cinema. Poi Marco Bellocchio mi ha chiamato per fare la fotografia di Vincere. Poi i produttori Alessandra Acciai e Giorgio Magliulo mi hanno proposto la storia.

Come è stata la gestazione di È stato il figlio?
Ho atteso un anno per capire come trascrivere in immagini la storia di Alajmo, perché non mi evocava immagini, fino a che un giorno, in posta, vedo questo signore che racconta storie della sua famiglia. Nessuno lo ascolta, sembra un tipo alla Forrest Gump, però a me ricorda un po’ Mimmo Cuticchio, puparo e cuntista. Da lì sono partite le visioni.

Qual è il senso profondo di questa storia?
È un film fatto per la gente che registra i problemi di una famiglia siciliana, ma che potrebbe anche essere italiana. La ricerca di denaro, il voler apparire e sentirsi importanti; è la miseria della ricchezza ostentata, di quella povertà che si finge ricca e poi alla fine è nulla.

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Daniele Ciprì

Hai girato in Puglia, perché?
Ero stanco di aspettare una “possibilità” da Palermo e quando la film commission pugliese mi ha dato la disponibilità, mi sono trovato a fare un film su Palermo girato nel quartiere Paradiso di Brindisi.

Dalle tue dichiarazioni sul film, sembra che tu nutra per Palermo un ambivalente sentimento di amore e odio…
Volevo girare stando lontano da una città che non disprezzo, anzi mi dà grandi emozioni e idee. È un luogo dove ci sono le potenzialità per fare tutto ma non si fa nulla. C’è stata tanta illusione. Si è convinti di fare qualcosa in più di prima ma il vero problema è che non si sogna e si respira ancora un’aria pesante.

Ci sei cresciuto: com’è cambiata?
Ci sono cresciuto e vi ho lavorato: avevo uno studio fotografico, ero artigiano. Quando ho conosciuto Franco Maresco è iniziato un grande periodo di sperimentazione. Urlavamo da una città in cui non c’era nulla. Crescendo, ti rendi conto che Palermo non respinge soltanto te: non vuole nessuno. Così ho deciso di osservarla da lontano, almeno non ci rimetto la pelle. Però non sono andato al nord, ora sto vicino Siracusa e questo mi fa felice.

Il tuo film è visionario, grottesco e ha un ritmo rocambolesco. È veloce, ritmato e si nutre di solo di inquadrature particolari. Sembra quasi un fumetto, a me ha fatto venire in mente Alan Ford.
Io non so disegnare molto bene però quando penso a una storia devo tradurla subito in un  immaginario che è il mio. Devo vedere per esempio una torre o una luce.

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Daniele Ciprì – E’ stato il figlio

Il cast è ricco di attori bravissimi. Tu li hai trasformati in maschere, dal cuntista alla nonna.
Il cuntista, l’uomo della posta, è in realtà il simbolo di una fine. La nonna è spaventosa, specie nel romanzo di Alajmo, dove si descrive un matriarcato molto presente. Io ho voluto equilibrare questa figura, ma nel romanzo è la nonna che detta le condizioni, è lei che, in un crescendo rossiniano, rappresenta l’apice della storia e della famiglia.

Le scene finali accelerano verso un gorgo che sprofonda la storia in una sorta di tragedia greca. A chi ti sei ispirato per creare il personaggio del protagonista Nicola Ciraulo, un enorme Toni Servillo?
Il mio Ciraulo raccoglie il ferro di navi morte, ma nel libro è un lavoratore socialmente utile. È uno che, come si dice a Palermo, lavora per poter “calare la pasta”. Ciraulo è un po’ come Homer dei Simpson.

I fumetti sono una tua fonte d’ispirazione?
Penso spesso ai cartoni animati, specie a quei vecchi personaggi della Warner o della Barbera. Lo facevo già in passato. Gatto Silvestro o Willy il Coyote, ma anche Stanlio e Ollio, sono per me i modelli di una “disperazione con il sorriso”.

Che tu filmi in modo surreale…
Mi viene naturale ritrarre la realtà in questi termini, usando questo registro visivo. Sono convinto che la gente vada al cinema non per vedere la realtà, che spesso è massacrante e difficile da sopportare. Come regista devi disegnarla, renderla gradevole e innaturale. Filmare il reale non è cinema per me. Così, quando si presenta una storia, cerco i luoghi dove questa si possa trasformare.

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Daniele Ciprì – E’ stato il figlio

È stato il figlio è un film con un messaggio morale.
Non volevo fare un film moralista, volevo però riflettere su una condizione umana per cui, ancora oggi, la gente si rovina: con i gratta e vinci, per esempio, o in tanti altri modi. Ciò mi ha dato la rabbia necessaria per raccontare questa storia. La condizione umana è la cosa più interessante per me. Quando, ad esempio, il cuntista della posta narra la storia dell’uomo colpito dal fulmine, quella è una storia vera. Arriva da un Tg regionale. L’ho sentita mentre stavo scrivendo e mi sono detto: devo raccontarla.

È un caso di realtà che va oltre la fantasia, un assunto che avevate ben sviluppato con Cinico tv e che ha segnato un’epoca.
Credo che oggi Cinico tv non potrebbe più esistere. Potrebbe continuare dal punto di vista comportamentale ma non politico. Peccato che non ci sia più, è stato un periodo d’incazzamento meraviglioso che dall’amore per il cinema inventava un modo di raccontare. Era una forma nuova, che arrivava alle otto e mezzo in casa delle gente e la scioccava.

Come lavoravate con Maresco?
Non smettevamo di condividere e studiare strategie. Eravamo dentro una battaglia continua. Univamo le forze dietro la macchina da presa e ci riusciva di fare cose straordinarie. Poi però ogni cosa finisce. Io non tradisco il passato. La cosa che mi dispiace è che, non so se sono nel giusto, però è stato lui che ha litigato con me. Io mi sono reso conto che occorreva chiudere un registro per fare del lavoro nostro, ma l’idea non è stata corrisposta. Noi non eravamo come Franco e Ciccio o come Stanlio e Ollio.

Con Totò che visse due volte avete suscitato un caso e avete contribuito a cambiare la legge sulla censura.
La distribuzione è stata interrotta subito ma è stato un errore giudiziario abbastanza vergognoso. Ci avevano censurato per “vilipendio alla religione di stato”. Peccato che quel reato non esistesse più da tempo. Noi eravamo un mezzo di ribellione e lo abbiamo pagato con il nostro lavoro.

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Daniele Ciprì e Toni Servillo

Però avete lasciato delle tracce.
Soprattutto, facevamo cinema. Io facevo quei film perché volevo emozionare attraverso un registro diverso. Adesso voglio continuare perché il cinema è emozione. Ora sto scrivendo una storia di amicizia.

Cambierai registro?
Non penso che tradirò il mio stile, perché nasce da cose che mi hanno segnato, come la mia infanzia. Ti faccio un esempio: per costruire la famiglia Ciraulo ho incollato qualcuno della mia famiglia su di loro. Devi stare dentro la tua storia. Ho girato il film in sole cinque settimane perché l’ho vissuto intensamente.

Per questo motivo sei arrivato in concorso a Venezia.
Con Franco ci hanno invitato tante volte, ma per la prima volta sono andato da solo, in concorso, con un’opera prima. Non ci credevo, ora mi chiamano a Nancy, Abu Dhabi e Rio de Janeiro.

Il tuo film racconta l’Italia di oggi?
Volevo raccontare Palermo ma siamo tutti così: siamo tanti Ciraulo. Lui ha la camminata strana e Palermo dentro. Ha una sua volgarità ma è l’aspetto dell’italiano medio: uno che non ha un futuro e pretende di darlo agli altri.

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Daniele Ciprì – E’ stato il figlio

Una visione pessimistica, non credi? Gli italiani hanno anche dei pregi e dei meriti.
Sono un “pessimista della ragione”. So che conoscerò tempi duri e che avrò difficoltà, però combatto ragionandoci su. Continuo a fare il direttore della fotografia così come il narratore.

Il tuo cinema ha sempre avuto un carattere eccessivo: sei contro la medietà?
Una volta i registi avevano un carisma che ora non vedo più tanto. C’è tanto cinema tecnico e c’è tanto cinema usato per raccontare. Io non sono un critico ma sono uno spettatore e come tale non sento un carattere forte in questi tipi di cinema. Io forse sono grottesco, ma nella vita sono proprio così. Non mi pongo il problema di essere un intellettuale.

Tu riesci a far stare insieme Santa Rosalia, John Ford e Verga.
Non mi pongo il problema di essere qualcosa perché sono già me stesso. Non sono pessimista né moralista, ho delle sensazioni e delle emozioni che voglio evocare negli altri. Spero di non perdere questa voglia perché è la cosa più bella.

Con Cinico tv eravate videoartisti quasi. Segui le arti visive?
Usavamo un realismo come se questo fosse un effetto visivo. Ma non mi interessa fare un cinema d’arte. Seguo tutto, ma in tutte le forme d’arte c’è molta roba inutile che bisognerebbe selezionare.

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Ciprì & Maresco – Totò che visse due volte

Anche Marina Abramovic, l’artista eminente chiamata in giuria per giudicarvi?
Lei è grandiosa. Mi ha fatto i complimenti, mi ha colpito quando ha detto: “Hai creato un mondo”.

Hai mai avuto aspirazioni artistiche?
Da ragazzo affrontai una crisi: ero fotografo e cercavo lo “scatto unico”, come Robert Capa. Il miliziano che cadeva ucciso era il mio riferimento. Ma non ho mai saputo fare una foto del genere, anche se conoscevo la tecnica per farla.

Perché?
Io ho bisogno dei cuntisti. Nel mondo ci sono troppe immagini e io ho bisogno di qualcuno che evochi le battaglie di Orlando. Quando ho ascoltato e visto Mimmo Cuticchio con i suoi pupi, mi ha impressionato perché vedevo Orlando. La musica e le altre forme d’arte possono evocare, però il contare di una volta è diverso.

Forse perché sei rimasto un po’ bambino?
Io sono un sognatore, anche se ho fatto Cinico tv.

Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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