Contro i funzionari pubblici
Le politiche pubbliche condizionano il mercato culturale, l'offerta come la domanda. Orari di apertura, biglietti d'ingresso, comunicazione, qualità del prodotto e dei servizi: sono tutti caratteri che determinano quantità e qualità del consumo. Si tratta di decisioni prese per legge o per determinazione dirigenziale o assessorile o ministeriale.
Sono anni che si additano i politici per insensibilità e incompetenza verso le politiche culturali e si fanno “manifesti” contro una politica miope e gretta che non vede nella cultura una grande opportunità di sviluppo. Io non sono più tanto sicuro che la politica sia l’unica responsabile, neanche che sia l’artefice della bassa se non infima qualità di politiche culturali in Italia.
Inizio a credere che il centro del problema siano le amministrazioni, gli uffici tecnici. Non mostrano di voler dare continuità e struttura all’offerta culturale. Questa mancanza riduce la cultura a mero eventismo, a iniziative estemporanee. I funzionari pubblici possono condizionare l’operato del politico di turno. Sono le persone che fanno concretamente le cose e se volessero potrebbero influenzarle, grazie alla continuità della loro presenza oltre i mandati elettorali.
Nella mia esperienza di formatore pubblico, i funzionari da una parte esprimono sempre orgoglio per il fatto di essere in quegli uffici da decenni. Allo stesso tempo, palesano disagio per una politica sempre più scadente, se non corrotta. Ma siamo sicuri che i funzionari siano solo le vittime di questo depauperamento? Che, se non conniventi, non siano consenzienti?
Io gli dò una bella dose di responsabilità, doppia addirittura. Da una parte ritengo che non tengano “a bada” i politici di turno. Mostrano di non avere un progetto amministrativo. Inoltre credo che l’operato qualunquista di molti funzionari gli attribuisca una seconda colpa: la disaffezione dei cittadini. Questi non difendono la cultura perché nessuno gliel’ha insegnato. Ed eleggono politici che non cercano una relazione con essi basata anche sull’offerta culturale, perché questa non riveste alcun ruolo nella vita delle persone. Non muove voti, interessi, opportunità.
Per le persone la cultura è uno svago di cui si può fare a meno; per i politici è un vezzo che non fa contenti gli elettori.
Fabio Severino
vicepresidente dell’associazione economia della cultura
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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