“Imprenditoria culturale”: un’associazione di parole che suona ossimorica. Spesso, nelle visioni stereotipate, all’imprenditore è associata la bramosia del profitto ad ogni costo; dall’altro lato, la cultura è vista come un hobby, qualcosa che non fa portare a casa la cena, un gioco a perdere. E se nell’Europa odierna l’imprenditoria culturale è soffocata da tagli generalizzati dei fondi pubblici, dai quali è fortemente dipendente, oppure, come in Spagna, da un aumento spropositato dell’Iva dall’8 al 21%, c’è chi crede che in America Latina come in Africa possa essere un volano per uno sviluppo economico e sociale. Uno strumento che non si limiti allo sviluppo di mera occupazione ma anche alla formazione di un know how autoctono, che possa fiorire e moltiplicarsi, generando e consolidando un’identità contemporanea in Paesi dove alla cultura si arriva direttamente dalla coltura, lasciando impliciti i benefici sociali e civili che possono ramificarsi in democrazie (quando va bene) giovani e indecise.
Chi crede in questo è la Fondazione Interarts di Barcellona che cha sviluppato il programma FOMECC (Fomento empresas culturales y creativas), con il sostegno finanziario dell’agenzia di Cooperazione allo Sviluppo spagnola (AECID). Il programma esiste già da qualche anno e si è impiantato soprattuto in Colombia, Perù, Honduras, Senegal e Niger, con attuazioni diverse in base alle specifiche nazionali, in ogni caso diviso per tappe che vanno dal bando per la selezione dei progetti proseguendo all’incubazione vera propria di quelli selezionati e continuando con l’assistenza tecnica e la formazione del personale coinvolto. Senza dimenticare la promozione assicurata alle neonate imprese, le ormai famigerate start-up.
Solo in Colombia ai tre diversi bandi hanno concorso 169 proposte di progetto e ben 111 sono entrate nel programma concretizzandosi. Tra questi spicca ad esempio la casa di produzione audiovisuale El Bus producciones che ha avuto una buona risonanza internazionale producendo tra gli altri il documentario The sand and the rain, commissionato dal governo del Qatar e presentato anche al Doha Tribeca Film Festival. In Perù da FOMECC è nata una fiera che ha riunito a inizio di quest’anno, gli artigiani creativi incubati dal programma. In Senegal, terra fertile per l’arte visiva e dal radicato umanismo francese, sono nate diverse proposte creative dare un’occhio per esempio FDÉCO della giovane Fatou Kiné Diakhate, con le sue decorazioni piene di gioia e di colore che spaziono dall’interior al green design. In questo contesto, il programma FOMECC tenta un’ulteriore salto di qualità con la recentissima introduzione di FOMECCnet e l’imminente avvio del progetto FomeccBiz, due social network che nascono con l’intenzione di stimolare la coproduzione di progetti culturali tra operatori appartenenti a differenti organizzazioni, con particolare attenzione ad Africa, America Latina ed Europa. L’obiettivo è che da un contatto online nasca una collaborazione offiline tra soggetti che difficilmente si incrocerebbero in altro modo, aprendo un palcoscenico dove nuovi attori si possano mettere alla prova in nuove variabili e nuovi “matrimoni”.
Sarebbe sbagliato guardare con sufficienza all’iniziativa, plaudendo alle intenzioni sociali e tralasciando le implicazioni imprenditoriali. Organizzazioni europee possono connettersi con operatori locali (ma ovviamente anche tra loro) di Paesi emergenti e in via di sviluppo iniziando un dialogo, scoprendo affinità. Non solo motivate dalla volontà di contribuire allo sviluppo culturale di Paesi piú disagiati, ma con la voglia di trovare opportunità altrove, sviluppare business insieme, e stimolare uno spirito imprenditoriale (e di autodeterminazione) che si ripercuota poi come una forma di auto-aiuto. A livello economico, si intende.
Nicola Zanella
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