Liaison complicate. Renzo Piano e l’Italia
È la settimana di Renzo Piano, che ha appena inaugurato le sue due ultime creature. Una a Oslo e l’altra a L’Aquila, con risultati e reazioni molto differenti. Tra esperimenti riusciti e polemiche, la storia di un architetto di fama mondiale che nel proprio Paese non riesce a esprimersi al meglio.
Ha da poco festeggiato il suo 75esimo compleanno, ma non accenna a fermarsi. Renzo Piano, l’architetto italiano vivente più famoso, è in piena attività: nel giro di una settimana ha inaugurato le sue due ultime creature, una in Norvegia, l’altra in Italia. Molto diverse tra loro per forma e stile, ma soprattutto per l’impatto che hanno avuto sull’opinione pubblica. A testimoniare l’ostilità che il nostro Paese spesso riserva all’architetto genovese, il quale risponde con una particolare idiosincrasia.
La prima costruzione è la nuova sede del museo privato di arte contemporanea più importante di Oslo, l’Astrup Fearnley Museet, costato 90 milioni di euro e contenitore di opere di Damien Hirst, Paul Chan, Frank Benson, Nate Lowman e Dan Colen. Tre corpi separati da un canale d’acqua, ai margini di un fiordo, nel quartiere di nuova espansione Tjuvholmen. Il tutto elegantemente raccordato da un tetto incurvato, sagomato fino a toccare terra. Un elemento che riunisce le funzioni del museo fungendo al contempo da landmark per la città. Un intervento ben inserito nel contesto urbano, molto apprezzato anche dalla comunità, grazie al grande spazio esterno che dà sul mare e che il museo intelligentemente lascia alla libera fruizione.
La seconda opera, quella che ha suscitato molte polemiche, è l’Auditorium del Parco a L’Aquila, nato all’interno del Castello Spagnolo cinquecentesco, costato poco più di 6 milioni di euro e finanziato dalla Provincia di Trento. Anche qui tre elementi, in questo caso lignei. Due cubi più piccoli – che ospitano i servizi per il pubblico e gli artisti – e uno più grande ruotato di trenta gradi che costituisce la sala auditorium per 250 persone. Il tutto rivestito da listelli di legno colorato. La struttura è nata per essere temporanea, e dovrebbe durare fino a quando il Castello non verrà restaurato per riprendere la propria attività. Una scelta però già messa in dubbio dal sindaco in carica, che ha fatto più volte capire di non volerlo smontare.
Un progetto che è più di un progetto perché rappresenta la rinascita di una città, la sua voglia di riprendersi quello che il terremoto (e la mala politica) aveva cercato di portarle via: la vitalità, la cultura, la musica. Ed è forse per questo che i primi a non vederlo di buon occhio sono stati proprio gli aquilani. Inferociti contro un progetto che sottrarrebbe fondi al restauro del Castello, alterando la sistemazione del verde dove si trova, e realizzato senza parcheggi.
Il progetto di Oslo e quello de L’Aquila sono due esempi che ben sintetizzano alcuni punti cari alla ricerca di Piano. La scelta dell’assenza di stile, il cambio repentino di registro, l’interpretazione e l’adattabilità al contesto.
Con le sue opere solitamente misurate e consapevoli, Piano negli anni si è costruito un’immagine rassicurante che mette d’accordo tutti. Dall’ultraconservatore al progressista. Con lui si va sul sicuro, si è certi che scegliendolo si otterrà un’architettura di qualità, che dura nel tempo. Ma allora perché in Italia non è così? Dal 2000 a oggi, se analizziamo le architetture più importanti – l’Auditorium Parco della Musica di Roma nel 2002, la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo nel 2004, il Vulcano Buono a Nola nel 2007 – notiamo un’evidente differenza con quanto realizzato all’estero. Sono, infatti, interventi meno brillanti che si trascinano più polemiche che consensi.
Sarà per le tante vicissitudini burocratiche e i tempi lunghissimi tipici del Belpaese? In parte è così, anche se dal nostro architetto di punta nel mondo ci aspettiamo comunque di più. Prossimo appuntamento a Trento, per l’inaugurando nuovo Museo della Scienza.
Zaira Magliozzi
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