“Sono anch’io uno studente di Garutti”
Morbelli, Previati, Segantini battono Cataldo, Berti, Beretta: fosse una partita di basket a tre andrebbe ancora bene. Peccato si tratti di arte, e in questo campo i nostri contemporanei soffrono, scomparendo sotto l’ombra dei giganti. Riflessioni aperte e conclusive attorno alla mostra “Fuoriclasse”.
Sono anch’io uno studente dell’Accademia di Brera e ho partecipato, anni fa, alle famose lezioni di Alberto Garutti, quelle dove da vent’anni i giovani diplomati passano per scoprire se sono o meno delle promesse dell’arte contemporanea. Per questo sono corso ansiosamente alla Galleria d’Arte Moderna di Milano per vedere i lavori dei miei vari ex compagni di scuola – alcuni oggi stelle internazionali – raccolti in una mostra collettiva con l’intento di far conoscere i frutti di quest’esperienza didattica così particolare. E nel frattempo mi maledicevo per aver mancato quell’occasione d’oro quando, chissà perché, ho deciso di non seguirne l’esempio, non “attaccandomi” – intellettualmente e fisicamente – al nostro comune professore.
Fra biennali, mostre intercontinentali, progetti di residenza e docenze, riconoscimenti internazionali, la lista delle stellette conquistate sul campo dai miei compagni è davvero lunga. Dunque non per nulla viene celebrato il lavoro “maieutico” di un docente sui generis, capace di stimolare nella maniera corretta e più adeguata i futuri giovani artisti che negli anni gli sono capitati fra le mani. Pur non stracciando pagine di vecchi manuali di letteratura come il rivoluzionario John Keating dell’Attimo fuggente, anche Garutti in aula sembrava voler distruggere il pensiero da soffitta, ottocentesca e di maniera, che ancora nel nuovo secolo viene professata in molte parti della nostra polverosa accademia. Quell’odiosa “pittura da cavalletto” doveva far posto alle vertigini di poetiche nuove, dove l’Arte avrebbe soddisfatto un criterio diverso da quello del puro e semplice “fatto bene”: scremando i contenuti didascalici e le formule descrittive, si sarebbe manifestata magicamente per evocare, farsi parte del presente, raccontare la contemporaneità.
Se fosse ancora vivo, Antoine de Saint Exupéry avrebbe annuito e benedetto questa concezione dell’Arte, lui che da bambino disegnava boa intenti a mangiare elefanti e che adulti disincantati scambiavano per dei semplici cappelli.
Eppure, visitando le stanze di questa magnifica Villa Reale, fra gli ori e gli arredi, nello scintillio dei lampadari di cristallo, nei quadri di un secolo fa lucidi d’olio, il lavoro di questi giovanotti si disperde, è un profumo all’acqua di rose, un fiore reciso buttato in un prato, un ornamento casuale per disturbare l’ambiente. Forse il curatore Luca Cerizza non ha ben selezionato, forse la sede espositiva è una scelta infelice, ma non c’è n’è: se l’arte è indiscutibilmente arte, se la bellezza è comunque bellezza, se cerchiamo la gioia, se amiamo la contemporaneità, perché mi tremano le gambe di fronte alle mense ottocentesche ritratte da Morbelli, perché le scene contadine di Segantini mi spalancano la bocca, perché ho le lacrime agli occhi per la Milano nebbiosa di fine secolo dei quadri di Sottocornola? Mi viene da pensare: questi sono pittori giganteschi, ci parlano ancora, dividono il colore e aumentano la luce, e lo fanno prima di tutte le guerre mondiali, prima di tutti i totalitarismi, prima di tutte le crisi; eppure mettono a fuoco il crepuscolo, le fragilità, le nostalgie di una fine secolo che assomiglia all’inizio del nostro. Sta qui la loro grandezza? Nell’attualità del loro messaggio, nella carica struggente del loro segno? Beh, sono sicuramente qualità straordinarie, e sono queste le caratteristiche dell’Arte: e allora, non abbiamo il diritto di ritrovarle e sentirle anche attraverso gli oggetti del nostro tempo, facendoci suggerire dalla maschera di Tuttofuoco, dalle tende rotte di Grimaldi, dai giochi di Favini le pulsioni di questo duemilaedodici?
Il credito guadagnato li ha mandati in orbita e il loro prestigio e le loro quotazioni pure, ma questi “garuttini” – come qualcuno con una buona e velenosa dose d’ironia chiama gli artisti generati dal cilindro di quest’architetto brianzolo – non riescono nemmeno alla lontana a reggere il confronto con i loro predecessori. Fanno arte, e s’aspettano i giusti riconoscimenti. Espongono nelle gallerie, e s’attendono il pubblico. Ma gli manca l’educazione alla bellezza. C’è qualcosa che non va, che non torna, e come tanti, come molti di noi, non se ne accorgono, indagano nuove forme espressive ma non si esprimono per novità.
Così, dentro a un qualunque museo, soccombono. E a me viene voglia di dare ragione a Oscar Wilde quando, parlando degli Impressionisti, disse: “Non hanno aperto gli occhi ai ciechi, ma almeno hanno dato un grande stimolo ai miopi”.
Max Mutarelli
Milano // fino al 9 dicembre 2012
Fuoriclasse
a cura di Luca Cerizza
GALLERIA D’ARTE MODERNA DI MILANO – VILLA REALE
Via Palestro 16
0288445947
[email protected]
www.gam-milano.com
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