L’idea dell’apocalisse (IV)

Cosa c’è “dopo” l’apocalisse? Quando tutto è irrimediabilmente perduto e niente potrà mai tornare come prima? Forse solo confusione e anarchia. E le visioni che oggi la raccontano sono forse solo proiezioni del presente.

Aprendo la loro sacca, i bambini gridano in coro: ‘Oh, Uomo delle Nevi, cosa abbiamo trovato?’ tirano fuori gli oggetti, li tengono sollevati come se li mettessero in vendita: un coprimozzo, un tasto di pianoforte, un coccio di bottiglia da bibita verde pallido levigato dall’oceano. Un flacone in plastica di BlyssPlus, vuoto; un Cestino di Pepite di pollo ChickieNobs, idem. Un mouse, o quanto ne rimane, dalla lunga coda flessibile. Uomo delle Nevi ha voglia di piangere. Cosa può dire loro? Non c’è modo di spiegare cosa siano, o cosa fossero, quegli oggetti curiosi. Ma hanno senz’altro indovinato cosa dirà, perché si tratta sempre della stessa solfa. ‘Queste sono cose del passato’. Mantiene una cadenza gentile ma assente. Una via di mezzo tra il maestro, l’indovino e lo zio bonario: quello dovrebbe essere il suo tono” (Margaret Atwood, Oryx and Crane, 2003).
Gli oggetti descritti sono i nostri oggetti, il mondo in rovina è il nostro mondo. Si tratta di un esercizio nostalgico, di una forma di straniamento che pratica in forma narrativa quella “archeologia del presente” di cui parla, per esempio, Fredric Jameson. La post-apocalisse costituisce l’occasione per costruire una storia che è di fatto un modulo, sempre uguale a se stesso ma con possibilità infinite di variazione: quella di un gruppo di sopravvissuti in un mondo improvvisamente ostile, in cui le regole e l’ordine precedenti sono stati irrimediabilmente stravolti.

Margaret Atwood - Oryx and Crake (2003)

Margaret Atwood – Oryx and Crake (2003)

La post-apocalisse è infatti molto più di un dopo-catastrofe. Una catastrofe, un disastro, sono limitati nello spazio e nell’entità distruttiva: altrove, la vita prosegue infatti come sempre. La catastrofe è un evento, all’interno di un quadro complessivo che rimane sostanzialmente inalterato dal suo accadere. La post-apocalisse invece sconvolge e riordina parametri, paradigmi e punti di riferimento. La post-apocalisse mette cioè in questione l’intero mondo, perché in questo caso la catastrofe è globale e non esiste più alcun ‘altrove’ verso cui rifugiarsi o da cui aspettare aiuti e soccorsi. Nessuna civiltà con cui ricongiungersi. Ognuno è costretto a cavarsela da solo, e il mondo non sarà mai più come prima: questi sono gli assunti basilari della condizione post-apocalittica, e probabilmente i motivi principali del grande fascino che esercita su lettori e spettatori, soprattutto in momenti di grave crisi economica e sociale. Di fatto, è come se la letteratura, il cinema e la musica che appartengono a questo sotto-genere fissassero da una parte le paure e le proiezioni collettive, e dall’altra fornissero una sorta di manuale, di potenziale “libretto delle istruzioni”. Come afferma lo scrittore di fantascienza John Varley, “segretamente, siamo convinti che noi sopravviveremo: saranno gli altri a morire”.
Ugualmente, il filone post-apocalittico è profondamente diverso da quella distopico (sebbene possa avere con esso dei punti di contatto significativi): la distopia racchiude comunque una forma di ordine, per quanto perversa, ingiusta, distorta. Generalmente, essa si basa sul rigido controllo sociale – l’ingegneria sociale di 1984 e dei suoi mille epigoni -, ma la tenuta del sistema è nel suo complesso garantita da una forma grottesca di organizzazione istituzionale. Nella post-apocalisse, al contrario, regna la più completa anarchia: dopo un disastro globale che l’ha quasi annichilita, l’umanità tende a riorganizzarsi in forme spontanee, spesso crudeli. La società regredisce al suo stadio più primitivo, quello della mera sopravvivenza.

Post-apocalisse

Post-apocalisse

Del resto, ogni epoca di grande trasformazione è catturata dalla fascinazione per il tema della post-apocalisse: è avvenuto dopo la Rivoluzione Francese, alla fine del XIX secolo e negli anni immediatamente precedenti alla Prima Guerra Mondiale, negli anni Trenta, negli anni Cinquanta e a cavallo tra anni Settanta e Ottanta del XX secolo. Sta accadendo anche ora, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, due guerre iniziate ma non ancora finite e una crisi globale della quale, per ora, non si intravede la fine.
Dunque, si può ipotizzare che dietro la creazione di versioni alternative della fine del mondo da parte di periodi significativi ci sia un intento preciso di descrizione, di testimonianza, di realismo. Ogni post-apocalisse prefigurata è la rappresentazione di quella che sta avvenendo nella realtà del proprio tempo. Perciò, la post-apocalisse non serve solo a esorcizzare un timore per ciò che può accadere, ma a proiettare ciò che sta già accadendo.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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