La questione degli spazi
... non degli spazi espositivi in senso stretto, no. Degli spazi in senso lato, della possibilità che, per creare, vi siano a disposizione aree, ambienti, stanze, palazzi, zone dedicate, disponibili, accessibili, pronte, facili da usare. L'editoriale di Artribune Magazine numero 11 ve lo facciamo leggere qui sotto, per tutto il resto passate in stand ad Arte Fiera. O nelle decine di punti di distribuzione sparsi per l'Italia (o abbonatevi!).
Per il mondo dell’arte gli spazi sono, in primis, i musei, in secundis, le gallerie private. Queste ultime stanno vivendo una crisi di identità che ormai dura da decenni e non è imputabile a questa o a quell’altra crisi. I musei sono sempre centrali nel sistema e hanno passato tantissime traversìe: proprio su questo numero di Artribune Magazine, celebrando grazie al contributo di un grappolo di “luminari” i quindici anni del Guggenheim di Bilbao, certifichiamo in qualche maniera come chiuso il periodo dei musei-star, dei landmark architettonici che da soli e dall’alto modificano la percezione, l’economia, il posizionamento di un territorio.
Gli spazi sono e saranno ancora di più una leva strategica e irrinunciabile per innescare processi virtuosi. Dove ci sono spazi disponibili, è lì che la “classe creativa” (proprio nella definizione e nei confini delimitati da Richard Florida) prende il sopravvento, con benefici notevoli per tutti gli ambiti circostanti. A cascata e, dunque, quasi in automatico.
Non stiamo parlando di ipotesi. Un grande esempio in questo senso, studiabile e tangibile, è stata la Berlino degli Anni Novanta e degli Anni Zero. Una città povera, decentrata, piuttosto trasandata e mal collegata con il resto del mondo (ancora oggi ha aeroporti abbastanza inaccettabili, per dire). Una città priva di un collezionismo diffuso e nella quale sia le fiere che hanno tentato di svolgervisi che le gallerie hanno sempre lamentato vendite contenute. Ebbene, nonostante ciò Berlino è diventata la casa di migliaia non solo di artisti, ma di grafici, designer, scenografi, scrittori. Creative class, appunto, attratta soltanto da una cosa: gli spazi. Tanti, belli e a prezzo molto contenuto. L’attuale, profonda e ancora non sufficientemente analizzata crisi in cui si sta avvitando oggi il sistema-Berlino ha tante cause (l’atteggiamento chiuso di una troppo elevata percentuale di cittadini, il modello della città povera&sexy che non può durare all’infinito…), ma la principale è la mutata condizione degli spazi: ogni singolo euro al metro quadro di aumento degli affitti fa scappare un tot di creativi dalla città. E in tanto stanno andando via. Queste dinamiche dimostrano due cose: da una parte, che non si può puntare esclusivamente sulla disponibilità di spazi a buon mercato; dall’altra, che questa disponibilità è decisiva sulle scelte della classe creativa rispetto al luogo dove stabilirsi.
Questo numero di Artribune Magazine girerà nelle vostre mani proprio in un momento elettorale decisivo per i prossimi anni dell’Italia. Un Paese allo stremo delle forze, che ha senza dubbio l’ultima chance per tentare di rimanere agganciato all’Occidente sviluppato. Occorrono idee semplici e a costo (quasi) zero. Una politica sugli spazi destinati alla classe creativa, che ottimizzi i milioni di metri quadri di stabili pubblici abbandonati o sottoutilizzati, potrebbe togliere le castagne dal fuoco. La missione deve essere quella di far tornare il nostro Paese un luogo dove si produce cultura. Insistere sul concetto di produzione laddove altre tipologie di produzione saranno sempre più necessariamente delocalizzate altrove. Diventare un luogo allettante dove venire a vivere per le intelligenze creative d’Europa e non solo. Tutto il resto verrebbe di conseguenza.
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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