Lo Schermo dell’Arte. Un festival sinestetico
Si accendono i riflettori sullo Schermo dell'Arte, giunto quest'anno alla sua quinta edizione. Il bilancio complessivo del direttore Silvia Lucchesi apre questioni d'importanza fondamentale: dalla gestione dei fondi pubblici per la cultura ai diktat commerciali della distribuzione cinematografica. E Firenze saprà avere cura di un progetto di livello internazionale?
Lo Schermo dell’arte si arricchisce di ulteriori idee e sviluppi. Quali sono le novità più rilevanti della prossima edizione?
Almeno due. La prima riguarda il programma stesso del festival: finora abbiamo presentato film recenti, dell’anno in corso, perdendo necessariamente opere importanti del passato; con la sezione Focus On intendiamo colmare questa “mancanza”, rendendo omaggio ogni anno a un artista di livello internazionale che verrà a parlare del proprio lavoro. Inizieremo con Isaac Julien.
La seconda, che riguarda l’attività dello Schermo dell’Arte come progetto più ampio e continuativo, è l’organizzazione di un workshop destinato ai giovani artisti europei la cui ricerca sia in relazione al video. Le selezioni sono avvenute tramite open call, in collaborazione con le principali scuole d’arte e accademie internazionali – cito a titolo di esempio il Royal College of Art di Londra e l’Akademie der Bildenden Künste di Monaco. Pur avendo organizzato Visio in tempi brevissimi abbiamo ricevuto circa 50 domande di partecipazione da 17 Paesi diversi; da queste abbiamo scelto i 15 artisti che nel corso del festival potranno partecipare a tre seminari – lectio magistralis tenute da Isaac Julien, Mark Nash e Heinz Peter Schwerfel – e ad alcuni incontri che abbiamo chiamato conversation room, con i curatori legati alla Toscana tra cui Franziska Nori, Alberto Salvadori, Lorenzo Giusti, e altri invitati come Angela Vettese e Gabi Scardi. La finalità è quella di creare uno scambio internazionale, un vero e proprio network tra giovani talenti e addetti ai lavori, approfittando dell’energia diffusa nei giorni dell’evento.
Inoltre ci saranno dei Festival talks…
Sì, è una formula che manteniamo dall’inizio. Oltre l’incontro con gli autori al termine delle proiezioni quest’anno abbiamo programmato una lecture di Yuri Ancarani, che inaugura la propria mostra al Museo Marino Marini nella settimana precedente al festival, e una di Melik Ohanian, presente con una videoinstallazione presso Cango – Cantieri Goldonetta.
Un discorso a parte meritano i vincitori del premio dello scorso anno, il collettivo Alterazioni video e il loro Incompiuto siciliano, con la partecipazione straordinaria di Marc Augé.
Il nostro premio prevede 10mila euro per la realizzazione di un progetto. Partecipano 10 artisti selezionati da 5 curatori, quindi una giuria stabilisce chi sia il più meritevole. Funziona a tutti gli effetti come una produzione cinematografica però in riferimento al video, infatti per la valutazione complessiva, oltre alle idee, sono importanti il budget e una serie di documenti di fattibilità.
Gli Alterazioni Video lavorano sul tema dell’incompiuto architettonico da almeno tre anni, articolando il discorso in modo vario – ricordo un workshop con dei giovani architetti siciliani oppure la partecipazione alla collettiva della Strozzina Green Platform – la giuria ha ritenuto molto interessante poter concludere questa ricerca con un film. Anche se con un collettivo così imprevedibile non si può mai dire quale sarà il punto finale…
Qualche anticipazione sul premio 2012?
Non ti posso dire chi è il vincitore perché non lo abbiamo ancora deciso… Comunque le modalità sono le stesse, questa volta la giuria è composta, oltre che da me, da Andrea Lissoni e da Barbara Casavecchia.
Ormai il festival gode di un riconoscimento in Italia e non solo. Cinque anni sono un periodo giusto per fare un bilancio complessivo.
Certamente siamo cresciuti ed è sotto gli occhi di tutti. Ciò che abbiamo cercato di potenziare in questi anni di attività, e su cui lavoriamo tuttora, è un’identità permanente: non è mai stata nostra intenzione rimanere un festival di cinema, vorremmo avvicinarci quanto più possibile alle dinamiche dell’arte contemporanea, e sappiamo che per farlo la direzione giusta è quella della produzione. Sì, il sogno che stiamo rincorrendo è contribuire alla realizzazione di film d’artista. In parte il discorso è già impostato, se pensiamo appunto al premio under 35, ma l’obiettivo dovrebbe essere più alto: diventare un referente rigoroso e coerente per progetti di produzione e co-produzione con altre realtà e istituzioni internazionali. Si tratterebbe di un’attività da condurre durante tutto l’anno, lasciando il festival come momento forte di incontro e di visibilità, secondo la struttura che è venuto assumendo.
Un’attività importante e ambiziosa. Di che budget disponete?
Ecco un punto cruciale. Lo Schermo dell’Arte è un progetto che costa pochissimo, sia in confronto ad altri festival di cinema internazionale che a una mostra di livello. Il bilancio del 2011 è stato chiuso poco sopra i 100mila euro, per l’attività di tutto l’anno compresi stipendi, affitto, utenze e così via. È chiaro che si tratta di una cifra irrisoria; con questo non voglio vantarmi, ma segnalare un problema: chi lavora nell’ambito della cultura non può più continuare così. Noi siamo cresciuti, ma probabilmente siamo arrivati al massimo per le risorse di cui disponiamo. Non è una questione di idee, ogni piano futuro rischia la frustrazione per mancanza di risorse economiche. Se tu vuoi partecipare a un tavolo internazionale, e avere un ruolo serio, non ti bastano questi mezzi. Il discorso non riguarda solo noi, ma tante altre realtà culturali. Per non considerare che la maggior parte degli operatori del settore è sottopagata.
Chi sono i partner istituzionali che vi sostengono?
Soprattutto dobbiamo ringraziare la Regione, cioè la linea di finanziamenti legati a Toscana InContemporanea, e il circuito 50 Giorni di Cinema Internazionale che ci permette di non pagare l’affitto della sala Odeon. Il Comune e la Provincia invece sono dei grandi assenti.
Certo proveremo altre strade, soprattutto quella europea, ma in Italia la distribuzione disordinata dei fondi pubblici per la cultura – che non sembra orientarsi né sull’impegno né sui risultati – è un problema reale. Tenere in vita il Maggio Musicale Fiorentino o il Teatro della Pergola deve significare la morte del resto? Tutti noi rendiamo un servizio a cui dovrebbe pensare la politica, e per questo ci aspetteremmo di essere pagati. Così non si creano né sviluppo né lavoro.
Cambiamo argomento. Alla luce della tua esperienza credi che sia necessaria la divisione attuale tra cinema e videoarte, e la presenza di due diversi canali distributivi?
Su questo tema si sta discutendo parecchio. Ho partecipato a varie tavole rotonde in cui ci si chiede perché il cinema fatto da un artista dovrebbe avere una distribuzione differente dal cinema fatto da un regista. Eppure ci sono casi che dimostrano la possibilità di un’integrazione, si pensi, in un verso o nell’altro, a Steve McQueen, Shirin Neshat, o allo stesso Isaac Julien. A Documenta 13 sono stati presentati tre progetti video di artisti, coprodotti da una televisione satellitare tedesca, mentre da tempo festival di cinema importanti come Berlino e Rotterdam hanno sezioni apposite; sono tutti sintomi di un cambiamento in fieri.
Il fatto è che la diversità non nasce dallo specifico dei linguaggi ma dalle regole rigide e mostruose della distribuzione cinematografica, tutte tese al profitto commerciale. In Italia poi, dove neanche il documentario ha un suo mercato, siamo più indietro rispetto ad altri Paesi.
Quindi direi che lo stacco tra cinema e videoarte, ma preferirei parlare a livello più generale di immagini in movimento, è del tutto condizionato dai motivi economici; gli artisti sono assolutamente affascinati dalla possibilità di uscire dai musei e dalle gallerie per approdare in una sala.
Dall’inizio il pubblico risponde con una partecipazione davvero numerosa. Che idea ti sei fatta a riguardo di questo entusiasmo?
C’è un grande curiosità nei confronti dei linguaggi contemporanei, del resto i giovani a cosa dovrebbero essere interessati? In più, aggiungo: Lo Schermo dell’Arte parla di cose complesse con il linguaggio semplice e popolare del cinema. Se in un documentario osservi un autore lavorare, se lo ascolti mentre spiega la propria ricerca, ti rendi conto che l’arte contemporanea non è qualcosa di cui si debba avere paura.
Matteo Innocenti
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