Chester caput mundi. Adam Carr dixit
Jacqueline Bebb, Timmy Foxon, Ryan Gander, Tom Howse, Max Hymes, Stuart Middleton, Hannah Perry, Jesse Wine. Li accomuna il fatto di essere riuniti in una collettiva curata da Adam Carr e allestita alla galleria romana CO2 di Giorgio Galotti. Ma soprattutto sono tutti nati e cresciuti a Chester. Come lo stesso Adam Carr. La cittadina britannica dal passato romano rappresenta un paradigma? Ce lo siamo fatti spiegare da curatore e direttore.
Nella pratica degli artisti giovani o comunque contemporanei è contemplabile la possibilità di creare gruppi, correnti, comunità? Tutto questo è compatibile con le modalità che oggi sono proprie di un artista contemporaneo?
Giorgio Galotti: Forse un artista potrebbe rispondere in modo più ampio, ma credo che in questi anni si sia ricreata una sana voglia di allearsi, confrontarsi, mettersi in gioco anche attraverso reciproci scambi di vista. Questo da una parte contamina terribilmente, dall’altro lato, però, migliora ed esalta le potenzialità di un artista a raccontare in modo più intenso la nostra era.
Quali sono gli esempi in questo senso a livello internazionale? Oltre Chester naturalmente…
G.G.: Beh in Inghilterra mi sembra ben sviluppato questo fenomeno, vedi la scuola Goldsmith’s o Royal Academy (praticamente piccole città) dove gli artisti si sentono appartenenti a un corpo unico, dove gli stessi partecipano reciprocamente alle inaugurazioni dei loro amici artisti, dove il sostegno e lo scambio è continuo. In Grecia ho notato la stessa voglia di alleanza, vuoi per la forte crisi di sistema, vuoi per necessità di creare un pensiero comune. In Italia ad esempio noto una certa somiglianza di questa tipologia di collaborazione fra gli artisti usciti da Brera o dal sistema Careof: si sostengono a vicenda, si invitano reciprocamente, c’è un forte scambio e una sana influenza tra loro.
Il concetto di “provincialismo” ha ancora senso oggi ai tempi di Twitter, Facebook e Skype? Per non essere provinciali, ammesso e non concesso che questo sia un difetto, occorre davvero essere presenti “fisicamente” nei luoghi nodali del sistema dell’arte?
G.G.: Certo che ha senso, forse più di prima! Grazie a questi sistemi di comunicazione, diminuisce la solitudine quotidiana ma aumenta l’isolamento della persona, aumenta la necessità di riscontrare se il proprio lavoro collima con quello degli standard nazionali o internazionali, altrimenti non si sentirebbe la necessità di andare a lavorare in realtà più ampie. Pensa a Berlino, New York, alla stessa Roma, strapopolate di artisti.
Il modello-Chester è una matrice replicabile anche su infinite altre città medio-piccole o è un modello tailor made su una singola realtà? La ricerca si potrebbe applicare, chessò, a Lecce, a Siena, a Cremona o a Vicenza o magari a Senigallia che con Chester è gemellata?
Adam Carr: Sebbene la mostra si concentri principalmente su Chester, lo stesso processo di ricerca potrebbe essere applicato a qualsiasi altra città più o meno piccola e costituire la base per la costruzione di un’altra mostra.
Questa esposizione è in parte autobiografica, ma è anche una risposta al luogo in cui la mostra è allestita. Spesso ho pensato a come il fatto di venire da Chester abbia contribuito alla costruzione di chi sono adesso e a come vrei potuto incorporare la mia propria storia in una mostra. Ho lavorato con parecchie volte con Ryan Gander: anche lui viene da Chester e, in diversi lavori, si è riferito alla città. Mi ha presentato il lavoro di altri artisti nati e cresciuti a Chester – sono tutti in questa mostra – e cià mi ha portato a trovare altri artisti della stessa città. La mostra dà voce al passato e al presente di Chester per il visitatore, ma dice anche qualcosa agli stessi artisti sulla loro storia. Chester è nota per l’occupazione romana e ne restano numerose tracce nella Chester odierna, tracce che attraggono turisti da tutto il mondo. La mostra esplora la possibilità che Chester stessa sia una mostra, ma anche, così facendo, rende la mostra rilevante per un pubblico romano al di là delle opere esposte. La mostra include inoltre una presentazione di materiali sull’eredità romana di Chester.
Quanto pesa in un Paese come il Regno Unito non essere nati, cresciuti e formati a Londra? La presenza di una città così importante rende automaticamente provinciale tutto il resto del Paese come succede in Francia, negli Stati Uniti (fuori da New York e Los Angeles), ma non in Italia ad esempio?
A.C.: Sebbene tutti questi artisti siano nati e cresciuti a Chester, ora vivono e lavorano in altre città, soprattutto a Londra. Ovviamente Londra è l’epicentro dell’artworld nel Regno Unito e questa è una cosa irreversibile, ma mentre gli Anni Novanta sono stati dominati dalla scena londinese, gli artisti più giovani si stanno spostando verso Berlino, Francoforte, Parigi, Stoccolma…
Massimiliano Tonelli
Roma // fino al 23 febbraio 2013
Chester
a cura di Adam Carr
CO2 GALLERY
06 45471209
[email protected]
www.co2gallery.com
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati