Reshaping Museum. Tutto sul nuovo Maxxi di Giovanna Melandri
Un nuovo direttore internazionale. E il termine internazionale che si ripete (troppe volte?). La ridefinizione di un museo, facendosi aiutare da un comitato di saggi. I soldi da trovare presso i privati e le polemiche per la nomina. Qui, e anche in video, tutta la conferenza stampa di presentazione di Giovanna Melandri neopresidente del Maxxi.
La novità più attesa, la conferma più imponderabile, la bomba della giornata i lettori Artribune, o almeno quelli che sfogliano il nostro magazine cartaceo, la sapevano già da un mese. Da quando, ovvero, ipotizzammo che il Maxxi avrebbe probabilmente cambiato statuto e che questo cambio avrebbe determinato la nascita di una nuova figura di direttore, subito sotto il presidente e da questo nominato. Oggi, durante la conferenza stampa presso il Ministero dei Beni Culturali, a fianco del ministro Lorenzo Ornaghi, Giovanna Melandri ha confermato questa novità che poi vedremo con più approfondimento in seguito.
La conferenza, rimandata nelle more di un “giallo” che poi in realtà era solo un problema tecnico della Melandri, è stata aperta dal ministro Ornaghi, che ha tenuto a specificare i motivi per cui ha effettuato questa scelta: competenza, entusiasmo, passione, capacità di dialogo internazionali e profilo istituzionale (“Ho scelto una figura che è già stata ministro”). “Ho preso questa decisione”, dice il ministro con aria grave, “per il bene del Maxxi e senza condizionamenti di alcun tipo”. Se era per il bene del Maxxi che ha lavorato Ornaghi, non si capisce allora cosa gli sarebbe costato costruire consenso attorno alla nomina prima di renderla pubblica e non dopo, gettando la Melandri in pasto alle polemiche e mettendo alla berlina una istituzione culturale dalla già fragile esistenza.
Dopo qualche battuta del commissario straordinario Antonia Pasqua Recchia, che ha ricordato alcuni numeri sul museo segnalando dati che peraltro aveva già reso già pubblici la scorsa settimana in una conferenza apposita, la parola è passata alla neopresidente del Maxxi. A quel punto già era certo che – a dispetto delle voci che si sono rincorse tutta la mattina, compresa una arrabbiatura del primo ministro Mario Monti, poi in conferenza seccamente smentita da Ornaghi – la Melandri avrebbe accettato l’incarico.
Si pensava (e d’altronde l’ordine del giorno della conferenza andava un po’ in quella direzione) di poter ascoltare progettualità e visioni sul futuro operativo del Maxxi, ma così non è stato. “Non è questa la sede, ci vuole tempo”, ha detto la Melandri. Vedremo dopo che il tempo richiesto risulterà fin troppo.
Era necessaria, per partire, una excusatio molto petita. E la Melandri ha risposto. Ha risposto, occorre dirlo, uscendone piuttosto bene. Stiamo parlando di un parlamentare che rinuncia (sebbene per non molti mesi ancora) alla poderosa indennità da deputato – sono confermate le dimissioni – per prendere un incarico non retribuito. E parecchio spinoso. “Lo faccio perché la politica e il Paese mi hanno dato tanto e non me la sentivo di voltare le spalle nel momento in cui mi si chiede indietro un impegno. Mi metto al servizio del museo per un progetto di ripartenza e di rilancio e lo faccio in maniera gratuita”. Ora la Melandri sarà pure una “politica rottamata / dal museo riciclata” come urlavano fuori dal Ministero (qui trovate il video), alla fine della conferenza stampa, uno sparutissimo gruppo di esponenti del movimento di destra Giovine Italia, ma le parole che ha usato per accettare questa nomina sono parole di civiltà e alto profilo istituzionale. I complimenti per Giovanna Melandri però finiscono qui, perché su tutto il resto cala la nebbia.
L’ex ministro della cultura degli esecutivi D’Alema si dichiara affezionata al Maxxi, ricorda di averne controfirmato la nascita nel 1999 (il museo inaugurò 11 anni dopo, viva l’Italia!), ringrazia – pur senza fare nessun nome e neppure, peccando quantomeno in tatto ed eleganza, quello del suo predecessore Pio Baldi, figurarsi quello delle due attuali direttrici Mattirolo e Guccione – tutto lo staff che in questi anni ha portato avanti quella che secondo lei è una Ferrari col freno tirato.
Chiede anni per i giudizi, e questo va bene, ma chiede mesi per i primi cambiamenti, e questo va davvero meno bene. Non si può dire che il nuovissimo statuto, appena modificato, prevede la suddivisione in dipartimenti del museo e poi dichiarare che questi dipartimenti vedranno la luce nei prossimi 5-6 mesi. Non si può annunciare che il museo non avrà più due direttori di settore come oggi, bensì uno unico e poi affermare che per nominarlo ci vorranno mesi. Così facendo la Melandri dimostra di non rendersi conto della necessità di mettere sul tappeto scelte immediate, rapide, efficaci, che permettano al museo di ripartire e dimostrare, anche ai suoi competitor internazionali e al mondo dell’arte globale, tutta la capacità di reazione che occorre in momenti come questo.
Il reshapement, per utilizzare il vocabolario melandresco, dell’istituzione Maxxi è un processo delicato, probabilmente sofferto (il fatto di non aver neppure mai nominato in tutta la conferenza le due direttrici in carica non creerà certo serenità, nelle settimane a venire), strategico e come tale dovrebbe richiedere tempi celeri. Il pericolo è che la road map impostata dalla Melandri sia troppo lasca: il 1° novembre si insedia, poi nomina il CdA, poi si mette a pensare a comporre una commissione che, nei mesi successivi, la aiuterà a scegliere il nuovo direttore. In parallelo lavora ai nuovi dipartimenti del museo (novità: ci sarà un Dipartimento fotografia oltre a quelli di Arte e Architettura oggi esistenti). Un processo che la Melandri definisce frutto di creatività istituzionale, che potrà essere magari anche foriero di nomine di qualità, ma che non fa i conti con i tempi stretti necessari in circostanze simili.
Di progetti & programmi, come dicevamo, non si è parlato affatto. Fatte salve le solite banalità tipo “vorrei arrivare ad un milione di spettatori” (sì, si sarà confusa scambiando i visitatori con gli spettatori, ma ha detto proprio così), “vorrei che il Maxxi fosse più integrato con i musei di Roma e i musei italiani”, “vorrei che il Maxxi avesse più relazioni con i musei internazionali”. Considerazioni scontate che hanno tuttavia confermato, in quest’ultimo caso, il grosso focus sull’internazionalità che appare essere in tutto e per tutto il vero mandato che la Melandri ha avuto dal ministro: riuscirà a trasformare il Maxxi in un centro d’arte contemporanea di rilevanza globale? Di certo non con uno stanziamento che è grossomodo dieci volte meno quello dei musei competitor, la partita si giocherà sui partner privati nazionali e non solo. La neopresidente ha promesso di essere già a lavoro su questo ed è su questo – lei lo sa bene – che verrà misurata alla fine del suo mandato.
Massimiliano Tonelli
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