Collezionisti in primo piano. Antonio Martino
Da riservati e dietro le quinte a soggetti attivi del mondo dell'arte. Ne abbiamo parlato e ne parliamo proprio con loro, per capire le ragioni di questo fenomeno. Ripercorrendo, nel frattempo, la loro storia (nell'arte). Il primo protagonista di questo percorso viene dalla Capitale: è Antonio Martino.
Nel corso del tempo il ruolo del collezionista nel sistema dell’arte si è modificato. Da riservato e dietro le quinte è diventato sempre più protagonista e in prima linea. Secondo te, cosa è cambiato? Perché il collezionista si è trasformato in un soggetto attivo?
Diciamo che non è cambiato il collezionista, ma i tempi… E poi, rileggendo la storia di famosi collezionisti, mi son sembrati, in tempi non sospetti, tutt’altro che passivi, incidendo pure sull’attività degli artisti, galleristi e musei e collaborando con critici e curatori, lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte contemporanea e nella sua propagazione. Sono stati geniali e lungimiranti e devo dire fortunati, perché forse era più facile riconoscere e distinguere il livello degli artisti rispetto al caos odierno in cui l’eccessiva proposta, gli interessi economici, l’approccio superficiale sovverte i valori. Oggi il collezionista è palesemente più in prima linea perché riempie uno spazio vuoto lasciato dalle istituzioni o perché è più narcisista, o ancora perché è un imprenditore mascherato, o perché è più facile oggi comunicare ed avere visibilità.
A livello internazionale, il collezionista è diventata, inoltre, una figura attiva nel sistema dell’arte. Partecipa nei board dei musei, alle raccolte fondi, è spesso un donatore. A tuo parere, al di là delle specifiche azioni, quale deve essere il suo ruolo e impegno nel sistema dell’arte?
Propagare il messaggio positivo dell’arte contemporanea, e la propria passione, esperienza e cultura, tramite i mezzi e possibilità a propria disposizione e di non utilizzare l’arte per business e interessi personali sotto mentite spoglie di operatore culturale interessato esclusivamente alla cultura e al bene della comunità. E poi di non farsi coinvolgere dal mercato e dalle mode, di ragionare con la propria testa e di portare avanti con coraggio ciò in cui crede…
Anche le collezioni private sono mutate in luoghi in cui avvengono delle cose, spesso diventando il cuore di mostre dedicate negli spazi museali. Cosa vedi in questo fenomeno, un bisogno di storicizzare delle esperienze, la presa di coscienza che molto spesso nell’arte contemporanea italiana il privato è arrivato prima del pubblico o un effetto della crisi degli spazi museali?
Le tre opzioni sono tutte valide e aggiungerei però un po’ di pigrizia e mancanza di fantasia nella gestione e utilizzo delle stesse da parte dei curatori.
A te come è nata la passione per l’arte?
Da ragazzo avevo già una forte predisposizione al collezionare e sensibilità per il bello. Con il trascorrere del tempo, di pari passo con una fisiologica maturazione, affinavo e destinavo le mie attenzioni verso oggetti che, oltre a soddisfarmi esteticamente, solleticassero questo mio impulso di possesso pure cerebralmente, inondandomi di sensazioni ed emozioni sempre più complete ed appaganti….. Direi che la mia passione nella fattispecie per l’arte contemporanea nasce a fine Anni Ottanta, quando trentenne, curioso e alla ricerca sempre di nuove emozioni, andai nel retrobottega di un rigattiere e nella penombra, tra suppellettili impolverate e antichità, fui folgorato positivamente nel trovarmi di fronte un quadro di Mario Schifano degli Anni Settanta, che mi proiettò rapidamente nel bisogno urgente di confrontarmi con un’arte a me più contemporanea.
Ci sono stati delle fasi nel tuo percorso? E da cosa sono state dettate, più da momenti personali o dalla storia nel suo svolgimento?
Le fasi legate a una maturazione cronologica e intellettiva sono un work in progress naturale per me, collezionista nell’anima: figurine Panini, francobolli, monete, poster, litografie, orologi, gemelli, anticaglie e suppellettili, fino all’incontro fatidico, che ha annullato tutto il mio pregresso. Cronologicamente mi sono avvicinato all’arte contemporanea da inesperto e autodidatta quando ho conosciuto la mia ex moglie, con la quale mi sono sposato nel 1990 per separarmi nel 1997. E durante il matrimonio e la successiva crisi, il mio legame con l’arte contemporanea è divenuto sempre più intimo e viscerale.
I tuoi primi e i tuoi ultimi acquisti.
Le opere che sono fin dall’inizio nella mia collezione sono quelle di Ontani, Boetti e Salvo, perché ancora dopo tantissimi anni mi coinvolgono come allora. Riguardo alle “ultime”, diciamo che l’aggettivo non mi è congeniale: per me l’ultima è sempre la prima. Comunque, essendo passato un po’ di tempo, forse un grande cartone del ’78 di Carlo Maria Mariani dedicato al mito di Orfeo, simbolo della potenza e immortalità dell’arte.
Ma c’è un filo conduttore?
C’è sempre stato, ma ultimamente è più impellente il bisogno di un’iconografia in cui sia rappresentata la figura umana.
Se dovessi convincere qualcuno a fare lo stesso, quali argomentazioni useresti?
Ogni percorso è personale e nasce spontaneamente. Potrei dare dei consigli generali e oggettivi per non commettere errori… Anche se io non li ho avuti e sono cresciuto, migliorato e maturato, sbagliando. Ma la mia storia lunghissima, sofferta e ricca di aneddoti, senza essere assolutamente la migliore o l’unica, fa storia a sé, e per come oggi è cambiato il mondo e il modo di collezionare e il sistema dell’arte, ha un sapore anacronistico irripetibile anche perché l’arte contemporanea non è stata per me un passatempo o un diversivo bensì una delle priorità che ha condizionato pure economicamente la mia vita e il modus vivendi.
Santa Nastro
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