Qui Mumbai. Martina Marzotta racconta la sua trasferta
In occasione della nuova edizione di [en]counters-powerPLAY, un progetto artistico che anima Mumbai dall’11 al 20 gennaio, abbiamo incontrato Martina Mazzotta, Head Curator della Fondazione Antonio Mazzotta, che rappresenta il nostro Paese assieme all’artista Pietro Pirelli. Oltre a farci descrivere la manifestazione indiana, ci siamo fatti raccontare della fondazione. E, fra le righe, Martina Mazzotta ci ha svelato che dall’anno prossimo la sede della Fondazione sarà tra Milano e Londra.
Com’è nato il rapporto tra la Fondazione Antonio Mazzotta, l’India e Claudio Maffioletti, organizzatore di [en]counters-powerPLAY?
I rapporti con l’India risalgono a oltre cinquant’anni fa. Gabriele Mazzotta, il nostro presidente, frequentava questo Paese già negli Anni Cinquanta come giovane esploratore e negli Anni Sessanta-Settanta fu il primo editore a pubblicare volumi di storia, sociologia, storia politica su India e Pakistan. In quel periodo conobbe Charles Bettelheim, che insegnava all’Università di Calcutta, e da quell’incontro nacquero le edizioni sui rapporti tra India, Cina, Russia, quelle che oggi noi chiamiamo potenze emergenti. Gli studiosi dell’epoca che volevano informarsi su queste culture dovevano affidarsi a questi volumi, che assolvevano il ruolo che hanno oggi le pagine culturali dei quotidiani.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, c’è un’affinità con l’Asia legata alla mia formazione. Durante i miei studi di filosofia in Germania sono stata in Giappone molti mesi. Alcune recenti mostre che la fondazione ha organizzato, come quella sui Samurai e sulle Shunga, sono frutto di questa mia affinità con l’Asia. Avendo poi sposato un inglese sono stata molte volte in India, dove ho parecchi amici e legami.
In una delle puntate a Mumbai ho conosciuto Claudio Maffioletti, un italiano brillante e attivo che si è inventato, assieme a un gruppo indipendente di curatori e artisti, una sorta di micro-festival che da tre anni a questa parte anima la città nel mese di gennaio, invitando i fruitori a riflettere su un grande tema della contemporaneità.
Quali sono gli altri Paesi partecipanti a [en]counters-powerPLAY?
Fino all’edizione 2012 hanno partecipato esclusivamente artisti indiani, ma da quest’anno Claudio Maffioletti ha deciso di aprire le collaborazioni a Paesi stranieri: hanno aderito con grande entusiasmo una folta delegazione da Hong Kong, Australia e Germania. La scelta dei luoghi è stata fatta assieme alla municipalità di Mumbai, che a seconda del tema ha messo a disposizione alcune location. Al di fuori dell’India, a sostenere l’iniziativa c’è il Goethe Institut dalla Germania, istituzioni dall’Australia e da Hong Kong, che vedono il festival come un’opportunità importante, una grande vetrina, mentre da noi ancora non avviene. Infatti da parte dell’Italia c’è un completo disinteresse.
Come è avvenuta la scelta dell’artista Pietro Pirelli?
Io e Pietro Pirelli ci siamo conosciuti tramite l’amico comune Roberto Borghi, critico e giornalista, ma l’incontro vero è avvenuto durante una installazione con dimostrazione e concerto semi-privato di Pietro Pirelli con gli “idrofoni”. Mi ha conquistata. Pirelli è interessantissimo perché in fondo è un musicista un po’ sciamano, in grado di chiamare in causa una visualizzazione del suono e del ritmo che spesso si traducono in forme organiche. Lo abbiamo visto un anno fa in Triennale nella mostra Pelle di Donna, con il suo idrofono in pelle che ha entusiasmato il pubblico, mettendo in causa la tattilità in maniera creativa e poetica, ma anche ludica.
L’imprevedibilità nell’interazione con le opere di Pirelli e la loro capacità ricreativa è molto adatta alle esigenze di [en]counters-powerPLAY e alla natura del popolo indiano. Pirelli ha già viaggiato in India e ne conosce la sua dittatorialità polisensioriale, perché quando si è in India si è frastornati e circondati da sapori, odori, colori, rumori, tanto da dare rintontimento, indigestione, una ipersollecitazione in tutti i sensi, ma che al ritorno a casa se ne sente la mancanza.
Che sviluppo avrà nel futuro il rapporto con l’India?
L’India è all’avanguardia nel settore del mercato internazionale, ma arretrata per quanto riguarda la cultura con la C maiuscola, intesa come valorizzazione del patrimonio, la sua tutela, la sua condivisione e il suo studio. Calcutta ha musei archeologici tra i più belli al mondo, ma che sono tuttora luoghi polverosi e non luoghi ravvivati da fattori di educazione e crescita. Ma l’India sta puntando sulla formazione delle nuove generazioni, e arriverà ben presto a tutto ciò.
Quindi, per quanto riguarda la cultura, è tutto da costruire e la Fondazione Mazzotta, che ha una matrice educativa molto forte e che lavora con l’estero da molti anni, continuerà ad avere un dialogo aperto con l’India, così come c’è stato col Brasile già da trent’anni, con la Russia da quaranta, ma non pensiamo che il fenomeno delle mostre e del libro d’arte possano interessargli così tanto. L’India è un Paese chiuso e protezionista, bisogna agire sulla loro identità e sul loro patrimonio mettendolo in dialogo con il nostro. Il fatto di esportare i nostri classici moderni, come è avvenuto in Giappone, è davvero complesso e diverso.
Come riporterete questa esperienza a Milano?
Abbiamo in mente un grande simposio a fine febbraio aperto a tutti, in cui interverremo io e Pietro Pirelli, Claudio Maffioletti, Romeo Orlandi di Osservatorio Asia, che dedicherà una pagina del taccuino a questo, l’assessore Stefano Boeri perché sta seguendo una serie di progetti legati alle favelas nel mondo e in particolare a quella di Mumbai. Vorremmo che diventasse un laboratorio per riflettere sulle iniziative sociali che coinvolgono l’arte contemporanea, che riflettesse anche il rapporto tra pubblico e arte contemporanea in uno sfondo più filantropico che commerciale. Vorremmo riflettere sul perché a Mumbai questo evento e non altrove, e che senso potrebbe avere una iniziativa analoga qui, visto che Milano non è cosi lontana dai problemi affrontati da [en]counters.
Quali sono i progetti in cantiere per Milano?
In autunno ci sarà una grande mostra sulle Wunderkammern tra ieri e oggi che coinvolge il Museo Poldi Pezzoli e le Gallerie d’Italia. A inizio 2014 ci sarà una grande mostra su Segantini e l’Italia a Palazzo Reale, mentre in primavera un’iniziativa che non posso ancora rivelare…
Assolutamente imperdibile la mostra in corso a Palazzo Morando, Giochi da salotto, giochi da osteria, mentre tra un mese inauguriamo a Ravenna una mostra bellissima, Borderline.
Artisti tra normalità e follia. Da Bosch a Dalí, dall’Art brut a Basquiat, in cui si indaga il rapporto fra arte e psichiatria, un tema su cui abbiamo lavorato da sempre, sul crinale tra “normalità” e “follia”, curata da Giorgio Bedoni, psichiatra, Gabriele Mazzotta e da Claudio Spadoni, direttore del museo di Ravenna nonché di Artefiera Bologna.
Cosa pensi della situazione culturale a Milano e dei suoi spazi?
Riguardo agli spazi, un giudizio assolutamente positivo. Milano in termini di musei presenta eccellenze già esistenti come la Pinacoteca di Brera e altri musei di tutto rispetto. Dobbiamo ringraziare moltissimo anche il privato, che quando investe dà ottimi risultati, come le Gallerie d’Italia. Il problema è che le nostre istituzioni non sono in grado di fare sistema, unire le forze per un progetto per la collettività. L’identità personale e il tornaconto immediato prevalgono sulla progettualità e fanno sì che il sistema tra queste eccellenze mondiali non avvenga.
C’è riuscita la Fondazione Mazzotta per anni, che è privata. Perché dobbiamo riuscirci noi e non i diversi enti pubblici milanesi? Milano è paradossale: chiude la Fondazione Pomodoro, chiudiamo noi, e nessuno fa niente, dice niente…
Quali sono i motivi per cui la Fondazione è stata chiusa nel 2009?
Era tutto sulle nostre spalle, non avendo un’attività industriale a sostegno e avendo già sacrificato gran parte della collezione, unita alla sordità delle istituzioni, non era proprio più sostenibile. Ci sono stati anni in cui ci si autososteneva con i proventi della biglietteria, quando ancora non c’era questa inflazione delle mostre. Prima dell’11 settembre 2001 non si pagavano cifre stellari per trasporti e assicurazioni, ora sono cresciuti esponenzialmente. Inoltre avevamo assessori lungimiranti, come Marzio Tremaglia della Regione Lombardia, che sostenevano i nostri progetti e venivano ripagati anche loro dalla biglietteria. Essendo un’organizzazione non profit, l’importante era che ci fosse l’autosostenibilità. Poi per anni questa non c’è più stata e abbiamo tentato di tutto, ma la situazione era diventata veramente indifendibile. La chiave della nostra attività è la ricerca, siamo un baluardo che lotta per tutelare la ricerca e mettere a sistema le istituzioni affini in questo Paese. Continueremo con la nostra missione, pur con difficoltà gravissime, tanto che dovremo emigrare all’estero.
Qual è il cambiamento necessario per il sistema della cultura?
Una bella e sana meritocrazia, avere dei concorsi con una giuria di esperti che valutano in base ai requisiti. Essendo un campo specialistico che richiede competenze specifiche e titoli di studio, non si deve dare in mano il campo della cultura a chi non se ne è mai occupato. Questa è una delle pecche che il governo Monti ha trascurato, tanto che l’unico ministro non addetto ai lavori era proprio quello alla cultura, come se fosse ad appannaggio degli improvvisatori, un hobby alla portata di tutti, mentre la cultura è una cosa seria, per cui come tale va considerata e sostenuta. Serve più rispetto, serietà e regole.
Martina Gambillara
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