Ulf Langherich, criptico e immersivo. Per Transart
Ulf Langheinrich, anima storica - insieme a Kurt Hentschläger - del duo cult Granular Synthesis, ha aperto Transart 12 a Bolzano con la performance in prima mondiale “Movement C”. Un lavoro decisamente meno estremo dei precedenti lavori, ma l’effetto immersivo è potente. Artribune sfida la sorte e incontra il criptico Langheinrich per fargli qualche domanda.
Nelle tue performance quanto è importante che lo spettatore faccia esperienza dei propri limiti percettivi?
Non mi interessa necessariamente “colpire” lo spettatore. Mi interessa il suo silenzio. La ragione per cui lo spingo fino al suo limite percettivo è per azzittirne il commento interiore, per mettere a tacere quella forma di distanza che si crea nello spettatore, durante la performance, quando prende atto di ciò a cui sta partecipando. Quindi, il mio obiettivo non è il raggiungimento o il superamento di un limite, perché non voglio che il tutto si riduca a una sorta di sensazione, ma piuttosto permettere allo spettatore di arrivare dentro quel preciso stato in cui è visibile l’immagine. L’immagine e nient’altro. Per arrivare nell’immagine. Per vedere “qualcosa”.
Una volta hai detto: “La percezione rimane sempre qualcosa che si impara”. Pensi che la tecnologia possa ancora aiutarci a conoscere qualcosa di nuovo del nostro universo percettivo?
La tecnologia che uso è convenzionale e terribilmente limitata nella sua capacità di generare una consapevolezza più estesa a volte persino per rendersi conto di “qualcosa”. Vorrei almeno mostrare immagini evidenti ma incerte come lo sono i ricordi. Immagini che possono essere rilevanti anche per gli altri. Le macchine digitali consentono una maggiore concentrazione sul materiale, sulle qualità intrinseche di uno schermo, di uno sfarfallio o di un suono. Attraverso gli strumenti tecnologici non cerco di trovare nuove possibilità percettive. Di solito mi trovo a creare texture determinate dal “quasi troppo” di una specifica qualità (troppo forte, troppo lento, troppo denso). La maggior parte del mio lavoro consiste nella ricerca di un nuovo stadio qualitativo, di una “nuova” purezza. Non c’è soluzione, solo gradi di approssimazione che spesso corrispondono a diversi gradi di delusione.
Come avviene questa esplorazione?
L’esplorazione per me è distrazione, la piacevole distrazione dall’irrisolto che deriva dal lavorio senza fine con gli strumenti. È l’intontimento temporaneo che nasce a ridosso di una scadenza, quando non hai ancora concluso niente. Come ti dicevo, non c’è nessuna intenzione di esplorare nuove percezioni o i limiti sensoriali miei o altrui, solo un altro tentativo di vedere “qualcosa” almeno una volta.
In Movement C fai uso del 3D. Questa tecnologia non è un’invenzione recente, ma oggi sembra avere una seconda vita, nell’arte e nel cinema…
Il nuovo successo della tecnologia 3D ha certamente degli effetti collaterali frustranti, che sollevano interrogativi sulla possibilità di un suo impiego al di fuori di un ambito mainstream. Nel mio lavoro, non ho ancora trovato i limiti della tecnologia 3D, che poi è quello che mi interessa, perché è lì che ritengo ci possa essere più potenziale. Un’immagine 3D non è più reale di un’altra immagine, quello che cerco nel 3D ha a che fare più con il suo essere irreale, con la sua sensazione fittizia di realismo aumentato che è in grado di generare. Infatti, Movement C è diviso in due parti: la prima è dominata dalla presenza fisica di Maureen Law, mentre la seconda necessita che lo spettatore indossi gli occhiali 3D per vedere sullo schermo il corpo della danzatrice che si smaterializza lentamente in una grana rossa.
Sei cresciuto nella Germania dell’Est e hai avuto una formazione da pittore. In che misura le tue esperienze passate incidono nel tuo lavoro di oggi?
La Germania dell’Est è la mia idiosincratica Atlantide, vale a dire il luogo dove tutto ciò che è passato. È una memoria. Per me è l’immagine a essere reale, non l’evento. La percezione del qui e ora diventa reale solo quando si ama o mentre si muore. Per me l’immagine è come il suono, e il suono come l’immagine. Entrambi ti possiedono. La bellezza non è mai un’acqua quieta. Ci puoi annegare.
Jennifer Malvezzi
www.transart.it
ulflangheinrich.com
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