Fondazione Donnaregina e Madre. Da otto a uno
Da una commissione di otto ne verrà fuori uno, il direttore del museo napoletano. Ma da otto a uno sono anche i milioni di euro di debiti rientrati. Il governo dei professori usa le forbici e risana i conti. All’esordio della nuova stagione del Madre e alla vigilia dell’inaugurazione della mostra su Sol LeWitt e la sua collezione, ne parliamo con il presidente della Fondazione Donnaregina, Pierpaolo Forte.
Come sta andando, a circa un anno dal suo insediamento, questa fase di traghettamento del Museo Madre verso un nuovo corso?
Stiamo lavorando per stabilizzare la struttura della Fondazione Donnaregina. La modifica statutaria fatta durante la presidenza dell’assessore Miraglia ha comportato fondamentalmente tre mosse: l’individuazione del nuovo direttore generale, che in precedenza veniva scelto fiduciariamente, ora è stata affidata a professionisti attraverso un sistema concorsuale. La seconda mossa è la scelta di avere un presidente dedicato di incarico triennale [il precedente presidente della fondazione, da statuto, coincideva con il presidente della Regione Campania, N.d.R.]. La terza mossa è stata quella trasformare la durata dell’incarico del direttore, da tempo indeterminato a quinquennale.
Questo è un aspetto strutturale interessante, che rientra nella dimensione della gran parte dei musei del mondo, e che risponde alla necessità di pluralismo. Cioè è impensabile che una stessa persona, uno stesso gruppo, uno stesso modo di vedere le cose vada avanti indefinitamente, perché il tutto rischia di diventare una cosa personale. E forse questo è un punto che si intravede anche in tante delle polemiche che abbiamo alle spalle. Vorremmo però contornare queste misure statutarie da misure ulteriori di carattere tecnico, che consentano di fare in modo che questo luogo diventi indifferente a eventuali cambi politici della Regione, che ne rimane comunque il proprietario.
Quand’è quindi che avrete un nuovo direttore generale?
Entro dicembre contiamo di chiudere il procedimento. Chiunque sceglieremo sarà triste dover rinunciare ad altri candidati, perché per fortuna ci sono state eccellenti candidature, ma dovremo scegliere naturalmente, e cercheremo di scegliere il più appropriato, anche a questo momento storico, che non è detto sia il migliore o la migliore in assoluto. Bisogna anche, secondo me, valutare il momento nel quale ci troviamo e le condizioni di contorno oltre che i bisogni fondamentali. Naturalmente poi la commissione è al lavoro, siamo otto persone quindi neanche a dire che chissà quanto possa influire l’opinione di un singolo all’interno della commissione, per quanto la presieda.
Anticipazioni sulla nomina del direttore non ce ne darà, lo sappiamo, però cosa ci può dire su questo iter concorsuale?
Abbiamo avuto 33 domande, da italiani e stranieri, fra i quali molte donne. Moltissime provenienti da persone che avevano esperienza di direzione in Italia o all’estero. Siamo molto soddisfatti di questo risultato, anche perché la stessa formula concorsuale non è graditissima. I grandi nomi, com’è ovvio che sia, non è che amino mettersi in concorrenza. Invece, l’aver constatato che ci sono state delle persone interessanti e valide che hanno deciso di sfidare questa procedura, ci ha reso veramente molto soddisfatti.
Il bando prevedeva che, dopo aver fatto una graduatoria attraverso una tecnicalità di voti, la commissione potesse scegliere se proporre direttamente un nome o se chiamare a colloquio i primi cinque. Posso dire che la commissione ha deliberato di chiamare a colloquio i primi cinque candidati.
Sarà resa pubblica anche la rosa dei cinque?
No, la Fondazione non dirà nulla, dirà solo il nome del vincitore alla fine. Chiunque dei candidati decidesse di parlare è libero di farlo, ovviamente, ma noi non diremo nulla, è una questione di riservatezza.
Ci risentiamo allora il 29 dicembre?
Forse un po’ prima.
La tengo sul tema economico, perché è quello che probabilmente sarà sempre di sua competenza. Commentando i Cinque cerchi, vostro primo documento di indirizzo: va da sé che un museo debba sempre avere l’aspirazione a una dimensione via via più internazionale, sembra quindi che la strategia territoriale individuata sia stata pensata apposta per poter attingere a successivi Fondi Europei di Sviluppo Regionale, man mano che ci si sposta da una dimensione metropolitana a una regionale, interregionale, mediterranea e mondiale. È così?
La lettura dei Cinque cerchi va fatta da sinistra verso destra e non da destra verso sinistra, cioè non siamo partiti dai fondi per arrivare alla strategia ma, al contrario, abbiamo definito la strategia e in relazione a essa abbiamo provato a dare la dimensione del quadro finanziario che poteva essere utilizzato, senza gravare sul bilancio ordinario della Regione.
Dal punto di vista finanziario il fatto fondamentale è che il Madre sta eliminando completamente la sua parte debitoria. Io sono entrato qui dentro in una condizione disperata: più di otto milioni di euro di debiti. Con varie misure e con vari interventi siamo riusciti a portarli a poco più di un milione e confido che nel giro di poco tempo risolveremo anche questo. Ciò sbloccherà un discorso che fino ad adesso non ho potuto affrontare, perché sono cosciente che non mi posso presentare al mondo imprenditoriale, quello che potrebbe diventare partner dei progetti, se non con un bilancio assolutamente pulito.
Commentando ancora il documento degli indirizzi strategici della Fondazione Donnaregina, al suo interno la cosa meglio delineata, per la quale si spende un numero di parole superiore a qualsiasi altro punto strategico, è quello del Progetto XXI in collaborazione con la Fondazione Morra Greco. Provenendo lei da quella esperienza, perché scegliere di privilegiare la cooperazione con una struttura con la quale ha collaborato? Avendo, per di più, il Madre sofferto di eccessivi personalismi proprio nelle relazioni istituzionali?
C’è una prima considerazione di carattere generale da fare: noi siamo senza direttore e in una lunga attesa che venga definito, si insedi e che possa diventare operativo. Quando si è trattato di decidere cosa fare e come farlo, lo abbiamo in realtà impostato in una maniera che non tutti hanno compreso. Il Progetto XXI è un progetto di esplorazione dell’arte più giovane per noi a costo zero. È piuttosto la Fondazione Morra Greco che apporta al progetto della Fondazione Donnaregina risorse materiali e intellettuali.
Il modello a cui ci siamo ispirati, naturalmente fatte le debite proporzioni, è quello che il MoMA ha fatto all’inizio degli Anni Settanta con il PS1, cioè affidare la ricerca a una struttura libera di muoversi molto più francamente, senza implicazioni di musealità e, soprattutto, senza coinvolgere il MoMA in tutto quello che fa. Questo è un modello con il quale noi incominciamo un sistema di relazioni. Abbiamo iniziato anche a farlo con il Museo Nitsch e con l’Accademia di Belle Arti. Sono tutti sistemi relazionali che avvertiamo la responsabilità di instaurare. Sentiamo la responsabilità di essere il centro di un sistema e quindi non abbiamo nessun timore di avere relazioni, di avere collaborazioni, di rafforzarci reciprocamente, persino con le gallerie che, naturalmente, hanno tutta una parte business che a noi non interessa.
Chi conosce la storia di questa città sa che, dal punto di vista artistico, negli ultimi quarant’anni è stata crocevia dell’arte mondiale, e non certo perché esistevano istituzioni a occuparsene, tutto il movimento è stato fatto da soggetti che hanno dimostrato il loro valore.
Fermo restando che la decisione di come fare tutto ciò di cui ho parlato spetta al direttore generale, ed è col direttore generale della Fondazione Donnaregina che la discuteremo.
La mostra di Sol LeWitt e della sua collezione era già stata programmata dalla precedente amministrazione?
No, la cosa è nata in maniera molto semplice. Non avendo ancora il direttore non volevamo fare nulla che potesse implicare la sua libertà di indirizzo. Essendo in rapporti con la LeWitt Collection, abbiamo verificato la possibilità di fare una coproduzione insieme al Centre Pompidou di Metz, che stava lavorando alla prima esposizione della collezione personale di Sol LeWitt in Europa. Inoltre, Adachiara Zevi lavora da molti anni sull’opera di Sol LeWitt, con un’indagine e una ricerca molto approfondita, così le abbiamo chiesto se potesse curarla e si è dichiarata entusiasta dell’idea. C’è sembrato infine che fosse possibile commentarla con le opere italiane dell’artista. Così è nata la mostra.
Sol LeWitt ha una lunga relazione con la città di Napoli e il territorio campano, dunque sembra un’ottima ripartenza. È una mostra che costata molto? È un modello ripetibile?
La mostra è costata poco più di 300mila euro oltre Iva e quindi una misura assolutamente tollerabile. Non è il caso di fare paragoni con il passato del Madre. Noi abbiamo dei budget molto fermi e questa è una nuova strategia che tra l’altro imponiamo a coloro che lavorano qui e sarà anche un metodo per il direttore. Cioè, noi possiamo muovere all’interno del budget, se c’è una necessità, spostando da una voce a un’altra, ma non possiamo muovere il tetto del budget.
È stato fatto il catalogo? Perché questa rappresenta una voce importante sul piano dei costi…
Per il catalogo abbiamo avuto un problema di tempo. Perché la delibera regionale con la quale siamo potuti ripartire dal punto di vista finanziario è arrivata a fine luglio. Agosto è un mese franco in tutta Europa, quindi abbiamo potuto dare per certo che lavoravamo a questa mostra agli inizi di settembre. Non è stato possibile arrivare con il catalogo entro l’inaugurazione della mostra. Lavoriamo però per avere un catalogo che dia conto di questa esposizione dal punto di vista della registrazione documentale. Nel frattempo però abbiamo la fortuna che, contemporaneamente, esce il libro di Adachiara Zevi che ha una sua assoluta coerenza con la mostra, non lasceremo quindi il pubblico sguarnito.
Per non gettare via il bambino con l’acqua sporca, le cose belle che abbiamo visto al Madre sono state, in prevalenza, importanti personali con bei cataloghi…
Sì, io penso che questa cosa rimarrà naturalmente, però devo dire che mi auguro di poter aprire, una volta insediato il nuovo direttore, o la nuova direttrice, un discorso pubblico in ordine alla collezione del Madre, questo è un passaggio assolutamente evidente.
Quindi ci sono i fondi per le acquisizioni?
No, vanno costruiti. Ed è un’altra delle mie missioni. È una delle principali cose che io avverto come dovere. Sono confidente di riuscire a farlo progressivamente, entro il 2013 avremo una nuova collezione del Madre. È un obiettivo che ci diamo esplicitamente.
Con prestiti organizzati come?
Se faremo prestiti, e ne faremo senza dubbio, saranno strutturati in maniera molto diversa dal punto di vista giuridico. Ci siamo già passati per i prestiti capestro, diciamo così, e non abbiamo nessuna intenzione di rifarne. La realtà che a noi interessa molto, al di là dell’aspetto tecnico giuridico, è il profilo della identità. Io mi affido totalmente alla definizione di museo, accolta come standard internazionale dall’ICOM, ovvero che il museo è fondamentalmente una collezione. Questo museo ha solo sette opere di proprietà. Dobbiamo cercare di organizzare una collezione che possa vantare un filo rosso, cioè che possa dire perché si trova qui e non altrove. Credo che ci siano possibilità di azione. I primi confronti che da mesi sto avendo mi danno conforto. Abbiamo un’idea, la discuteremo col nuovo direttore, se lui sarà d’accordo, se non avrà un’idea migliore, quello sarà l’indirizzo del museo. Entro il 2013 noi dobbiamo raggiungere questo risultato.
Quindi lei ha ancora parecchio a cui lavorare.
Moltissimo, ecco perché ho estremo bisogno del nuovo direttore, per poter liberare energie per tutto questo.
Giovanna Procaccini
Napoli // fino al 1° aprile 2013
Sol LeWitt – L’artista e i suoi artisti
a cura di Adachiara Zevi
MADRE
Via Settembrini 79
081 19313016
www.museomadre.it
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