Se c’è un personaggio davvero fondamentale per capire l’evoluzione dell’Italia e degli italiani negli ultimi trent’anni è sicuramente lei, Nostra Signora del Sesso. La sua comparsa nella società degli Anni Ottanta ha rappresentato uno scossone per il bigotto Paese segnato da decenni di politica e di educazione cattoliche e repressive. Di quello Stato, per intenderci, che troppo a lungo ha giustificato il delitto d’onore e che troppo tardi ha conquistato il diritto al divorzio e all’aborto. Subito dopo arriva lei, Pozzi Anna Moana, classe ’61, la donna della vera liberazione sessuale, predicata, mostrata, nel porno come in politica.
Durante una tribuna elettorale per le elezioni comunali al municipio di Roma nel 1993, alla domanda “perché bisognerebbe crederle?”, rispondeva candidamente: “Perché sono una persona onesta, ho sempre lavorato sulla mia pelle, sono sempre stata coraggiosa, ho sempre detto quello che pensavo, scontrandomi con tutti quanti e le giuro che è stata dura, ed è sempre molto dura per me. Credo di essere una persona coraggiosa, che sa lottare. E poi, ripeto, credo, posso dire di essere una persona onesta. Non so, le pare poco?”.
E coraggiosa lo è stata davvero, Moana, e per tutta la sua breve vita ha lottato contro i tabù, le riprovazioni e le critiche del Belpaese, esponendosi sempre in prima persona. Se non appariva certamente credibile sul piano politico il progetto del Partito dell’Amore né tantomeno la sua preparazione in quel settore, a colpire è certamente la schiettezza e la sincerità della persona. Faceva sorridere sentirla parlare in maniera naïve di lotta alla criminalità, di traffico e di ambiente. Ma era davvero efficace, perché colta nel vivo, quando parlava di temi come la censura e la sana educazione sessuale, da abbattere la prima, da promuovere la seconda, e soprattutto di come e quanto la sessualità in Italia sia stata e fosse condizionata dalla religione e dalla morale. Lei, che veniva da una famiglia molto religiosa e aveva studiato dalle suore, aveva sempre combattuto l’ipocrisia di una società bacchettona basata sulla costrizione e sul pentimento, continuando a professarsi cristiana ma non cattolica.
Era libera, Moana, nella testa prima che nel corpo. Amava il sesso e lo faceva, senza inibizione e ipocrisie, senza nascondersi o mentire. E lo diceva, con la schiettezza che è solo, per l’appunto, delle persone oneste. Aveva lo stesso candore di Roberto Benigni quando declamava tutti i nomignoli per definire gli organi sessuali. Nessuna volgarità, solo la gioia di vivere pienamente la sessualità. Riusciva a ribaltare l’immagine della donna facile che viene posseduta dagli uomini, perché era lei che possedeva gli uomini, li conquistava, li provava e alla fine li gratificava di un voto sul proprio diario. Recuperando la concezione dell’amore libero sessantottino, aveva quasi fatto diventare di sinistra quel mondo del porno, a lungo etichettato come machista e percepito come destrorso. Una liberatrice sessuale e culturale, che non aveva paura di dire ciò che pensava, sentiva e voleva. Una Garibaldi del materasso, più efficace di cento femministe. Un’artista rimasta coerente fino all’ultimo. Che in qualche modo ha fatto body art e performance concettuali, negli stessi anni in cui la sua collega Ilona Staller lavorava con Mr. Jeff Koons. L’Italia resta spiazzata da quella donna bellissima, di estrazione borghese, di discreta cultura e dai modi gentili che parla apertamente di sesso. E piace, agli uomini come alle donne.
Appena un anno dopo quella tribuna elettorale sarebbe arrivata, improvvisa e spiazzante, la sua morte. Quella che le ha spalancato, ça va sans dire, le porte della santità laica e mediatica. E così, con trent’anni di ritardo, anche l’Italia ha avuto la sua Marilyn morta e beata, bella e perduta, da adorare nel rimpianto. Già, Marilyn, la diva emulata nel famoso calendario dallo sfondo rosso, mito sessuale senza tempo. Come le tante Maddalene della Storia, le puttane diventate martiri venerabili. Ha sofferto la malattia ed è morta giovane? Lo Stato cattolico confessionale può così perdonarla e beatificarla. Dandole, ancora una volta, ragione.
Ma Moana non era una santa. Era piuttosto una peccatrice, come amava provocatoriamente descriversi, una donna esibizionista, scaltra e astuta, facile al vil danaro e al potere, come certe craxiane frequentazioni dimostrano. Possedeva un notevole spirito imprenditoriale e la capacità di imporre quel “personaggio Moana” in tante apparizioni mediatiche nel corso degli Anni Ottanta. Col compito di solleticare i pruriti degli spettatori, diventa presenza abituale di quella televisione privata solo apparentemente più libera di quella di Stato, fatta di insistenti interruzioni pubblicitarie, di finto incombente e di mostri televisivi, magnificamente riprodotta e confutata da Federico Fellini in Ginger e Fred (1986). E proprio il maestro riminese la sceglie giovanissima per una breve e fulminante scena, nella quale sponsorizza col suo sedere e con eccessivi ammiccamenti un olio per cucinare. Moana era diversa da questo stereotipo. Faceva sesso esplicitamente ma ambiva ad altro, contrariamente alle starlette del periodo che, non potendo puntare su altro, rimandavano continuamente al sesso. Basti prendere Drive in: quanto distanti sono le Lory Del Santo e le Tinì Cansino dall’ironica Moana! La sua presenza schietta e limpida fa apparire in tutta la propria ipocrisia la televisione italiana. Non solo, però, quella berlusconiana, ma anche quella sinistrorsa post-89, come Samarcanda. Persino la pur gustosa imitazione di Sabina Guzzanti ad Avanzi si limita unicamente a deriderla come una stupida bionda che pontifica sul sesso e sulla società, lasciando trasparire un insopportabile moralismo de sinistra.
Era davvero un alieno nel contesto degli Anni Ottanta e dei primi Novanta che l’aveva comunque prodotta. Moana era molto meglio del mondo del porno che l’aveva eletta a regina incontrastata. Era molto meglio della televisione trash a cui di tanto in tanto prendeva parte. Era molto meglio di tanti politici travolti da Tangentopoli. Lei lo sapeva. E ne profittava. Ed era ovviamente molto meglio dei modelli che dominano oggi tali settori, segnati da un’esasperazione e da una volgarità incipienti. Basti vedere le tristi e incongrue presenze femminili che, senza soluzione di continuità, passano dallo spettacolo alla politica, per rendersi conto di quanto lei fosse diversa e moderna anche rispetto al nostro quotidiano, cioè il suo futuro mai vissuto. Anche il presunto mistero della sua morte non fa altro che continuare ad alimentare la fabbrica-Moana alla cui fonte seguitano ad abbeverarsi i mediocri che probabilmente lo facevano anche quando lei era in vita.
Ma in fondo non conta nulla. L’unica cosa che conti della sua parabola esistenziale è la battaglia, vinta, sulla libertà sessuale e d’espressione che ha sempre portato avanti, sul set, in televisione, in politica. Pochi mesi prima della fine, appare magnifica e all’apice della sua bellezza in un banale spettacolo per famiglie del sabato sera di Raiuno intervistata da Pippo Baudo. Qualcosa sta cambiando. Fino a qualche anno prima sarebbe stato impensabile. Alcune donne nel pubblico, chissà quanto spontaneamente, le rivolgono alcune domande su amore, famiglia, lavoro, figli. Quando le viene chiesto come abbiano preso i suoi genitori lo scabroso lavoro che fa, con la solita disarmante franchezza risponde con quello che di fatto è stato e forse resterà per sempre il proprio degno epitaffio: “Purtroppo a volte nella vita si fanno delle scelte che comportano il dispiacere degli altri. Ma non sono pentita. Rifarei tutto ciò che ho fatto”. Vi pare poco?
Giulio Brevetti
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