Un’accelerazione esponenziale di ogni ritmo della vita ci trascina verso un transfert collettivo il cui baricentro dovrebbe essere il Giudizio Universale, sistema della paura e del terrore che la Chiesa in passato ha distillato in dosi omeopatiche e allopatiche. I Trionfi della Morte ne sono la testimonianza più eloquente. È la paura di trovarsi davanti a Dio, il quale rinvia sempre il suo appuntamento con noi. Lo ha rinviato davanti agli orrori di Auschwitz. E non c’è ragione di credere che non lo rinvierà anche oggi o domani fino all’eternità. Tutte le immagini dell’arte che evocano la crocifissione in fondo strizzano l’occhio a Dio.
Ma si tratta di uscire dal giudizio di Dio, dalla psicologia del prete, liberarsi di questo debito senza fine, praticato pure dagli artisti, che altro non è stato che un sistema della crudeltà, oggi preso in carico dal sistema bancario, il quale ha imposto il debito come forma di vita collettiva. La fine del mondo si secolarizza, non è più una forma trascendente della paura ma un debito che può trascinarti nella miseria più nera. Dalla colpa verso il figlio di Dio al debito bancario si attua il passaggio dal cielo alla terra. Che fare?
In fondo la trasvalutazione di tutti i valori c’è stata, ma non come auspicava Nietzsche. L’ha fatta il capitalismo con le sue bolle economiche, con l’asservimento dei politici e degli Stati. Forse siamo figure postume di un racconto di Kafka, dove il Messia verrà quando non sarà più necessario: non il giorno del Giudizio, ma quello dopo. Allora sarà troppo tardi anche per la fine del mondo. Decisamente non è un bel paesaggio. In mancanza d’altro – protesta, rivolta di fronte al furto della democrazia e alla miseria civile – bisogna sperare che l’assurdo faccia il suo effetto fino in fondo.
Camus ricorda la storia di un pazzo che pescava in una vasca da bagno. Quando uno psichiatra gli domandò se abboccava all’amo, il pazzo gli rispose: “Ma no, imbecille! Se è una vasca da bagno!”. L’evidenza qui è accecante e diventa la forma di comunicazione dell’incomunicabile, come le fini del mondo che nessuno sa dire perché arrivino sempre in ritardo.
Marcello Faletra
saggista e redattore di cyberzone
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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