Ho la netta sensazione che viviamo in un mondo che può essere considerato una grande mostra di arte contemporanea, fatta di oggetti, progetti e performance. La realtà spesso si confonde e supera la fantasia, quindi dobbiamo smettere di rimanere ingessati, rifugiati e quasi impauriti dentro il museo, la galleria d’arte o lo spazio non profit.
Rispetto a questa “mostra-mondo”, continua ed estesa, ci ritroviamo spesso impreparati. Subiamo questa grande mostra, azzardiamo dei titoli per le “opere”, cerchiamo il comunicato stampa giusto, cerchiamo persone che consideriamo più brave di noi per spiegarci l’opera che non capiamo. Spesso sbagliamo “didascalie” e titoli. Ci arrabattiamo per gestire la cosa e per visitare la mostra nel migliore dei modi.
Spesso avviene come quando in Tetris iniziano a scendere i pezzi sempre più velocemente, e non abbiamo più il tempo di incastrarli adeguatamente. L’arte contemporanea, quando è efficace, dovrebbe fornire un’opportunità preziosa: uno spazio protetto e controllato dove allenarsi a incastrare i pezzi del Tetris nel modo migliore. Diversamente a cosa serve l’arte? Le emozioni e l’investimento economico devono necessariamente essere conseguenze e non certo obiettivi.
A un certo punto la mamma deve abbandonare il figlio e permettergli di fare la sua vita, per il suo bene. Allo stesso modo, l’artista abbandona sempre l’opera. Qui nasce un problema, in quanto lo spettatore è lasciato solo con l’opera: ci rimangono solo tre indizi. Il primo indizio è l’opera come progetto finito; il secondo indizio è la didascalia (titolo, materiali utilizzati, autore, data) e il terzo indizio è il contesto (dove si pone l’opera attraverso il mezzo che l’artista ha scelto per progettare l’opera). Nella testa dello spettatore si materializza l’opera X quando inizia un dialogo tra l’opera finita, la didascalia e il contesto. Ognuno di noi ha diverse capacità nel far dialogare questi tre elementi, mentre spesso ci dimentichiamo di prendere sul serio uno dei tre elementi o arrivano a influenzarci altri elementi come critici o comunicati stampa.
Fuori dal museo, nel mondo, avviene la stessa cosa: se siamo in mezzo alla strada e un’auto ci viene incontro, pensiamo subito alla didascalia giusta. L’auto che ci viene incontro è un “progetto finito”, il contesto “strada” è un elemento determinato, mentre rimane la didascalia, che nel mondo la facciamo noi. A differenza del museo, nel mondo abbiamo la grande opportunità di fare noi le didascalie. Una grande opportunità che può anche diventare un’arma a doppio taglio: cambiare le didascalie di una mostra significa cambiare la mostra, ma cambiare le didascalie può anche portare a una mostra e a un mondo peggiori. Lo spazio protetto dell’arte può fornire quell’esercizio interpretativo che risulta utile e prezioso nel definire le didascalie per la mostra-mondo. Quindi l’arte non è necessariamente una cosa semplice e diretta, esattamente come il mondo non è semplice e diretto.
Almeno in Italia l’arte, nella sua accezione più larga, non è considerata una cosa seria. “Con la cultura non si mangia“, dichiarava recentemente qualche esponente politico, senza pensare che siamo costantemente immersi in una grande mostra d’arte che subiamo senza consapevolezza. La politica invece sarebbe importante se per magia in Parlamento, a differenza del museo o della galleria d’arte, si materializzassero le buone cose che fanno stare meglio tutti noi dal punto di vista economico e sociale; ma abbiamo visto che sistematicamente questa speranza viene illusa e delusa. È evidente che la radice del problema non è dentro il Parlamento ma è fuori, ed esattamente nel Parlamento che abbiamo intorno a casa nostra; come a dire che il problema non è Berlusconi, ma il berlusconismo che permane anche quando Berlusconi decide di non candidarsi, che pervade trasversalmente tutti gli schieramenti politici e anche le persone più insospettabili.
Ci sarà un cambiamento quando le persone smetteranno di lamentarsi del Parlamento e avranno la capacità di curare al meglio il loro “Parlamento quotidiano” che, insieme a quello degli altri, va a formare la mostra chiamata mondo.
Luca Rossi
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