Già al suo apparire (1956), Le Mystére Picasso fu definito non un film su Picasso, ma un film di Picasso. La firma finale che sembra suggellare il percorso rocambolesco dei quadri mostrati sullo schermo (oltre un centinaio, che vengono continuamente modificati) è anche molto di più della firma di un artista in fondo a una sua opera. Con quella firma – che non sigla un’opera, ma è l’opera stessa – Picasso fa fare alla figura dell’artista un salto di qualità eccezionale. L’opera ormai non è più nulla al di fuori della “griffe” che ne sigla non solo la paternità, ma l’esistenza. La stessa estetica della grafia, divenuta riconoscibile al di là del suo contenuto, ne avvicina il significato a quello molto più contemporaneo di un “brand”. La firma ‘Picasso’ è ormai una dicitura, non rimanda a un determinato artista, alla sua mano, al suo particolare modo di compitare le lettere; è piuttosto il simbolo di un mondo, un universo di senso in cui i quadri occupano un posto che non è nemmeno il più importante. ‘Picasso’ qui equivale a quelle firme stereotipe come quella di Walt Disney, poi divenuta una marca aziendale, che l’autore, fondatore dell’impero del disegno animato, non aveva disegnato personalmente.
In questo senso, non è stato del tutto un caso che il celebre logo Picasso venisse impiegato dalla Citroën per battezzare nel 2000 la neonata Xsara Picasso. Il richiamo non era scelto a caso: l’auto infatti inaugurava un segmento difficile, quello delle monovolume, e il suo look inusitato poteva far pensare a quelle facce sghembe a cui persino un comico come Ceccherini doveva dedicare proprio nello stesso anno un film non indimenticabile (Faccia di Picasso, 2000). Non si trattava però solo del nome: la Citroën era riuscita a utilizzare proprio la firma di Picasso, trasfigurandola definitivamente in quel logo che era già in potenza.
Qualche giorno fa però mi è accaduto di imbattermi in un terzo artefatto che, in un certo senso, riassume e conclude l’odissea avviata dai primi due. Al Centre Pompidou infatti si tiene una importante retrospettiva di Bertrand Lavier, una specie di nouveau réaliste degli Anni Ottanta, scoperto però, giustamente, da Pierre Restany. Lavier ha giocato spesso, nelle sue installazioni fatte di oggetti trovati, con i nomi di artisti famosi: ad esempio, sopra un condizionatore ha piazzato un tipico mobile, una scultura mobile alla Calder, dato che la marca dell’elettrodomestico, guarda caso, è proprio Calder.
Beh, nel 2009 Lavier ha trovato un pezzo di lamiera d’automobile con sopra il logo della Citroën Picasso, lo ha ridipinto, lo ha messo sotto vetro, ed ecco, il pezzo d’automobile è ridiventato un oggetto d’arte. La firma di Picasso è ritornata in un quadro, da dove era venuta: il giro si è chiuso? Mah. Una volta lo stesso Picasso ha detto che, se la sua celebre Testa di toro, fatta con un manubrio e una sella di bicicletta, fosse stata smontata, magari avrebbe potuto tornare utile a qualcuno proprio come sella e come manubrio. Picasso è stato il primo a innescare la brandizzazione del nome dell’artista, ma aveva già capito che l’arte è una giostra, e il giro si può fare anche al contrario.
testo di Marco Senaldi
illustrazione di Marco Raparelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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