Il pianto di Higgs, la scienza e l’arte
Nel luglio scorso, tutto il mondo ha visto le immagini di un distinto signore inglese sull’ottantina che piangeva: sobriamente, come ci si aspetta da un inglese, ma piangeva. Era seduto in una fila qualunque di un auditorium pieno di gente che si era alzata in piedi per applaudire.
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L’auditorium era quello del CERN di Ginevra, uno dei più importanti laboratori di fisica al mondo, e il signore che piangeva si chiama Peter Higgs, fa il fisico, e una cinquantina d’anni fa ha avuto un’idea che poteva spiegare come funziona un pezzo del mondo.
È sempre complicatissimo stabilire chi ha avuto per primo un’idea, e quell’idea era venuta più o meno nello stesso periodo anche ad altre persone. Ma insomma, alla fine il nome del signor Higgs è rimasto legato a quell’idea più di quello degli altri. A luglio, in quell’auditorium, il signor Higgs piangeva perché finalmente, dopo cinquant’anni, aveva avuto la conferma di aver visto giusto.
Ecco: quello che è successo lì, in quell’auditorium, con tutto il mondo che guardava, è una rappresentazione epica e colossale della bellezza della scienza. Qualcuno ha un’idea e cinquant’anni dopo – grazie al lavoro di tantissime altre persone e alla costruzione di una macchina talmente complessa e bella che bisognerebbe andarci in visita come nelle cattedrali, per ammirarla e farsi schiacciare da quella grandezza anche senza capirne niente – viene fuori che quell’idea ha davvero catturato qualcosa dell’architettura della realtà. Qualcosa di così poco evidente, una cosa così sfuggente e strana da essere rimasta nascosta per miliardi di anni, dall’origine dell’universo, fino a quando siamo arrivati noi primati evoluti, coi nostri strumenti, a stanarla. È il trionfo della ragione e della logica, la dimostrazione che il puro pensiero, per ragioni che nessuno saprebbe spiegare completamente, riesce ogni tanto a intravvedere qualche frammento della trama di cui è fatto il cosmo. Ed è anche un esempio di quello che possono fare gli esseri umani quando mettono insieme i propri talenti per un obiettivo comune.
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Amedeo Balbi
Ci emozioniamo per la creazione artistica, per i movimenti della storia, per le idee politiche, anche semplicemente per un’impresa sportiva. Ma la maggior parte delle persone non sa – perché non glielo hanno mai spiegato – che ci si può emozionare per aver sbirciato dentro i meccanismi che governano l’universo. I grandi scienziati, invariabilmente, descrivono il momento in cui hanno avuto la loro idea migliore, o fatto la loro scoperta più importante, come l’emozione più forte della loro vita.
Purtroppo, non capire molto di scienza, guardarla con sussiego – come una forma di sapere di secondo piano, da tecnici – o addirittura con aperta diffidenza è un enorme limite che affligge ancora gran parte del mondo culturale, intellettuale e artistico, soprattutto nel nostro Paese. Così, si continua a vedere la scienza come qualcosa di alieno, di freddo, di disumano e non, come dovrebbe essere, come una delle imprese più alte e nobili del genere umano. Un’impresa capace anche di emozionare. E le lacrime di Higgs resteranno senza un cantore che sappia celebrarle.
Amedeo Balbi
astrofisico e divulgatore, insegna all’università di roma II – tor vergata
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #9
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