Domus Academy ha un nuovo direttore. Intervista con Gianluigi Ricuperati
La notizia l’abbiamo data qualche giorno fa. Ora è tempo di saperne qualcosa in più. E così abbiamo incontrato il diretto interessato. Perché il ruolo di dean alla Domus Academy è di quelli rilevanti assai. Ecco come ha risposto Gianluigi Ricuperati alle nostre domande.
Sei il nuovo dean della Domus Academy. In pratica che ruolo avrai?
Quello del direttore della scuola. C’è una parte di invenzione, una parte di gestione, una parte di rappresentanza: da miscelare a seconda delle occorrenze e della strategia. Scegliere maestri straordinari, aiutare la macchina a muoversi bene, metterci la faccia quando serve.
Fra le parole chiave che hai proposto, c’è la multidisciplinarietà. Un approccio che a Torino conosciamo bene, visto che in quel senso hai ordinato l’ultima edizione di Giorno per giorno. Alla Domus Academy come si tradurrà questo concetto?
Questa scuola è sempre stata multidisciplinare: il corso di ‘tendenze espressive’ negli Anni Ottanta era affidato a uno dei fondatori, Pierre Restany. Un altro dei fondatori, Alessandro Guerriero, è una voce tuttora molto presente nel campus. La moda la seguiva Gianfranco Ferrè, che era nato come architetto ed era uomo colto e curiosissimo. I maestri del design in senso proprio, da Mendini a Sottsass a Branzi, sono tutti intellettuali che hanno anche fatto i progettisti: il dialogo tra discipline avviene sempre su un terreno instabile, pericoloso, avventuroso. Ma attenzione, non è un’opportunità. È l’unica chance. L’idea che un futuro progettista di oggetti o spazi non legga il libro che sto leggendo ora, per esempio, 2050 di Laurence C. Smith (Einaudi), un saggio-reportage su come il mondo intorno ai poli sarà il ‘centro’ dell’attività politica ed economica fra trent’anni – un libro fantastico e inquietante, molto preciso e sostenuto da un magistero scientifico assolutamente attendibile; ecco, l’idea che questo libro non venga letto da chi dovrà disegnare il mondo fisico e immateriale di domani, ecco, è un’opzione che non voglio considerare. È questione di urgenza.
Chi hai già in mente nel ruolo del visiting professor?
Ora è presto per dirlo, anche se ovviamente ci stiamo già lavorando, insieme a Italo Rota e ad Alberto Bonisoli e a Marc Ledermann, i vertici del campus che unisce Domus Academy e Naba, ora di proprietà di Laureate Universities. Posso anticipare che si tratterà di menti di prim’ordine, di qualità internazionale, e perfettamente sospese tra l’ovvietà di ‘scegliere i migliori’ e la vera sfida, che è scegliere quelli che domani saranno considerati da tutti gli altri ‘i migliori’.
Un altro punto sul quale hai insistito è la coniugazione di didattica e visionarietà. Ci spieghi meglio cosa intendi?
È importantissimo, mai come ora, fare uscire da qui persone che abbiano la forza e la competenza non solo per ‘inserirsi’ nel mondo del lavoro, ma per inventare nuove professioni, che compaiono agli occhi attenti di mese in mese, soprattutto in quel catino infinito di possibilità e prospettive che è la ‘progettualità digitale’. Oggi non si può più pensare che ‘design’ sia solo realizzare splendidi complementi d’arredo, o spazi speciali: certo, la tradizione e l’industria del mobile sono centrali, ma come ignorare che il disegno pensato della vita digitale è l’orizzonte ovvio e inevitabile di migliaia di ragazze e ragazzi under 24 che vogliono ‘progettare’? E a Domus Academy c’è già uno splendido staff che nei settori del design della moda e dell’urbanistica dà opportunità reali a studenti che vengono da tutto il mondo.
Ma per rispondere alla tua domanda, chi viene qui desidera trasformarsi per il meglio. Per la propria vita, per la propria carriera, per la propria passione. L’educazione è il fatto trasformativo per antonomasia, e in tempi deliranti e interessanti come quelli in cui stiamo è giusto e bello essere ‘quanto mai visionari’, come mi ha suggerito Ute Meta Bauer, magistra, quando le ho detto che stavo facendo colloqui per la direzione di Domus Academy.
La Domus Academy ha una percentuale di studenti stranieri che sfiora la totalità. Significa che l’Italia, e Milano in particolare, ha ancora qualcosa da dire? Oppure si “vive di rendita”?
Io credo che in parte viva di rendita, e in parte abbia qualcosa da dire, ancora. È nostra responsabilità bilanciare questa miscela, e non farla esplodere in mano. È mia responsabilità, in questo caso, nostra, tua, sua. È la sfida politica in senso ‘alto’ più cocente che il Paese possa affrontare adesso, perché è connessa con la reputazione, e la reputazione è connessa con la produzione di lavoro, e la produzione di lavoro è connessa col benessere e la coesione sociale, e con la bellezza e la difficoltà di vivere oggi, in un tempo di rivoluzioni.
Come vedi, non sto parlando solo di ‘design’, perché il ‘design’ è parte di un sistema, e non può essere portato avanti in solitaria. È necessario coltivare visioni d’insieme piene di minuscoli dettagli ingranditi.
Si dice, spesso a ragione, che l’Italia non è un paese per giovani. Tu però hai 35 anni. Commenti?
Mi sono dato da fare, e ho incontrato persone come Italo Rota, che mi ha tirato dentro questo progetto di Domus Academy a piccoli e poi grandi passi: Italo, pur essendo nato nel 1953, non soffre come tanti suoi coetanei della sindrome di Crono. Tanti altri miei coetanei, si danno da fare, anche meglio di me, anche di più. E ricevono porte in faccia. Ma cambierà, e sta già cambiando. Senza l’apporto degli under 40 – di questi under 40, immersi o più vicini alla natività digitale – nessun anello di questa beata catena chiamata Italia saprà rilanciarsi, sopravvivere, e prosperare.
Marco Enrico Giacomelli
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