I lombardi alla crociata della cultura
Nel fine settimana la Lombardia vota due volte: si va alle urne per le politiche, ma anche per rinnovare gli inquilini del Pirellone. Rapida scorsa ai programmi che i diversi schieramenti hanno in tema di cultura. Ne parliamo con Giulio Cavalli, attore in corsa per SEL, e con il leghista Massimo Zanello, già assessore regionale.
I programmi elettorali, si sa, non brillano per efficacia dialettica: meglio stare sul vago, solleticare con il vedo-non-vedo della parola il gusto voyeuristico dell’elettore. Chi si avventura in promesse precise, mirando alla concretezza, rischia figuracce commisurate alla dimensione delle spacconate lanciate dai palchi e a mezzo stampa.
Si naviga a vista, insomma: a maggior ragione quando si tocca il tema della cultura. Che in Lombardia vale, in termini di incidenza economica, il 6,3%, con punte dell’8% che portano la provincia di Milano al secondo gradino del podio, dopo Arezzo, nella classifica con cui Unioncamere ha stilato quanto “vale” in soldoni, nei diversi territori, il comparto. Le prossime elezioni regionali si giocheranno su temi caldi come Expo e Bre-Be-Mi; saranno figlie degli scandali che hanno portato a inchieste, arresti e dimissioni forzate; ma per quanto in misura residuale dovranno tener conto anche del mondo della cultura. Come?
I programmi ufficiali dei maggiori schieramenti in campo sono, ovviamente, decisamente evasivi. Così è per Umberto Ambrosoli, campione della società civile chiamato a caricarsi sulle spalle il centrosinistra; altrettanto è per il leghista Roberto Maroni, e il rinnovato Gabriele Albertini, transfugo del PDL fulminato dalla lista Monti. Più dei volantini, dei siti e dei blog, allora, vale la domanda diretta. Che volete fare per la cultura in Lombardia?
“Ho tre temi da proporre: tre punti chiari e precisi … alla Maroni!”. Non è impazzito Giulio Cavalli, in cerca della riconferma al Pirellone dopo un mandato passato tra i banchi dell’opposizione: eletto con l’Italia dei Valori, poi scalato a Sinistra Ecologia e Libertà. Una battuta, quella del riferimento alla brevitas e alla concinnitas maroniane, che sembra nascondere – molto male – il disorientamento nei confronti di un programma piuttosto fumoso: SEL porta la borraccia alla corsa di Ambrosoli, passista che alla voce cultura si pianta sui pedali. E così Cavalli, espressione lombarda del teatro di narrazione più impegnato, prova a tirare la volata lanciando la sua agenda: “La qualità di una classe politica non si vede nelle promesse, ma nella gestione dei capitoli di bilancio. Per restituire dignità a un comparto bistrattato sarebbe necessario legare la delega alla cultura a quella alle attività produttive, ma soprattutto mettere a bilancio risorse che siano almeno cinque volte superiori rispetto a quanto fatto finora”. E ancora: “La Lombardia deve portare il caos, vedo la sua funzione di suggeritore fuori scena come un pungolo per disarticolare i canali tradizionali di finanziamento da parte dell’ente pubblico. Spesso sembra che il sostegno alla cultura vada avanti per inerzia, senza premiare i progetti davvero meritevoli: su questo la Regione ha la possibilità e il dovere di cambiare le cose”.
Tre temi ci aveva promesso, tre temi arriva a toccare: inevitabile per Cavalli un riferimento a Expo. “Dobbiamo prenderci la responsabilità di un tavolo permanente che elabori e finanzi un programma di eventi culturali in progress, senza pensare solo ai giorni in cui andrà in scena Expo. Penso a un articolato progetto di residenze d’artista – tra danza, teatro e arti visive: percorsi che creino e producano cultura da qui al 2015, senza limitare tutto gli eventi spettacolari che accompagneranno l’inaugurazione e i mesi di apertura della fiera”.
C’è chi, ironicamente, lo cita e chi invece lo sostiene a spada tratta. A stare con Maroni è Massimo Zanello, che in nome della Lega Nord ha guidato l’assessorato regionale alla cultura dal 2006 al 2010, prima di ricoprire il ruolo di sottosegretario con responsabilità della commissione cinema del Pirellone. Oggi Zanello è in corsa per un posto in Senato, ma il suo cursus honorum lo mette nella condizione di scattare una fotografia piuttosto precisa dello stato dell’arte e delle sue necessità. Viste da destra, naturalmente.
E allora l’imperativo diventa quello dell’agevolazione del sostegno privato al settore: “La sinistra ha un atteggiamento a volte schizofrenico nei confronti del finanziamento alla cultura. Se a farlo è l’ente pubblico allora siamo alle prese con casi di mantenimento di un servizio, se a occuparsene è invece un privato l’arte diventa un lusso. Credo sia necessario equiparare, a livello prima di tutto ideale, il contributo del privato alla cultura a un investimento in ricerca: l’azienda che investe in cultura non va vista come quella che mette il proprio logo sulla maglia di una squadra di calcio, ma come chi si fa carico di contribuire ad un bene della collettività”. Sono le leggi dello Stato a poter cambiare davvero le cose, con defiscalizzazioni e altre azioni che portino aiuti concreti; una Regione, soprattutto se rappresentativa come la Lombardia, può però portare un contributo a livello culturale. Con l’appoggio politico a esperimenti di successo: “Gli esempi positivi, anche nel nostro territorio, non mancano. Penso solo al successo che, negli ultimi mesi, ha conosciuto l’Hangar Bicocca grazie al contributo di Pirelli. L’affluenza del pubblico per l’installazione di Saraceno è stata stupefacente: la Lombardia deve ripartire da esperienze come questa”.
E, magari, riprendendo azioni già tentate nel recente passato, e poi decadute. “Nel 2009, grazie al rapporto con Fondazione Cariplo, abbiamo avviato il programma Twister, che contribuiva all’acquisizione da parte dei musei lombardi di opere di artisti contemporanei: un progetto che ha visto coinvolto il MAGA di Gallarate e la GAMEC di Bergamo, ma anche il Palazzo delle Stelline e altre istituzioni. Un’azione che andrebbe ripristinata, al pari della famosa ‘legge del 2%’: una norma che risale agli Anni Quaranta prevede che il 2% delle somme stanziate per la costruzione di edifici pubblici vengano investite in arte. Basterebbe metterla in pratica per dare un segno tangibile della vicinanza delle istituzioni al mondo della cultura”.
Francesco Sala
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