L’architettura cipriota. Ieri, oggi e domani
In occasione della presentazione del libro “Konstantinos Maratheftis Acts of architecture” alla libreria Arion Esposizioni a Roma, abbiamo incontrato l’autrice Emma Tagliacollo, studiosa di architettura moderna e una delle maggiori esperte sull'architettura di Cipro. Un'occasione per fare il punto sulla situazione contemporanea, sul passato e i legami con la scuola italiana e su cosa ci si aspetta sul futuro, scoprendo una vena internazionale.
La Scuola di Architettura italiana ha influito in maniera determinante sull’evolversi dell’architettura cipriota, così come il pensiero dei grandi maestri come Quaroni, Zevi, Scarpa, Rossi e Libera. Perché gli architetti ciprioti hanno scelto l’Italia come Paese elettivo di formazione? Come si è concretizzata questa influenza?
Hanno scelto di studiare in Italia perché conoscevano la cultura italiana, in particolare il design, così importante e fondante all’interno della cultura europea da arrivare in tutto il Mediterraneo fino a Cipro. Il primo veicolo culturale italiano resta però il Rinascimento; molti architetti hanno scelto la Facoltà di Architettura di Firenze come sede dei propri studi, e in alcuni temi del restauro da loro trattati esce fortissimo il tema del palazzo, anche nelle nuove costruzioni. Tornati in patria, sparigliano le carte della cultura, attingendo alla cultura italiana e mescolandola con l’architettura tradizionale cipriota, che si riassume principalmente nella casa tradizionale, e con le contaminazioni derivate dalla dominazione coloniale inglese. L’influenza italiana si concretizza in un nuovo modo di fare architettura, di studiare la tradizione e l’urbanistica, tutte discipline che prima non esistevano.
Quali sono le caratteristiche dell’architettura contemporanea cipriota?
È difficile riuscire a definirle, perché non è un’architettura esclusivamente europea; è un’architettura internazionale che guarda molto all’America, dove si sono formati molti architetti ciprioti. L’influenza americana è importante soprattutto nelle nuove scuole d’architettura, nelle quali il modo di leggere la storia è anglosassone, non europeo. La scuola di Bruno Zevi, di Manfredo Tafuri, di Aldo Rossi viene stemperata, e questa può essere una qualità, perché permette che ci sia una spinta verso il futuro.
Emerge, nelle opere degli architetti ciprioti, una grande attenzione ai materiali strutturali e poca attenzione alle “pelli” e ai rivestimenti. Perché?
Forse proprio perché hanno studiato in Italia dove, a mio avviso, non c’è attenzione alla pelle come extrastruttura. La composizione della facciata fa parte essa stessa dell’architettura e della forma del progetto, è essenza stessa del progetto, a mio avviso.
L’attenzione al futuro è una costante nella poetica architettonica di Konstantinos Maratheftis, come anche le riflessioni sulla forma e sulla sua scomposizione, sul colore, la monumentalità, la luce e l’uso della trasparenza. Nell’intervista introduttiva al suo libro, ha dichiarato che l’evoluzione della sua architettura segue la storia economica e sociale di Cipro. Quali sono, a suo avviso, le opere più paradigmatiche in questo senso?
Sicuramente The Mall of Cyprus, un grande centro commerciale che può diventare uno dei tanti contenitori di servizi per i nuovi quartieri, un’opera così contemporanea che richiama immediatamente l’Ikea della Bufalotta di Roma. La costruzione di questo insieme di edifici ha portato alla creazione di nuovi quartieri, nei quali il privato costruisce i servizi e il pubblico porta l’acqua, la luce, le strade. È una cosa interessante, anche se credo che il privato dovrebbe fare un passo indietro per riportare i cittadini come primi promotori delle opere che vengono proposte.
Nelle opere di Maratheftis, come in quelle degli altri architetti ciprioti, c’è una grande attenzione alla compenetrazione fra architettura e paesaggio, alla relazione tra parti esterne e interne. La volontà di considerare il piano terra come spazio permeabile e aperto per la collettività sembra avere una derivazione lecorbusiana, oltre che italiana e più in generale mediterranea. È così?
Non credo che guardi a Le Corbusier. Se “il futuro come costante” può essere considerato lo slogan della sua poetica, credo che guardi a un International Style contemporaneo, ovvero un modo di leggere l’architettura internazionale. Molto democraticamente l’America ci fa scuola con i piani terra liberi, che noi abbiamo dimenticato, ma che ad esempio abbiamo a Roma nel Villaggio Olimpico, nelle case a patio dell’Unità di Abitazione Orizzontale Tuscolano di Adalberto Libera, o, a livello contemporaneo, nel magnifico spazio aperto pubblico del Maxxi. Sono spazi permeabili di valore semipubblico e semiprivato dove ci si può muovere, fermarsi, incontrare le persone.
Cosa ci si aspetta dal futuro? Le Facoltà di Architettura sono ora in grado di porre le basi per una scuola cipriota?
Non so se esistono, ad oggi, le basi per una scuola di architettura cipriota, i primi laureati sono proprio di questi anni. Cipro ha una fortissima componente internazionale che la sposta verso l’altra parte del globo ed è, tra l’altro, in una situazione di sofferenza, è una nazione tagliata in due dall’occupazione turca del 1974. Questo è un problema europeo, sono tante le componenti culturali che ci avvicinano e che spesso ci è difficile vedere, tra le quali anche la risoluzione di questo problema, che riporterebbe i ciprioti a una condizione di cittadini protagonisti di un’Europa che deve comunque ridefinirsi. E, in questo, Cipro ha la condizione strategica di essere luogo di frontiera, porta tra Occidente e Oriente.
Marta Veltri
Emma Tagliacollo – Konstantinos Maratheftis Acts of architecture
Officina Edizioni, Roma 2012
Pagg. 136, € 20
ISBN 9788860491039
www.officinaedizioni.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati