La silenziosa Pietà di Bellini
Torna l’appuntamento con le recensioni curate dall’Osservatorio Mostre e Musei della Scuola Normale di Pisa. Questa volta l’attenzione si concentra su una piccola mostra in corso a Rimini, che ruota attorno a un grande capolavoro.
L’esposizione riminese presenta un nucleo ristrettissimo di opere: il Cristo morto con quattro angeli di Giovanni Bellini dal Museo della Città di Rimini, la Testa del Battista da decenni contesa fra il patriarca della pittura veneta e il maestro di estrazione squarcionesca Marco Zoppo, la Pietà di quest’ultimo dai Musei Civici pesaresi, la cartapesta di eguale soggetto attribuita già da tempo a Bartolomeo Bellano, una medaglia di Matteo de’ Pasti e il Cristo in pietà fra due angeli di Francesco Francia dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna. L’intento principale della piccola rassegna è valorizzare un capolavoro della pittura quattrocentesca dell’Italia settentrionale presente nella collezione permanente del museo, quale è, appunto, la tavola belliniana, decifrandone in primis il contenuto iconografico. Non sembra, tuttavia, che in merito alle scelte iconografiche del veneziano la mostra aggiunga molto a quanto evidenziato in studi precedenti, e in particolare in quelli di Hans Belting.
Appare pertanto difficile vedere ne Gli angeli della Pietà il cantiere di una nuova riflessione intorno a Giovanni Bellini. Ciò di cui l’esposizione riminese soffre la mancanza è una vera proposta di ricerca storico-artistica: valorizzare un capolavoro non vuol dire solo farlo oggetto, non dico di studi, ma di precisazioni iconografiche; e tantomeno trasformarlo in una sorta di fastidiosa icona pop all’entrata della sezione espositiva, come è stato fatto con gli angioletti ingigantiti sulla porta d’ingresso; significa soprattutto, invece, ricercarne i motivi di interesse figurativo e storico. La destinazione, la datazione e la lettura del punto di stile dell’opera, unite a una vera ricognizione degli interventi sul significato dell’immagine e le sue valenze culturali e sociali, non dovranno interessare solo gli addetti ai lavori, ma anche il pubblico, al quale, invece, è preferibilmente riservata, specie nel materiale didattico presente in mostra, un’illustrazione dai toni favolistici e trasognati. E questo non può che lasciare l’amaro in bocca.
La mostra si segnala per un’importante – ma tuttora irrisolta – questione attributiva; certo uno dei dibattiti più spinosi ed intriganti della pittura veneta del Quattrocento: l’attribuzione a Giovanni Bellini o a Marco Zoppo della Testa del Battista, già riferita al primo da Roberto Longhi, poi passata al secondo, allorché si era riconosciuta nella tavola, oggi al Museo Civico di Pesaro, parte delle predella dello smembrato polittico per la Chiesa pesarese di San Giovanni Battista dell’Osservanza. La proposta longhiana, che, fondandosi su argomenti di pertinenza stilistica, trovò sin da subito larghi consensi (da Pallucchini a Zampetti, da Paccagnini a Conti), torna alla ribalta, seppur assai dubitativamente, in occasione della mostra di Rimini. L’attribuzione allo Zoppo viene messa radicalmente in discussione, in nome della rilettura di un inventario settecentesco che faceva della Testa una donazione ducale ai frati zoccolanti di Pesaro, e quindi un’opera autonoma dall’insieme del pittore squarcionesco di Cento. Ora, la segnalazione della piccola mostra si configura, certamente, come il tassello più recente, di un certo interesse, del problema, ma non sembra risolvere in modo definitivo la questione. In ogni caso, la rassegna riminese si configura, su questo punto, come una mostra di studio. E, nell’epoca di Goldin, scusate se è poco.
L’occasione di un vero confronto fra i due pittori sembra mancata del tutto. Come a essere negato è il paragone fra la tavola riminese di Bellini, cuore della mostra, e la Pietà zoppesca di Pesaro, già cimasa dello stesso polittico di cui tradizionalmente si pensa faccia parte anche la Testa del Battista. Il raffronto fra la linea nervosa e le forme straziate della coppia Zoppo – Bellano, da una parte, e la tornitura alla Pietro Lombardo dei volumi giambelliniani che hanno ormai superato la concezione di Andrea Mantegna, dall’altra, risulterebbe, d’altronde, difficile anche al visitatore più accorto, dato che le opere sono state disseminate nella piccola stanza del museo senza un criterio ben preciso. Ad esempio, ci si potrà chiedere, perché non disporre sulla stessa parete e a una distanza minima le due Pietà – quella di Zoppo e quella di Bellini – e frapporvi nel mezzo il tondo pesarese, così da permettere un paragone diretto fra i testi pittorici?
Gianmarco Russo
Rimini // fino al 4 novembre 2012
Gli Angeli della Pietà. Intorno a Giovanni Bellini
a cura di Marco Bona Castellotti e Massimo Pulini
Catalogo Allemandi
MUSEO DELLA CITTÀ
Via Tonini 1
www.museicomunalirimini.it/musei/museo_citta/
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