Sulla sua tomba al Pantheon di Dolores, il cimitero monumentale di Città del Messico dove sono sepolte le persone illustri, qualcuno ha portato calle bianche appena raccolte nel giorno dell’anniversario della sua morte. Dopo più di settanta anni da quel gennaio del 1942, c’è chi ancora la ricorda, per le sue avanguardistiche doti artistiche, per il suo immenso fascino, per la misteriosa vita e misteriosa morte. Tina Modotti era nata a Udine nell’agosto del 1896, da padre meccanico di biciclette e madre sarta. Suo padrino di battesimo era stato Demetrio Canal, uno dei primi socialisti di Udine, e suo zio era Pietro Modotti, uno dei primi fotografi della città, che aveva lo studio in via Villalta 23. Nelle sue origini, un destino che l’accompagnerà per tutta la sua burrascosa vita.
Raccontata per Canal 22, che le dedica una prima serata, dal documentario di Laura Martínez Díaz, Tinissima. Il dogma e la passione. Lo scrittore Pino Cacucci (autore per Feltrinelli di Tina, romanzo biografia della fotografa, tra arte e rivoluzione) lo ha definito “il migliore documentario che io abbia mai visto. E ne ho visti tanti”. Comincia a Udine e si conclude a Città del Messico, come la vita di Tina. Le rotaie di una stazione italiana, così come i palazzi della Ciudad, nei frame della Martínez Díaz incontrano l’armonia e l’eleganza delle foto della Modotti e ne raccontano la breve e intensa esistenza. Un dialogo delicato, femminile e profondo, accompagnato dalle musiche di Massimo Toniutti.
Ancora sedicenne lascia l’Italia e parte per San Francisco, per raggiungere il padre e la sorella che erano emigrati a cercare fortuna negli anni tristi e poveri della Grande Guerra. Lì comincia a frequentare i circoli culturali, il teatro, e si innamora del pittore canadese Roubaix de l’Abrie Richey, detto Robo, con cui si trasferisce a Los Angeles. All’inizio fa la sarta, poi l’attrice del cinema muto. Le davano parti da avvenente femme fatale ma, non contenta, lasciò Hollywood e divenne modella e apprendista di Edward Weston, uno dei più noti fotografi americani del tempo. Robo, trasferitosi a Città del Messico, attratto dal fervore culturale della città in quegli anni, muore di vaiolo pochi anni dopo il loro matrimonio. In una delle sue ultime lettere le aveva scritto: “Ci sono qui poche cose che non emanino bellezza […]. Riesci a immaginare una scuola d’arte dove tutto è gratuito per tutti, messicani o stranieri che siano? Dopo dieci anni di guerra e sventure è meraviglioso vedere cosa si sta costruendo in questa terra…”. Così Tina e Weston decidono di trasferirsi in Messico. Viaggiano e fotografano molto. Vanno a vivere a Tacubaya, poi nella Colonia Juarez, poi nella Calle di Veracruz. Alcune volte fotograferanno gli stessi soggetti, entrambi influenzati dal costruttivismo europeo e dall’estridentismo messicano: oggetti della tradizione, oggetti della modernità, paesaggi. Permeata di grande umanità la visione di lei, omaggio all’astrazione e ai grandi formati su carta di altissima qualità la visione di lui.
Anche se Weston era sposato, rimarrà per tutta la vita un punto di riferimento per Tina: prima maestro e amante, poi amico e confessore dei suoi segreti più intimi che lei gli racconta in lunghe lettere da ogni angolo di mondo, carcere, pellegrinaggio. La loro storia d’amore s’arresterà quando le esigenze politiche di Tina la allontaneranno dall’estetica formale delle foto di Weston. Le foto della Modotti avranno valenza sociale, saranno di denuncia, serviranno per i più importanti giornali del tempo, soprattutto per Il Machete. La sua casa diventerà il ritrovo dei più famosi artisti, ne animerà le feste, ne immortalerà i volti, i murales, i lavori. Diego Rivera, Frida Kalho, David Alvaro Siquieros sono solo tre dei nomi delle sue più assidue frequentazioni. Ritratta dai fotografi e dai pittori più noti, Rivera la immortala come “Terra”, nuda, nel murales di Chapingo e mentre distribuisce armi agli insorti al Palacio Nacional.
Erano anni di fuoco, lo scontro internazionale tra poteri si giocava anche in Messico, terra di rivoluzionari, e diventò sempre più difficile viverci quando gli stalinisti dichiararono guerra ai trotskisti. Gli artisti, primo tra tutti Siqueiros, furono accusati di avere partecipato all’uccisione di Lev Trotsky nella sua casa dell’esilio, a Coyoacan, molto vicina a quella di Frida e Diego. Tina fu accusata di aver partecipato all’omicidio del suo amante trotskista cubano, Julio Antonio Mella, prima, e dell’attentato al presidente messicano Pascual Ortiz Rubio, dopo. Venne arrestata. Le fu chiesto di rinnegare il comunismo per evitare di essere espulsa dal Paese, ma rifiutò. Cominciano allora le sue peregrinazioni, accompagnata dalla onnipresente figura di Vittorio Vidali, agente italiano del Comintern. A Berlino, Mosca, militando nel Soccorso Rosso come infermiera nella Guerra Civile spagnola. Mai più, però, ritroverà la “luce messicana” che aveva ispirato le sue migliori fotografie. Pubblicate da Creative Art negli Stati Uniti, dall’Agfa Paper di Praga, da Varietés a Bruxelles, dal British Journal of Photography a Londra, apriranno il cammino al reportage sociale che più avanti Robert Capa, David Seymour, Gerta Taro codificheranno come genere. Seymour inutilmente tenterà di convincere Tina a riprendere l’attività fotografica, per lei documentare le atrocità non è più sufficiente, la sua camera Graflex non bastava più ad aiutare i poveri della terra, servono nuovi strumenti, serve l’azione sul campo.
Fino a quando il nuovo presidente messicano, Lázaro Cárdenas del Río, non annulla la sua espulsione e la riammette di nuovo in Messico. Lì lavora per i rifugiati politici e incontra il piemontese Mario Montagnana, dell’associazione antifascista Garibaldi, a cui confesserà di volere rivedere Udine un’ultima volta, quasi presagendo vicina la morte.
Nella notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena con amici a casa dell’architetto Hannes Mayer, Tina Modotti muore, dentro a un taxi che la sta riportando a casa. Colpita da infarto, dicono le fonti ufficiali. Congestione, dicono in ospedale senza però verificare con autopsia. Come già era accaduto dopo l’assassinio di Mella, alcuni cercano di trasformare la morte di Tina in un delitto politico e ne attribuiscono la responsabilità a Vittorio Vidali. La verità resta ignota e il ricordo ancora vivo, come nelle parole che le dedica Pablo Neruda incise sulla sua tomba. “Sorella, tu non dormi, no, non dormi / Verranno un giorno sulla tua piccola tomba prima che le rose di ieri si disperdano / Verranno a vedere quelli di una volta, domani / là dove sta bruciando il tuo silenzio / Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella / Avanzano ogni giorno i canti della tua bocca / nella bocca del popolo glorioso che tu amavi / Valoroso era il tuo cuore / Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade qualcosa si mormora e passa / qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo / qualcosa si desta e canta / Sono i tuoi, sorella, quelli che oggi pronunciano il tuo nome / quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra / col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo / Perché non muore il fuoco”.
Mercedes Auteri
Laura Martínez Díaz – Tinissima: il dogma e la passione
Messico-Italia | 2012 | 52’
http://www.youtube.com/watch?v=blXq-uaOtRs
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