Cultural Divide
Camminavo verso piazza San Marco, in una Venezia invernale, con una delle più importanti critiche italiane, oltre che una delle poche internazionali, e un giovane gallerista italiano. "Bah, cosa vuoi, a essere realisti, se scomparissero oggi pomeriggio gli artisti italiani, togli i 2-3 fenomeni, sarebbe uno sbadiglio del mondo dell'arte". La temperatura rigida non si è raffreddata. Era solo un’altra ventata gelida in questo lungo inverno culturale del Paese…
Il giovane gallerista, impegnato a sostenere con investimenti anche importanti parte di quegli artisti, proseguiva tranquillo: “Adesso chiudo lo spazio e mi concentro solo sulle fiere, ma solo quelle internazionali. Mica mi metto a fare più gli investimenti in Italia in fiere che sono balere. Se vado, vado a Liste, a Frieze, a Miami, dove trovo un mercato, investimenti, collezionisti veri“. “E chi ci porti?”, gli domando. “Gli artisti italiani, ovvio. Li sto coltivando e penso che ci sia anche qui una grande qualità, tra i giovani, ma preferisco concentrarmi sull’estero nella promozione e magari sostenerli durante la Biennale, se devo fare qualcosa a Venezia“.
Due discorsi, da due punti di vista del sistema, che coincidono. O il sistema si internazionalizza oppure implode, più di quanto non sia già imploso. Ovvero cadranno anche le macerie. Purtroppo internazionalizzare ha bisogno di tempi, strategie, economie e qualità. Tutta la nostra produzione è come se fosse sconnessa, non fosse in wi-fi, non considerasse i motori di ricerca internazionali, i social network.
Va colmato il cultural divide, che è linguistico, di modalità, intellettuale. Dobbiamo esportare il nostro sistema con microreti qualitative di soggetti, dimenticarci la bellezza dei nostri centri storici dove beviamo gli aperitivi alle 6 di sera e prendere il coraggio di salire sugli aerei, treni, camion, roulotte, quello che volete, ma andare fuori. Per salvare quello che c’è dentro. Con formule miste e con partner atipici che rappresentino il meglio di quello che ancora, pare incredibile, il mondo riconosce a questo luogo che è l’Italia. È fare dentro quello che fa quotidianamente una piattaforma come Artribune.
Creare connessioni e sinapsi attive per fare capitare le cose, non per parlarne.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto e di fuoribiennale
docente di estetica in design della moda – politecnico di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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