Toh, chi si rivede! L’Ottocento a Napoli
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire a proposito dell’attenzione che molto sporadicamente viene rivolta all’arte ottocentesca nel nostro Paese. Se meridionale, poi, ancora meno. Chissà cosa spinge costantemente a rimuovere quel ricco, complesso e fondamentale secolo, a considerarlo noioso, polveroso, rivolto solo al passato. Chi è di tale opinione forse farebbe bene a farsi un giro al Museo di Capodimonte di Napoli.
In principio fu Civiltà del ’700, epocale mostra sul glorioso XVIII secolo meridionale. Seguì Civiltà del Seicento (1985), incentrata sul periodo d’oro della pittura napoletana. Venne, infine, la volta di Civiltà dell’Ottocento (1997), la storica occasione per (ri)scoprire un secolo ricco di vitalità artistica. Sembrano lontane oramai le grandi mostre a carattere scientifico che la Soprintendenza di Napoli ha organizzato nei decenni passati per studiare tre secoli fondamentali della storia culturale e artistica del Meridione e i cui cataloghi sono ancora oggi preziosissimi e imprescindibili punti di partenza per ricerche successive.
Quella sull’Ottocento è stata forse l’ultima grande mostra organizzata dalla Soprintendenza, nonché la prima, la più completa e sostanzialmente l’unica dedicata a un lungo periodo storico in seguito decisamente snobbato. Le cose, forse, stanno cambiando. Il nuovo dirigente del polo museale napoletano si è da subito dimostrato più attento e “aperto”, rispetto ai suoi predecessori, verso il XIX secolo. Promuovendo, ad esempio, la recente mostra su Francesco Saverio Altamura, napoletano acquisito, nella sua Foggia. E, soprattutto, portando a termine il progetto, benché ereditato, di completare la risistemazione del Museo di Capodimonte, scrigno di beni inestimabili. E così, dopo anni di buio forzato, saltano fuori Gemito, Cammarano, Morelli, D’Orsi, De Laurentiis, Migliaro, Livi, Pitloo, Gigante, Michetti, De Nittis, Palizzi, pronti a scrollarsi di dosso la polvere dei depositi e del tempo, a rivendicare il loro posto su una parete o al centro di una sala.
E di recupero si può anche parlare per il contenitore, vale a dire alcune sale del piano ammezzato del fronte meridionale – il “piano matto”, come riportano le cronache, a cui si accede tramite uno splendido scalone esagonale – riportate al loro splendore, seppur non attraverso una ricostruzione filologica della loro antica funzione. Ma – è questa l’originalità – si è tentato di adoperarle come ambiente del XIX secolo vergine, pronto per essere arredato e riempito di quadri, sculture, poltroncine, consolle, tavoli da gioco, scrivanie, strumenti musicali, ricreando così un tipico boudoir ottocentesco, un ambiente caldo e borghese, che per molti, va detto, potrebbe fare tanto “salotto della nonna”. Un falso storico, un luogo ideale, una proustiana immersione nelle suggestioni di un’epoca, attraverso gli stili e le sensibilità che mutano nel corso del secolo, il neoclassicismo, il paesaggismo, il verismo, l’impressionismo…
Ma la vera novità è la modalità con cui l’allestimento è venuto a comporsi. Il progetto CapodimontePerTe, voluto e finanziato dal Mibac, ha coinvolto una serie di cittadini, non addetti ai lavori né frequentatori abituali, chiedendo loro come organizzare la comunicazione di sala e l’apparato didattico. Un esperimento felice, primo in Italia. Ottime notizie, verrebbe dunque da dire. Peccato poi che la sezione ottocentesca permanente, sita al terzo piano e comprendente, tra gli altri, Gli iconoclasti di Morelli, La Sanfelice in carcere di Toma, La Breccia di Porta Pia di Cammarano, ovvero i capodopera del XIX secolo napoletano, sia perennemente chiusa al pubblico per la cronica mancanza di personale. La stessa che ha ridotto la biglietteria a cassa per il bookshop e a guardaroba. Impensabile per un analogo museo europeo.
Giulio Brevetti
MUSEO DI CAPODIMONTE
Via Miano – Napoli
081 7499111
[email protected]
www.polomusealenapoli.beniculturali.it/museo_cp/museo_cp.html
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