Israele è a Roma
Verrà presentato domani 18 dicembre (ore 18.30) al Macro il libro About Paper. Israeli Contemporary Art. Edito da Postmedia Books. Ultima tappa di un progetto dal titolo omonimo: con una serie di mostre ospitate dalla galleria romano Marie-Laure Fleisch. La più recente, che chiuderà il 16 febbraio, vede protagoniste Etti Abergel e Yael Balaban, con una performance di Ofri Cnaani. Ne abbiamo parlato con Ruth Direktor, Drorit Gur Arie, Ronit Sorek e Giorgia Calò.
La Primavera araba, l’espansione economica turca e balcanica, la crisi, il cambio di governo in Spagna, Francia, Italia e Grecia. Gli ultimi due anni sono stati cruciali nella definizione di un nuovo scenario politico, culturale ed economico nel Mediterraneo. Il 2012 è stato inoltre un anno memorabile per l’arte a Tel Aviv. Quale spazio è destinato alla cultura israeliana nel rinnovato panorama di questa macroarea? In che modo l’arte più recente è riuscita a intercettare il segno di questo cambiamento?
Ruth Direktor: Credo esista un linguaggio dell’arte contemporanea che travalica l’identità locale. La stessa storia del popolo ebraico – l’influenza ampiamente occidentale sulla sua cultura – e la sua attuale conformazione – la convivenza in Israele di popoli diversi – facilitano il processo di superamento delle barriere nazionali.
Drorit Gur Arie: Alcuni artisti israeliani si sono affermati perché la loro produzione rispecchiava le aspettative del mondo dell’arte rispetto a forme d’arte “tipicamente” israeliane. Credo sia necessario andare oltre il limite delle aspettative per considerare la produzione degli artisti israeliani non come una forma d’arte israeliana ma semplicemente come una forma d’arte. Le distanze tra le diverse realtà del Medio Oriente persistono, molti artisti palestinesi o turchi, per esempio, si rifiutano di collaborare con istituzioni israeliane.
La storia del popolo ebraico e dello stato israeliano costituisce un caso unico della storia delle nazioni. La genesi di un’identità ebraica è stata nei secoli altrettanto straordinaria. Quale ruolo ha avuto e ha l’arte contemporanea nella definizione di una coscienza nazionale dal ’48 in poi?
Ronit Sorek: Credo che il punto non sia tanto il 1948 quanto la nascita del movimento sionista prima dell’effettiva fondazione dello stato israeliano. Gli artisti della prima metà del XX secolo avevano un ruolo inevitabilmente politico perché agivano direttamente nella definizione di un’identità ebraica.
R. D.: È curioso notare come gli artisti migranti dall’Europa dell’est verso Israele abbiano introdotto nella nazione un uso strettamente politico del linguaggio dell’arte acquisito sotto il ministero di Ždanov. Gli artisti hanno continuato a fare dell’arte uno strumento di affermazione dell’ideologia sionista. In questo senso l’arte ha avuto un ruolo attivo nella formazione di un’identità nazionale. Tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio dei Settanta l’arte è riuscita ad anticipare il passaggio da sionismo a quello che è stato poi definito post-sionismo.
D. G. A.: Il lavoro di Etti Abergel è la dimostrazione dell’accesso ai codici artistici del post-sionismo. La Abergel non parla esclusivamente di Israele ma di questioni più ampie come il fenomeno della migrazione o l’incontro di culture diverse.
In che modo è percepita e vissuta la realtà dei musei in Israele?
R. D.: In una città come Roma si percepisce una grande tradizione museale che a Israele manca. Abbiamo storicamente sempre dato precedenza ai luoghi della memoria, le esposizioni e le attività museali in ambito contemporaneo sono nate come prodotto aggiuntivo rispetto a strutture pre-esistenti. È questa l’anomalia della sistema-museo in Israele.
R. S.: L’Israel Museum di Gerusalemme ha una dimensione enciclopedica che spazia dall’archeologia all’antropologia. Oggi però il comparto dell’arte contemporanea è di certo quello che attrae il maggior numero di visitatori; bambini, studenti e turisti.
About paper è il nome del ciclo di mostre alla Marie-Laure Fleisch e il titolo del libro che le racconta e le contestualizza rispetto ad una scena artistica israeliana storicamente più ampia. Quale coerenza emerge tra le diverse generazioni d’artisti nell’uso del supporto carta?
D. G. A.: Si può pensare alla carta nell’arte israeliana del XX secolo come il corrispettivo dei materiali anti-artistici utilizzati in Italia dagli artisti dell’Arte Povera.
R. D.: La carta – così come il compensato – ha rappresentato l’alternativa al supporto tradizionale della tela che appartiene alla cultura occidentale ma che è raro ritrovare in Israele. L’uso della carta è stato privilegiato – in particolar modo – dalle artiste femministe che cercavano di appropriarsi di questo medium per contrastare il predominio maschile della parola scritta.
In che modo il lavoro di Maya Attoun, Hilla Ben Ari, Yifat Bezalel, Maya Zack, Etti Abergel, Yael Balaban e Ofri Cnaani può diventare paradigmatico del corso recente dell’arte israeliana?
D. G. A.: Credo che Marie-Laure e Giorgia abbiano scelto e proposto artiste di ottima qualità che possano essere considerate come rappresentative del panorama artistico israeliano di oggi.
R. D.: Le mostre alla Marie-Laure Fleisch si concentrano sul medium carta, l’arte contemporanea israeliana contempla ovviamente molti altri linguaggi, dall’installazione alla performance. Nonostante questo, le quattro esposizioni offrono uno scorcio ampio e originale sulla produzione contemporanea al di là dei limiti del singolo medium. Il merito più grande del ciclo di About Paper è di essere uscito dai cliché dell’arte israeliana che solitamente i curatori propongono all’estero.
Marie-Laure Fleisch e Giorgia Calò sono state per le sette artiste le referenti – in Italia – del lavoro di produzione delle mostre e del volume. Che impressione hai colto del modus operandi nel circuito artistico israeliano?
Giorgia Calò: I sedici mesi di lavoro attorno a About Paper sono stati l’occasione ideale per esperire i meccanismi dell’arte di una realtà diversa da quella italiana. Tra Gerusalemme e Tel Aviv ho percepito un fermento sorprendente che si concretizza in decine di gallerie, fondazioni, accademie, musei e in una fiera – Fresh Paint – che può vantare circa 30mila visitatori. Il dato ancor più affascinante è lo stato di simbiosi sorto tra artisti, galleristi e curatori che consente una partecipazione agli eventi più diretta e attiva.
Luca Labanca
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