… e a noi restano le bighe
Nella tradizionale conferenza di metà ottobre organizzata dalla Direzione Generale Cultura della Commissione Europea a Bruxelles e quest’anno dedicata al tema dell’audience development, spicca la quantità e qualità delle partecipazioni degli italiani, non pochi dei quali al lavoro per istituzioni straniere.
È un impressionante spaccato di competenze, esperienze, passione (è difficile lavorare oggi in questo campo in Europa se non si ha passione, visti i ritmi di lavoro massacranti e le soddisfazioni economiche relativamente magre), che dà un segnale molto chiaro sul fatto che in questi anni il nostro Paese continua a produrre intelligenze di prim’ordine che si fanno strada anche negli ambienti più selettivi e competitivi.
A questo panorama così incoraggiante corrisponde un quasi altrettanto desolante panorama di assenza o quantomeno di presidio scarsamente efficace delle nostre istituzioni. In un momento in cui tutti in Europa discutono appunto di audience development, di patrimonio digitale, di diversità culturale, di incremento dell’export delle industrie creative, l’Italia istituzionale della cultura assomiglia a quelle persone un po’ disturbate che parlano da sole, in una lingua tutta propria: valorizzazione, eventi, turismo culturale.
Invece di provare a creare posti incentivando l’imprenditorialità culturale dei giovani in settori nei quali potremmo avere un notevole vantaggio competitivo, si spendono ancora cifre impressionanti per produrre insensate mostre blockbuster senza capo né coda da un punto di vista storico-critico e volte unicamente a generare “grandi numeri” che ormai servono solo alle strategie di visibilità personale.
Sui tavoli in cui tutti aspetterebbero l’Italia e soprattutto un suo contributo sostanziale di idee, esperienza, buone pratiche, siamo del tutto assenti, ma ovviamente non ce ne accorgiamo perché di quei tavoli, a volte, a stento ricordiamo l’esistenza, presi come siamo a seguire il balbettio della piccola cronaca del nostro piccolo Paese, con i suoi piccoli divismi, sensazionalismi, polemiche. Eppure le persone da mandare a questi tavoli ce le avremmo, come mostra l’esperienza a Bruxelles. Ma sono persone che fanno altro, e spesso stanno altrove.
Teniamoci quindi stretti i nostri “tecnici” e continuiamo a chiederci se esistono ancora mecenati disposti a sponsorizzare il nostro patrimonio culturale e tutte quelle belle cose lì. Ah, e non dimentichiamo le corse delle bighe e i parchi a tema con i figuranti vestiti da antichi romani. Tutto il mondo ce li invidia. Il mondo non aspetta altro.
Pier Luigi Sacco
docente di economia della cultura – università iulm di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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