Sonia Falcone et la cartografia unificata del mondo
Sonia Falcone rappresenterà la Bolivia alla prossima Biennale di Venezia. Adriana Herrera è una delle più attente curatrici d'arte contemporanea in America Latina. Ecco allora una presentazione della prima da parte della seconda, in occasione della partecipazione della Falcone alla Biennale di Montevideo.
Campo di colore, l’opera che Sonia Falcone (Santa Cruz, Bolivia, 1965) ha presentato alla Biennale di Montevideo nell’antica Chiesa di San Francesco, è un’installazione minimalista nella sua composizione strutturale ripetitiva. Tuttavia, invece di materiali freddi e neutri che prevalgono nel Nordamerica, utilizza una materia organica che contiene il peso invisibile dei secoli e piena di una simbolica memoria millenaria: le spezie. La sua presenza risale alla letteratura sacra e la sua ricerca diede origine non soltanto a racconti fantastici e a grandi guerre, ma cambiò anche il corso della storia al momento dell’unione del Vecchio e del Nuovo Mondo.
Achiote, cioccolata, pepe, garofano, cumino, anice, caffè, curry, matè, wilkaparu, cannella, e noce moscata formano, con altre sostanze cotte e macinate, la materia di questa installazione multi-sensoriale fatta con polvere di colori splendenti. Terracotta, indaco, rosso, verde, bianco, giallo, carne, rosa, fucsia, viola, arancione, ocra, azzurro sono contenuti in recipienti d’argilla rotondi e identici che si elevano in piccoli tumuli conici. Questi formano nel suo perimetro un esagono irregolare che si sovrappone allo stile ornamentale del suolo dell’alta cattedrale di San Francesco, dove il suo aroma si diffonde.
In questo modo, le spezie che univano i due continenti, incoraggiando i viaggi dei colonizzatori a bordo di un mondo che rinnegò la sua forma, costituiscono un universo di riferimenti incrociati che viaggiano nel tempo. Convergendo così in questa installazione che racchiude il momento nel quale la visione geografica della Terra si completò, ma offrendo soprattutto un banchetto estetico – tanto olfattivo quanto visivo – della diversità.
Gli 88 recipienti d’argilla che contengono le spezie in polvere colorate uniscono la gastronomia d’Oriente e d’Occidente e incitano a immaginare, come un insieme unificato, la ricchezza culinaria dell’umanità intera. Sono sostanze nutritive raccolte in punti lontani del pianeta che si dispongono come un piatto visivo appetitoso, mescolando un’infinità di aromi che utilizzano il potere sculturale dell’olfatto per trasformare non soltanto lo spazio circostante, ma anche il limite della percezione di colui che entra in questo Campo di Colore.
Lo spettatore mangia con gli occhi, sente tramite i colori, aspira a immergere le mani nella polvere macinata e scopre, nello stile ripetitivo dei recipienti che si elevano dalla base circolare disposta sul suolo verso l’orizzonte del suo sguardo, la nozione di un’immensità meravigliosamente contenuta nel banchetto di Falcone.
Per raggiungere la sintesi che Campo di Colore offre dell’apprendimento delle culture alimentari dell’Oriente e dell’Occidente, questo bellissimo insieme della cultura popolare che nutre il palato del mondo, Falcone ha utilizzato come metodo il viaggio alle frontiere del mondo dove ha raccolto le diverse spezie. Ha così comprato in città lontane come Bogotá e Beijing, o Città del Messico e la Paz, queste polveri colorate aromatizzate che dispone in questi modelli ripetitivi con uno scopo concettuale: riunire in un’unica opera completa, senza gerarchia, le spezie provenienti da diversi continenti e tradizioni, in modo che gli 88 recipienti (numero simbolico dell’eternità e dell’infinito contenuto anche nel più piccolo seme) funzionino come un’archeologia della cultura culinaria universale e aprano un limite per immaginare l’unità della terra. “Una volta sparita l’esperienza sensoriale”, dice l’artista,“mi aspetto che ciascuno continui a cercare in sé, in modo che la capacità di sintetizzare l’esperienza sia ciò che resti”.
Il suo metodo ricorda quello dello spagnolo Miralda, pioniere dell’inserimento della cucina nell’arte contemporanea, che per Umberto Eco è il creatore di un gran festival nelle società contemporanee che “hanno perso il senso del banchetto, ma per il quale hanno conservato un’oscura attrazione”. Falcone evidenzia quest’attrazione, simile a una celebrazione di colori, la porta alla luce del giorno e la stende sul suolo in una mappa olfattiva-tattile che affonda le sue radici nella memoria millenaria e fa degli apprendimenti del palato un altro modo di disegnare la cartografia unificatrice dell’umanità.
Il curatore Manuel J. Borja-Villel dice che la cultura di massa non tende a rappresentare il mondo, ma a consumarlo. Tuttavia la rappresentazione di Campo di Colore trascende la propria materialità, la propria sensualità, la maniera di evocare tutti i sensi, e configura infine uno spazio di contemplazione universale della bellezza creatrice di ogni cultura espressa nell’arte di accrescere il piacere offerto dagli alimenti.
Si opera cosi una ri-sacralizzazione nella sua installazione sensuale, in modo che ogni sostanza si trasformi in materia di visione, si utilizza per tornare a ritualizzare il potere degli alimenti come sostegno della specie umana come prova del suo potere trasformatore, della soddisfazione delle civilizzazioni che hanno percorso i secoli per scoprire dei metodi destinati a dilettare il palato, attraverso la sua utilizzazione in un’installazione artistica minimalista costruita con i materiali di cucina, con le sostanze quotidiane, così vicine alla celebrazione della vita come lo spettacolo stesso di un mercato popolare con il suo banchetto di aromi e di colori.
In questo banchetto di un tempo che ha dimenticato la capacità unificatrice che possiede, Sonia Falcone riscopre il potere dell’alimento visivo, olfattivo, tattile, e utilizza il condimento della vita, i condimenti universali che si elevano come coni consacrati nei recipienti di terra per dispiegare – al di là dell’uso di necessità – una visione innovatrice del pane della terra. Le spezie sono la materia per ricostituire l’arcobaleno, col suo antico simbolo di patto, e rendono tra l’infinità di aromi e colori, un’immagine forte del riavvicinamento delle culture.
Se Daniel Spoerri ha incluso nelle sue opere resti di alimenti o mappe di oggetti trovati su un tavolo in un determinato momento per tracciare un diario del suo percorso di vita e artistico, Falcone crea con questa installazione fatta di materie deperibili un’opera che rompe la separazione tra la cucina e il museo, tra l’arte e la vita, tra il minimalista e l’apprendimento millenario della gastronomia del mondo, ma che suppone anche la creazione di una cartografia di colori, odori e sapori che attira una terra tanto diversa quanto unita. È appunto in questo senso che si sovrappone la mappa attuale dei confronti e delle rotture, costruendo un’invocazione del futuro, quasi una profezia dell’unità e della celebrazione, una visione nutritiva per un futuro diverso.
Adriana Herrera
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