Vent’anni di Velan. Arte giovane a Torino
Dal 1993 a oggi, Velan ha ospitato oltre 100 mostre e 600 artisti. Il primo spazio non profit di Torino festeggia il suo compleanno con una mostra del fotografo tedesco Ingar Krauss, dedicata al quartiere multietnico San Salvario, sede della galleria. Abbiamo chiesto al suo fondatore, Vezio Tomasinelli, come proseguirà il suo viaggio con l’arte.
Vent’anni di Velan Center portati avanti da un dentista-collezionista. Come è iniziata quest’avventura?
Ho iniziato a collezionare intorno al 1982-83. Papà collezionista. E devo dire che un impatto un po’ traumatico è stato quando negli Anni Sessanta, durante un viaggio a Parma con mio padre, abbiamo letto sul giornale di un furto di opere d’arte che c’era stato la sera prima. Questo avvenne a Torino mentre noi eravamo là. Non ci potevano avvisare perché non era periodo di telefonini, per cui leggemmo sul giornale che tutte le opere erano state trafugate. Mi colpì molto, anche perché vidi poi mio padre molto dispiaciuto. Anzi, di più. Perché il collezionista vive poi una passione particolare, soggettiva, diversa uno dall’altro. Lui mi portava sempre a trovare artisti, atelier e io ero piccolino, avevo 7-8-9 anni, lo accompagnavo e devo dire che all’inizio mi stufavo anche. Però questa infarinatura continua, perché lui era appassionatissimo, mi ha preso a un certo punto, intorno ai 23-24 anni. Dopo quel furto mio padre non ha più collezionato nulla, non ha più voluto prendere nulla e io mi sono avvicinato a quell’arte che era più vicina a me, cioè l’arte contemporanea. E lì è stato il primo approccio. Ho cominciato a prendere le prime opere coi pochi soldini che potevo avere perché ovviamente ero appena laureato.
La primissima mostra di Velan Center, intitolata Art is life projects, non si è svolta dentro Velan come spazio fisico…
Ho avuto l’idea di organizzare, visto che correvo in moto (faccio gare di motocross a livello europeo) questa mostra di caschi customizzati da artisti di tutto il mondo ed è stata il primo tassello del Velan Center, perché facevo tutt’altro, facevo il medico-dentista. Ho invitato 600 artisti di tutto il mondo, poi quelli che hanno aderito sono stati 148. La mostra ha avuto esposizioni itineranti per un anno: Lussemburgo, Londra, Milano, in due musei in Belgio e lì è iniziato il rapporto diretto, non solo come collezionista, ma di contatto vero e proprio con gli artisti. Li chiamavo spesso – “Hai finito il casco, non l’hai finito, quando ti mando il trasportatore, mi raccomando la cassa” -, instaurando con loro un rapporto diretto. Poi, visto che la mostra aveva avuto un buon riscontro, ho trovato un amico che aveva uno spazio a Carignano in un vecchio lanificio e lì è stato il primo spazio espositivo in cui è nato questo rapporto, questo matrimonio in un certo senso tra me e l’arte, che continua fino a oggi. Quindi vent’anni a organizzare mostre tra Carignano, Torino in via Modena e adesso in via Saluzzo.
Un ex lanificio, un’ex falegnameria e ora un ex laboratorio fotografico. In questi continui trasferimenti hai sempre privilegiato spazi a vocazione industriale. Perché?
Sì, sempre spazi da factory, industriali. Quello di Carignano era uno spazio di 1.700 mq, quasi in stanza unica, con colonne che dovevano sostenere il tetto. Sia via Modena che via Saluzzo sono camere uniche senza un labirinto. Questo perché, nell’arte contemporanea, meno il luogo è invasivo, meglio è per l’artista, anche perché, specialmente nell’installazione e nella performance, c’è sempre la voglia di avere uno spazio più neutro, più asettico possibile. Non dico di enormi dimensioni come poteva essere Carignano, ma già questo 10×10 mq è sufficiente. Poi ci pensa l’artista a che mostra fare, modificando lo spazio, creando installazioni. Di conseguenza, andavo a cercare luoghi in cui ci fosse almeno una stanza, una camera di una certa dimensione per fare in modo che qualsiasi progetto si potesse adattare al luogo.
Come si inserisce lo spazio nel tessuto del quartiere? C’è risposta alle mostre da parte del pubblico?
Questo ultimo spazio è in zona San Salvario perché non c’erano spazi dedicati all’arte contemporanea e il luogo trovo che sia in un momento di rinnovamento forte, ci sono investimenti da parte del pubblico e dei privati dove si cerca di far diventare più bello il luogo che bello già lo era, ma forse troppo trascurato. Da parte delle persone del quartiere c’è un contatto continuo con il luogo, con San Salvario. Vengono a visitare la mostra molto più che non quando era in via Modena. Diciamo che la volontà era proprio quella di trovare un luogo in San Salvario per tutti questi motivi.
Velan Center, come modello gestionale, si configura come il primo spazio non profit di Torino, nato in collaborazione con la Regione Piemonte. Quali sono i vantaggi e quali i vincoli di questa collaborazione?
La collaborazione con la Regione è una collaborazione dove, da parte della Regione, c’è un contributo di rimborso spese. Questo contributo serve per poter allestire, invitare gli artisti ecc. Ovviamente il vincolo è non poter vendere. Il discorso è che a me non interessa la vendita, perché per me l’arte è come il viaggio per un appassionato del genere. Quando gli dicono: “Vai in Patagonia che ti pagano il viaggio”, lui è felice di andare. Per me è un viaggio e questi viaggi mi piacciono da morire. È ovvio che, invece di pagare 10, se pago solo 3 o 2 mi conviene. Quindi per me va benissimo così.
Il vincolo del non vendere… mah, non ho mai pensato a vendere, anche perché se dovessi vendere dovrei fare questa attività: cioè dovrei essere qui, invitare il collezionista, far vedere le opere, andare a mangiare fuori con loro. Io al mattino sono in ospedale, al pomeriggio sono allo studio privato fino a sera tarda e quindi a me va bene così, la mia professione è questa. Velan è un mio angolo che mi sono creato in questi venti e passa anni e che mi ha dato tante soddisfazioni, tanto lavoro, tanto impegno. Però, ripeto, è come andare a fare trekking sull’Himalaya, uno fa tanta fatica, però è più il piacere di essere lì che non il pensare di fare fatica a salire le montagne.
La collaborazione con la Regione continua tuttora?
La collaborazione con la Regione è annuale, però non mi hanno detto più niente, né per il 2013 né per il 2012 appena concluso. Ho portato avanti tutto il 2012 a mie spese, per cui se c’è ancora questa collaborazione bene, se non c’è pazienza. Per carità, devo anch’io poi valutare quanto andare avanti, perché se diventa impegnativo sotto il profilo economico, o si chiude o si riducono le mostre, anche perché non ci sono altri ritorni e rientri economici. Una parte di ritorno economico era quello della Regione, se poi la Regione non c’è, diventa difficile continuare. Adesso mi piace organizzare le mostre, invitare gli artisti, conoscerli, vedere che opere hanno portato. Però mettermi a telefonare alle persone per convincerle a comprare, questo no. Non fa parte del mio carattere.
Chi si occupa dell’aspetto curatoriale?
L’aspetto curatoriale nasce da me, nel senso che se mi piace un artista lo contatto, oppure lo contatta Francesca Referza, che è la direttrice artistica dello spazio da un po’ più di due anni. Insieme lavoriamo, collaboriamo nel contattare l’artista, nel portarlo a fargli vedere lo spazio per realizzare un progetto dedicato allo spazio stesso, come questo di Ingar Krauss, visibile fino al 9 marzo, che è un progetto proprio su Torino, su San Salvario.
Il fotografo tedesco ha appunto realizzato questa serie di ritratti incentrati sugli abitanti di San Salvario, dopo due intense settimane trascorse nel quartiere multietnico torinese come artista in residenza tra settembre e ottobre. È la prima volta che succede? Pensi sia un format sostenibile?
Mi era già capitato di lavorare con artisti che si fermassero e che lavorassero qui. Alcune volte lavoravano sul luogo, alcune volte sullo spazio, altre volte producevano delle qui, tipo Miltos Manetas, però poi non erano proprio dedicate a Torino, allo spazio. Secondo me è il formato migliore questo, perché rispetto a un po’ di anni fa i trasporti sono diventati carissimi. Adesso non vorrei dire una stupidaggine, ma per trasportare le opere pochi sanno che una cassa di legno può arrivare a 1.000 euro solo la cassa, che in genere era un involucro quasi da buttare via una volta. Questo solo per dire quali sono i costi. Allora tanto vale, spendendo molto di meno, invitare l’artista per una settimana, ospitarlo in un albergo, fargli produrre una mostra, in questo caso di fotografia, si stampa qui, si incornicia sempre qui. Ecco, alla fine forse è la cosa migliore, penso anche per l’artista che per una settimana, 15 giorni, conosce nuovi posti, nuovi luoghi.
Gli altri due format ideati per Velan Center in questi vent’anni sono stati Garage 42 e Versus. Qual è il segreto della loro longevità?
Garage 42 va letto in inglese four two (per due) e sono due personali. Lo spazio è identificato come un garage e all’interno ci sono due artisti, che però fanno opere senza un tema specifico perché ognuno porta le opere che vuole portare. Versus quest’anno ha raggiunto l’edizione XIX, quindi sono quasi vent’anni che faccio questa mostra dedicata ai giovani artisti. Nell’arte, bene o male, sono sparite tutte queste rassegne ed è una cosa che volevo portare avanti perché trovo che sia giusto dare uno spazio anche agli artisti giovani, come lavoro e non come età. Cioè, possono avere vent’anni come possono averne quaranta, però il lavoro deve essere giovane, deve essere attuale. Poi, da questa mostra possono nascere tante cose come possono non nascere. Però, intanto, possono esporre, possono farsi vedere, viene fatto un catalogo e poi chi va avanti va avanti.
Da Velan sono passati tanti artisti, un tempo esordienti e poi famosi. Ci fa degli esempi?
Sono passati alla Velan artisti come Jan Fabre, Maurizio Cattelan, Dennis Hoppenheim, Julian Opie, Miltos Manetas. Poi quelli del territorio piemontese sono passati tutti.
È stato un trampolino di lancio?
Non è stato merito mio, però forse ho fatto quel pochino che può servire anche per loro. Comunque la pubblicità, la visibilità, l’articolo sul giornale, il catalogo da distribuire, quello è sempre qualcosa in più. Poi la tenacia, il lavoro, è una cosa soggettiva che è tutta dell’artista. Ecco perché qualcuno ce la fa e qualcun altro non ce la fa.
Gli immancabili progetti futuri. È in programma una mostra ad aprile…
Sì, una mostra ad aprile. Diciamo che sto andando un po’ col contagocce adesso. È la mostra dell’israeliano Guy Yanai e poi Versus a settembre. Però vivo un po’ alla giornata, nel senso che adesso ci sono questi due progetti e poi dipende tutto da come vanno le cose con la Regione.
In conclusione, qual è la mission di Velan?
La mission della galleria è la promozione dell’opera giovane. Per esempio Dennis Hoppenheim, che è mancato da poco, quando è venuto da me aveva già 65-70 anni. Quindi è l’opera a essere giovane, non è l’artista anagraficamente giovane che mi interessa. È anche vero che il giovane ha più tempo davanti a sé, ma non è che se uno arriva a una certa età deve morire, ha diritto anche lui a fare una mostra se ha un lavoro interessante. Certo, potrebbe non averlo avuto interessante fino a pochi anni prima, però da quel momento può averlo interessante. Ecco perché non bisogna mai chiudere le porte.
Claudia Giraud
Torino // fino al 9 marzo 2013
Ingar Krauss – San Salvario
a cura di Francesca Referza
VELAN
Via Saluzzo 64
011280406
[email protected]
www.velancenter.com
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