Evaporati. Mai termine fu più sinistramente azzeccato; mai parola riuscì a rendere quel senso di aleatorio abbandono e scoramento nei confronti della misteriosa gestione della cosa pubblica. Evaporati: termine (in)felice pescato da Francesco Nariello, autore dell’inchiesta shock su Il Sole 24Ore. Nel calderone sempre meno ricco delle casse dello Stato si sgomita, e anche risorse apparentemente blindate finiscono per essere dirottate, deviate, spostate, cancellate. A farne le spese, tra gli altri, il comparto dei Beni Culturali: pratica consolidata in un Paese che blatera da un quarto di secolo sul potenziale dei giacimenti culturali e poi chiude pozzi e oleodotti; che spara sul Colosseo calzato Tod’s ma deve sperare nei soldi della Toshiba per tenere in piedi Pompei.
Primo governo Prodi: la manovra finanziaria per il 1997 dispone, tra le altre cose, che i proventi del turno infrasettimanale delle estrazioni del Lotto venga destinato in maniera diretta al settore dei Beni Culturali. Là dove per “in maniera diretta” si intende che il flusso di liquidità non viene filtrato da altri organi dello Stato, ma arriva direttamente al dicastero all’epoca guidato da Walter Veltroni. Una mossa particolarmente fruttuosa, se è vero che già dopo un anno dall’introduzione della norma si permette di stimare in 300 miliardi di lire la somma in arrivo, entro il 2000, alle casse del Ministero. Dalla Villa Reale di Monza fino alla Domus Area: l’elenco dei beneficiari è lungo, i finanziamenti possono risolvere annose situazioni di degrado e garantire improrogabili campagne di restauro.
Quarto governo Berlusconi: la finanziaria 2008 accentua poteri e responsabilità del Ministero dell’Economia, cui spetta, tra le altre cose, il compito di raccogliere i proventi del gioco del Lotto destinati ai Beni Culturali. Salvo poi passarli ai legittimi proprietari. E poiché travasando l’acqua da un bicchiere a un altro qualche goccia scivola sempre fuori…
Erano 118 milioni di euro l’anno per il periodo 2007-2009; diventano 60 milioni nel 2010, quando il governo decide di passare dalla pianificazione triennale a quella annuale, nel tentativo dichiarato di snellire una gestione altrimenti ingessata e poco attenta alle repentine mutazioni dell’economia generale dello Stato. Attenzione alle cifre però: i dati si riferiscono agli ottimistici preventivi di spesa, là dove i consuntivi a bilancio risultano ben diversi: 106 milioni nel 2007, 89 milioni l’anno successivo; 78 nel 2009. Cifre comunque da nababbi, se paragonate ai 50 milioni scarsi messi a bilancio nel 2011 e riconfermati per l’anno successivo.
Governo Monti: chi pensava che la finanza creativa appartenesse alle brillanti evoluzioni di un funambolico Tremonti deve ricredersi. Perché a fare i salti mortali, tripli e carpiati, è anche la banda dei tecnici: che non disdegna di indossare il cappello dell’illusionista, facendo sparire soldi là dove ci sono per farli spuntare altrove. Si scopre così che, ad esempio, la cospicua quota statale dell’Otto per Mille per il 2011 (145 milioni di euro) è stata completamente sacrificata in nome della voracità della macchina pubblica, finendo a foraggiare la Protezione Civile, il mantenimento di carceri ormai allo sbando e, per quasi un quarto delle risorse complessive, non meglio specificate “esigenze dei conti pubblici”. Una scelta che segna un’ulteriore emorragia per i soldi destinati al settore della cultura. Al netto delle decurtazioni di legge il gettito IRPEF, nel 2000, aveva messo nelle mani dello Stato, via Otto per Mille, circa 20 milioni di euro: il 67% era stato investito nella conservazione dei beni culturali, religiosi e non. Oggi, di quel tesoretto pur minuto, non resta nemmeno un centesimo. Mentre resta, preceduta dal segno meno, l’impressionante cifra di denaro che in soli cinque anni è stata scippata a un settore che continua a vestire i panni del figlio della serva.
Francesco Sala
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