La rivincita degli (ex) spazi industriali. Trial Version a Firenze
Torniamo a parlare degli ex spazi industriali. Luoghi che tornano a vivere grazie all’interesse, alle energie e alla creatività a basso costo di giovani professionisti che, nel nome dell’arte contemporanea, restituiscono linfa a questi spazi dimenticati. È il caso dell’ex Manifattura Tabacchi di Firenze e del progetto del collettivo Trial Version, presentato qualche settimana fa ad ArtVerona.
Buchi neri nel tessuto urbano, aree fertili per il degrado, l’incuria e il vandalismo, carcasse di un passato che è ancora troppo vicino per essere archiviato come Storia. Sono le architetture dismesse di un’era che ha ormai fatto il suo tempo, sempre più oggetto di attenzione, riscoperta e – nei casi più fortunati – di riqualificazione e riuso, anche in Italia (quando si riesce nell’ardua impresa di svincolarle dai pasticci burocratici e dalle logiche del profitto). Sì, perché, nonostante l’interesse dell’architettura per gli immobili dell’archeologia industriale si debba soprattutto a un architetto italiano, la da poco scomparsa Gae Aulenti, solo negli ultimi anni si stanno valutando fascino e potenzialità di questi luoghi nei processi di rigenerazione urbana – non necessariamente di natura istituzionale – mentre nelle grandi capitali europee è già storia.
Parliamo stavolta dell’ex Manifattura Tabacchi di Firenze, un gigante urbano di oltre cento mila metri quadri in pensione dal 2001, diventata la nuova scommessa del collettivo Trial Version, che ha presentato al pubblico il suo progetto qualche settimana fa ad ArtVerona, sezione Independents. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Innanzitutto, chi siete e cosa fate?
Trial Version nasce nel giugno 2011 dalla felice unione di artisti e curatori provenienti da diverse regioni d’Italia, che hanno avuto modo di incontrarsi e confrontarsi durante il biennio del corso in Arti Visive dello IUAV di Venezia. Dopo la laurea, ci siamo ritrovati con l’idea comune di individuare, riqualificare, riattivare, a tempo determinato, spazi urbani caduti in disuso, attraverso interventi di arte contemporanea. Inizialmente non avevamo una città prescelta: ci interessava in primis portare l’arte contemporanea laddove questa fosse latitante, secondo una logica di nomadismo e provvisorietà. Per diverse ragioni, il nostro primo intervento si è concretizzato a Firenze in un garage disastrato in pieno centro, che, dopo aver rimesso a lucido con tanta fatica, abbiamo riconvertito per un paio di settimane in un luogo espositivo alternativo, messo a disposizione della giovane artista Clio Casadei.
Cosa vi è rimasto di questa prima esperienza?
L’inaspettato quanto sperato meccanismo di partecipazione e di scambio disinteressato che si è innescato con i proprietari del garage, che ci hanno dato lo spazio in concessione gratuita, con il vicino antiquario, che ci ha prestato arnesi vari utili per l’allestimento, con tutti coloro che nel quartiere ci hanno accolti, ci hanno dato una mano o che semplicemente hanno visitato la mostra.
E poi? Come siete approdati all’ex Manifattura Tabacchi?
Dopo il garage c’è stato, sempre a Firenze, un ex supermercato di quartiere dal perimetro interamente vetrato, all’interno del quale abbiamo allestito per pochi giorni un’installazione/performance interattiva del collettivo Videotrope. Anche qui, stesso discorso di sinergie. Senza la disponibilità e la collaborazione del proprietario il progetto non avrebbe funzionato. Abbiamo così iniziato a mettere radici naturalmente nel territorio fiorentino e a guardarci intorno. Finché il nostro sguardo si è fermato sull’ex Manifattura Tabacchi, un complesso industriale enorme costruito negli anni Quaranta, assieme al circostante quartiere dove vivevano gli impiegati, il Quartiere 1, che ora, dal 2001, soffre il peso di questo vuoto. È stato subito amore. Abbiamo iniziato a documentarci, a ripercorrerne la storia, a reperire informazioni sulla sua attuale condizione giuridica. Siamo riusciti a ottenere il permesso per un giro di ricognizione, in compagnia del guardiano, durante il quale, camminando tra fabbricati vuoti e fatiscenti e pezzi di scenografie del Maggio Fiorentino accatastate negli ultimi anni qua e là, abbiamo scoperto un luogo denso di memorie.
Qual è stato il vostro approccio allo spazio?
La situazione attuale dell’ex Manifattura è molto delicata e sicuramente poco limpida. Non ci interessava affrontare la questione di petto, attraverso occupazioni e rivoluzioni varie. Inizialmente, entusiasmati dalle potenzialità infinite di quei luoghi, ci siamo lanciati con un progetto per una super mostra, che abbiamo presentato in occasione di un bando comunale per finanziamenti ad attività culturali. Non è andata. Allora abbiamo rivisto l’approccio e abbiamo puntato su un progetto più intimo, non pensato per fare grandi numeri ma finalizzato a rimettere in circolo le storie dell’ex Manifattura e a ricucire quello strappo esistente tra la comunità cittadina e quella porzione non indifferente di tessuto urbano. Durante ArtVerona abbiamo messo a disposizione dei telefoni e dei numeri che chiunque poteva chiamare per farsi raccontare un pezzetto della storia, un punto di vista, un ricordo, da chi in qualche modo ha vissuto in prima persona l’ex Manifattura Tabacchi di Firenze e ciò che essa rappresenta.
Quale sarà il vostro prossimo passo?
Consci del fatto che l’ex Manifattura sia un monumento alla cattiva burocrazia italiana, che immobilizza le cose a lungo termine, abbiamo deciso di muoverci attorno al problema, di aggirare regole, divieti e concessioni. Intendiamo cercare in modalità alternative di fruizione dell’arte contemporanea una temporanea soluzione, in modo da offrire al pubblico la nostra personale versione di prova di quegli spazi. In attesa che il destino dell’ex Manifattura di Firenze, come quello di tanti altri stabili ex industriali in giro per l’Italia, sia decretato da una qualche amministrazione politica.
Marta Pettinau
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