Matera: torna la scultura
Dopo dodici lunghi anni dall’ultima edizione, torna a Matera il “Periplo della scultura italiana”, manifestazione interamente dedicata alle arti plastiche. Con artisti giovani e giovanissimi. Fino al 17 novembre nelle chiese rupestri di San Nicola dei Greci e della Madonna della Virtù e al MUSMA.
È tornata anche quest’anno, nell’affascinante scenario dei Sassi di Matera, la scultura. Con ritardo rispetto al passato a causa di indifferibili lavori di restauro della sede – le chiese rupestri di San Nicola dei Greci e della Madonna della Virtù – e con un manipolo di artisti under quaranta. È con il terzo Periplo della scultura italiana (a 24 anni di distanza dal primo e a 12 dal secondo), che Matera, da alcuni anni sede del MUSMA, un museo dedicato alla scultura e collocato in gran parte all’interno di cavità sotterranee, dà conto di una serie di ricerche plastiche selezionate tra le numerose in atto in Italia dal solito Giuseppe Appella, coadiuvato nell’impresa da Marta Ragozzino, Soprintendente per i Beni storici Artisti ed Etnoantropologici della Basilicata.
Da trent’anni Matera è luogo eletto per la scultura italiana e internazionale, e tra monografiche dedicate a grandi nomi (tra cui Cambellotti, Leoncillo, Martini, Melotti, Mirko) e ampie collettive, si è imposta come riferimento ineliminabile per gli amanti dell’arte. Connotate da una spiccata propensione nei confronti di ricerche di stampo tradizionale e di personalità ormai ampiamente accreditate, le “grandi mostre” nei Sassi hanno tuttavia saputo a volte rivolgere il proprio sguardo anche verso esiti più aggiornati della sperimentazione plastica.
Questo terzo “periplo” – ospitato oltre che nelle chiese rupestri anche in una sala di Palazzo Lanfranchi e in una del MUSMA – offre un campionario di lavori firmati da undici giovani o giovanissimi artisti, alcuni dei quali sulla cresta dell’onda e già gratificati da prestigiosi riconoscimenti. Lavori che in alcuni casi si fanno spazio nelle cavità con grande disinvoltura, istituendo un rapporto quasi simbiotico con l’ambiente e innescando un corto circuito di rimandi e di suggestioni, in altri incontrano qualche difficoltà a porsi in proficua relazione con i grembi petrosi che li accolgono. A proposte che, pur attente ai fermenti in atto nella ricerca artistica contemporanea, si collocano tuttavia sostanzialmente nel solco della tradizione plastica, si alternano altre che hanno nel ricorso a materiali precari la comune peculiarità, cui si affiancano opere in cui la tecnologia si fa prepotente e intrigante protagonista e altre in cui la pratica del prelievo oggettuale è all’origine dell’opera.
Ad aprire il percorso è Giuseppe Capitano con installazioni in cui la canapa rievoca – senza intenti realistici e con levità – forme naturali, come fiori, animali, montagne; frammenti di nidi di uccelli allineati con ordine in ampie bacheche come in un museo di scienze naturali sono per Nico Vascellari la testimonianza di un rapporto simbiotico con la natura; Giorgio Andreotta Calò con osso, legno e persino un materiale canonico come il bronzo, sottrae volume, peso e massa all’oggetto plastico, mentre Donato Piccolo si serve di acqua demineralizzata, nebulizzatori ad ultrasuoni, aspiratori, lampade dicroiche, termoventilatori e altri apparati tecnologici per creare affascinanti vortici di nebbia che saturano le cavità rupestri.
Tutt’altro scenario costruiscono le esili strutture di Alice Cattaneo, trame metalliche di limitata fisicità che ridefiniscono lo spazio in penombra; altrove i lavori di Luca Trevisani, instabili agglomerati di nastri di balsa, bottoni immobilizzati sotto un tessuto, calchi di texture in materiali plastici, ricordano al visitatore la mutabilità insita nel reale. E se Antonella Zazzera tesse con fabrile abilità sottili fili di rame, confezionando luccicanti arazzi e tappeti evidentemente privi di funzionalità pratica, è con la cartapesta e il ferro che la verve ironica di Perino&Vele, innervata da acute considerazioni sociali e politiche, dà corpo – tra l’altro – a un’improbabile tenda da campeggio, a una strana pianta di cactus e a una serranda di negozio, che invano cerca di sollevarsi con assordante rumore.
Molto interessante la ricerca del giovane Emmanuele De Ruvo, in cui arte e scienza si integrano in improbabili sodalizi tra oggetti – sedie, macchine da scrivere, fogli di carta – tenuti insieme in sorprendente equilibrio solo apparentemente precario. E, infine, le opere di Francesco Arena, la cui ricerca è da sempre attenta a rileggere – con poetica attitudine e l’ausilio dell’oggettività dei numeri – alcune pagine drammatiche e mai del tutto chiarite della storia recente del nostro Paese, in installazioni che nella loro minimale sostanza formale risultano toccanti, come 19,45 metri di metallo dotto forma di scala (la caduta di Pinelli).
Al MUSMA Francesco Gennari ci congeda alludendo – con una moltitudine di granuli di argento raccolti in un doppio angolo e con un cipresso privo di linfa vitale – alla perenne dialettica tra la vita e la morte, all’insopprimibile desiderio umano di conciliare il relativo con l’assoluto.
Ci auguriamo di cuore che non passino altri dodici anni per vedere un altro “periplo della scultura italiana” e che più spesso nello straordinario scenario di una città scavata/scolpita nella pietra nuovi esiti della sperimentazione artistica a tre (e più) dimensioni trovino asilo per dirci con modalità sempre diverse chi siamo e chi potremmo essere.
Lia De Venere
Matera // fino al 17 novembre 2012
Periplo della scultura italiana
a cura di Giuseppe Appella e Marta Ragozzino
SEDI VARIE
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