No Longer Empty. Quando l’arte occupa gli spazi vuoti
Il 12/12/12 è in arrivo il nuovo opening di No Longer Empty. Per l’occasione siamo andati a trovare Manon Slome, presidente e capo curatore dell’associazione newyorchese che porta l’arte in negozi e banche, dal Queens al Bronx. In spazi rigorosamente vuoti, con opere site specific.
Come e quando è nata l’idea di No Longer Empty?
No Longer Empty non è nata come associazione. Tutto è cominciato con una mostra intitolata Vuoto, qualcosa che avevo in mente per offrire una riflessione sul clima sociale ed economico del tempo. Era la primavera del 2009, la finanza mondiale aveva dato forti segni d’implosione, intorno a diversi brand importanti avevano cominciato a farsi sentire voci di fallimento e anche su Madison Avenue, storico bastione di ricchezza di Manhattan, il vuoto di molti negozi chiusi era impossibile da non notare. Decisi di fare una mostra in uno di quei negozi vuoti, ma poi mi resi conto che, una volta lì, sarebbe stato No Longer Empty, non più vuoto. Così è nato il nostro nome.
Tre anni dopo avete organizzato tredici mostre, sempre a New York. Quali sono gli sponsor principali di No Longer Empty?
All’inizio non avevamo nessuno sponsor. Eravamo soltanto qualcosa nato dal nulla, come il nome di uno dei nostri primi eventi. Oggi abbiamo un mix di donatori privati, oltre ad alcune fondazioni. Da non molto abbiamo cominciato a ottenere i primi finanziamenti governativi.
Sei stata chief curator del Chelsea Art Museum per sette anni. Cosa ti manca del mondo istituzionale dei musei?
Molto poco. Amo la libertà fuori dalle reti istituzionali e la possibilità di realizzare rapidamente progetti che altrimenti richiederebbero anni per adattarsi ai calendari dei musei. NLE ha anche una struttura molto orizzontale, in modo che tutti funzionano incredibilmente bene insieme.
Cosa manca ai musei e alle istituzioni pubbliche e che sei riuscita a trovare grazie a No Longer Empty?
Flessibilità e possibilità di cambiare facilmente i programmi. Inoltre, credo che i musei si siano allontanati troppo dal pubblico che sono destinati a servire. Voglio però sottolineare che non ci vogliamo mettere in antitesi a istituzioni o gallerie. Piuttosto vogliamo fornire un’esperienza alternativa per produrre e consultare arte. Tutte le parti dello spettro sono necessarie.
L’ultima mostra che avete organizzato, This Side of the Paradise alla Andrew Freedman Home nel Bronx, è stata uno delle migliori esposizioni dell’anno a New York. Una volta che avete lasciato la Casa Freedman, cosa sta succedendo al luogo?
In questo momento è una partita in discussione. L’obiettivo è sviluppare una comunità di base vicina al mondo dell’educazione e delle arti. Con la mostra abbiamo cercato di mettere in connessione le varie realtà culturali del quartiere. Lo spazio ha un potenziale incredibile.
Le vostre mostre sono composte solitamente da opere site specific. Quali sono le procedure generali che adottate?
Iniziamo sempre facendo ricerca sul luogo selezionato. Ci domandiamo: qual è stato l’uso precedente dello spazio? Quali sono le caratteristiche demografiche della comunità che abita la zona? Da quando il sito prescelto è nato, il quartiere ha subito cambiamenti? A questo punto si comincia a discutere la sagomatura e il tema della mostra. Quali soggetti sarebbero più risonanti? Quali artisti sarebbero più adatti al tema individuato? Nella zona della mostra abitano artisti che potrebbero essere coinvolti? Ecco i primi interrogativi da cui sviluppiamo le nostre mostre site specific.
Per la vostra prossima mostra, invece, avete scelto di riempire una banca…
Esattamente. Il 12/12 ci sarà l’opening di Quanto ti devo? Lo spazio scelto è la Torre dell’Orologio di Long Island City, nel Queens. Il posto è un’ex banca che ha chiuso i battenti. La curatela vuole essere un’esplorazione sul valore del denaro oggi, tra debiti, precarietà del lavoro e depauperamento delle materie prime.
A quando l’esordio al di fuori di New York?
La voglia e i progetti ci sarebbero. In particolare, per il primo passo fuori New York, direi Detroit. Questo potrà avvenire solo se riusciremo a crescere. Abbiamo solo tre dipendenti. Considerato che il nostro modello è facilmente replicabile, la nostra intenzione sarebbe trovare partner organizzativi in altre città, formali secondo le nostre procedure e rimanere in contatto a distanza. Vedremo se saremo capaci di espanderci al di là della Grande Mela.
Alessandro Berni
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