In Retro We Trust
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Fino agli Anni Cinquanta e Sessanta, la nostalgia non poteva essere un fenomeno culturale dominante, perché il cinema non era ancora entrato appieno nell’esperienza vitale delle persone (nonostante un lungo e laborioso processo di apprendimento condotto nell’arco di decenni [1]). A partire da quel momento, gli esseri umani conoscono il mondo principalmente attraverso il cinema e la tv, vale a dire la fiction per immagini in movimento. Si sviluppa una nuova forma di autoriflessività attraverso la mediazione. Questo modifica e veicola la percezione dello spazio, ma soprattutto del tempo: il passato diventa gradualmente visibile e tangibile, e al tempo stesso un’entità astratta, totalmente slegata dagli eventi concreti, della storia e dalla realtà. Il passato diventa parte integrante dello Spettacolo riconosciuto e descritto, negli stessi anni, da Guy Debord [2].
Esiste perciò una contraddizione irriducibile tra nostalgia e storicismo: la prima tende infatti a ridurre il passato al presente, elidendo gli elementi “incoerenti” e disturbanti (vale a dire, quelli che fanno irriducibilmente del passato il passato); il secondo, invece, permette di percepire il presente come uno dei risultati del passato, ricostruendo i rapporti di causa-effetto tra i singoli eventi.
Così, la nostalgia è sempre un’esclusione di qualcosa, una distorsione inevitabile dell’oggetto del desiderio. Il suo effetto è comparabile ai pixel che vediamo sui vecchi video (degli Anni Sessanta, Settanta, Ottanta) che rintracciamo e rivediamo volentieri – o vediamo per la prima volta – su Youtube: quei pixel sono sovraimposti, contemporanei a noi che, nel momento stesso del recupero, modifichiamo irreversibilmente l’oggetto recuperato.
Eppure, oggi l’approccio nostalgico sembra essersi completamente sostituito a quello storico, a tutti i livelli, al punto da risultare indistinguibile da quest’ultimo. La nostalgia non è diventata solo un modo privilegiato di rapporto con il passato; rappresenta invece probabilmente l’unica possibilità attuale di contatto con il tempo, con la storia, nell’epoca del “presente perpetuo”. Quali sono le conseguenze di questa trasformazione ormai compiuta? È possibile ricostruire una percezione (e un’interpretazione) storica a partire dagli elementi nostalgici?
L’aura in questo processo gioca un ruolo fondamentale, dal momento che convoglia e catalizza tutta l’energia racchiusa negli snodi del passato, agganciandoli efficacemente a un’esperienza individuale che però trascende, stranamente, i limiti esistenziali. Tutti noi, infatti, pensando ai cosiddetti “eventi cruciali”, li raccordiamo alla nostra vita.
Non è un caso, allora, che la nostalgia sia sempre andata indietro, finora, a recuperare decenni e periodi lontani trenta-quarant’anni: gli Anni Settanta hanno guardato agli Anni Trenta (rispecchiandosi nella loro crisi); gli Anni Novanta e i primi Duemila agli Anni Sessanta e Settanta (ricostruendo l’innocenza di un’avanguardia perduta) [3].
Questa distanza coincide con il tempo della memoria dei vivi, il ricordo della giovinezza. Attualmente i tempi sembrano in alcuni casi essersi accorciati, addirittura dimezzati, giungendo a “rivitalizzare” oggetti e fenomeni di dieci-vent’anni fa, secondo un’accelerazione che potrebbe essere il sintomo di un’ulteriore mutazione nel dispositivo della nostalgia.
Che cosa succederà, dunque, quando non ci sarà più alcun originale – nessuna prima volta da ripetere e “nostalgizzare”? Due le alternative: ricominciare da capo l’operazione di recupero (attingendo per esempio agli Anni Trenta, Quaranta e Cinquanta: e per la verità, si intravedono già da tempo le prime avvisaglie di un movimento del genere); oppure, dare vita al paradosso di un’attitudine nostalgica che interviene non solo sull’archivio del passato, ma anche sul palinsesto del presente. Una sorta di presente nostalgico, che si percepisce nostalgicamente in diretta.
Christian Caliandro
[1] Cfr. almeno J. Crary, Suspensions of Perception: Attention, Spectacle and Modern Culture, MIT Press, Boston (Mass.) 2001.
[2] Cfr. G. Débord, La società dello spettacolo. Commentari sulla società dello spettacolo [1967; 1987], Baldini & Castoldi, Milano 1997.
[3] Cfr. S. Reynolds, Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato, Isbn, Milano 2011.
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #9
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