La moda, cenerentola italiana
Come mai alla noiosissima adunata degli Stati generali della cultura organizzata a Roma da Il Sole 24 ore non c’era nessuno a parlare dello stato della cultura della moda in Italia? Parte da questa domanda l’editoriale di Maria Luisa Frisa per Artribune.
Quella moda che è senza dubbio parte integrante della cultura visiva contemporanea, e perciò – come succede in Paesi come la Francia o l’Inghilterra – di diritto presente nei dipartimenti dei musei con collezioni e mostre? Perché non ci si è nemmeno posti il problema di come l’Italia stia perdendo il treno riguardo al tema mostre di moda (per non dire musei della moda) che, invece, come stanno dimostrando le importanti esposizioni del Metropolitan a New York, del Victoria&Albert a Londra e del Galliera a Parigi, sono un grande attrattore di pubblico? D’altronde, lo stesso Sole 24 ore si guarda bene dall’ospitare, nel suo inserto culturale della domenica, recensioni di mostre di moda e meno che mai di libri sull’argomento.
La moda in Italia è un grande sistema economico, comunicativo e culturale, al quale, per una serie di ragioni che partono da molto lontano, non viene riconosciuta la sua reale importanza. La moda nel nostro Paese viene considerata frivola e i suoi manufatti sono classificati come prodotti. La moda in Italia è importante, ma conta meno della Fiat; la moda incide in maniera rilevante sui gusti e i comportamenti delle persone, ma rimane confinata a fenomeno di costume; la moda produce cultura, ma ha accesso raramente ai musei e alle gallerie. Anche il Maxxi a Roma, nato come il Museo delle Arti del XXI secolo, non ha previsto un dipartimento dedicato alla moda. Eppure, come scrive Elisabeth Wilson, illustre rappresentate dei fashion studies anglossassoni, “la moda, la più emarginata delle arti, vive nel cuore della storia. Perché gli abiti come detriti del quotidiano, lungi dal nasconderci i problemi più importanti della vita, o dal distrarcene, evidenziano l’eterno nell’effimero, e le credenze più care di una società”.
La moda in Italia ha la necessità di trovare luoghi della rappresentazione fuori dai soliti circuiti in cui viene relegata e che, ora più che mai, accusano la crisi di un sistema che è rimasto ancora legato agli Anni Ottanta. Un sistema che non è stato in grado di costruire una narrazione identitaria della moda italiana, per permetterle così di continuare anche oggi ad affermarsi come officina creativa.
La moda oggi in Italia vive la necessità di riappropriarsi delle forme della produzione della conoscenza e di apertura alla molteplicità delle fonti creative, superando la fase della spettacolarizzazione fine a se stessa che, al contrario, preme verso un progressivo adeguamento alle logiche dei cultural mass market, dell’intrattenimento ipnotico-passivo.
È necessario allora cercare di costruire un progetto a lungo termine che possa affermare il valore della moda italiana. Non solo produttrice di manufatti meravigliosi venduti in tutto il mondo, in una logica destinata a etichettarci nel tempo unicamente come artigiani evoluti al servizio dei creativi di quelle nazioni che sulla storia della loro moda hanno saputo costruire narrazioni straordinarie, ma piuttosto come sistema capace di rappresentarsi anche attraverso la cultura della moda. Una cultura che ormai non può più essere vista solo come produzione di oggetti, ma come punto di vista irrinunciabile sugli stili di vita e sui modi della contemporaneità.
Maria Luisa Frisa
Direttore del corso di laurea in design della moda allo IUAV di Venezia. Visiting Professor in Fashion Curating presso la University of Arts di Londra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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