Con Cronache del dopobomba (Dr. Bloodmoney, Or How We Got Along After The Bomb, 1965), Philip K. Dick raggiunge quello che diventerà il paradigma del romanzo post-nucleare, ricco di preoccupazioni spirituali e riflessioni sulla possibile ricostruzione di una civiltà dopo l’annientamento della guerra, simboleggiata dalla figura malata e cadaverica di Bruno Bluthgeld, il fisico atomico odiato dal mondo intero: “E poi, tra una parolaccia e l’altra, provò una strana sensazione, stranamente vivida. La guerra era iniziata e lui si trovava sotto i bombardamenti e probabilmente tutti sarebbero morti. Ma era Washington che scaricava le bombe addosso alla gente, non erano i cinesi o i russi; qualcosa si era guastato, su nello spazio, in qualche sistema automatico di difesa che adesso stava funzionando al contrario… e niente poteva arrestarlo. Era la guerra e la morte, sì, ma per errore: mancava l’intenzione. Non sentiva nessuna ostilità provenire dalle forze sopra di lui. Non erano vendicative o intenzionali: erano vuote, assolutamente fredde. Era come essere investiti dalla propria automobile. Era una cosa reale, ma senza senso. Non era politica: era catastrofe e fallimento, era il destino”.
Queste considerazioni, e le figure che le racchiudono, saranno ampliate undici anni dopo nel romanzo scritto in collaborazione con Roger Zelazny, Deus Irae (1976), sorta di costola, sviluppo “cristologico” e misticheggiante di Dr. Bloodmoney. Il pittore focomelico Tibor McMaster richiama in versione bonaria la figura molto più inquietante di Hoppy Harrington, mentre Carleton Lufteufel, considerato come Bluthgeld responsabile dell’olocausto nucleare, è stato qui trasformato nel Dio dell’Ira, venerato da una religione che si oppone direttamente al Cristianesimo: “‘Ho viaggiato molto,’ disse, ‘e ho visto il mondo, sia prima che dopo. Ho vissuto i giorni della distruzione. Ho visto le città morire, le campagne avvizzire. Ho visto il pallore abbattersi sulla terra. C’era ancora una certa bellezza in quei tempi, sai. […] Ma poi venne quel giorno. L’ira discese. Peccato, colpa e punizione? Le psicosi maniacali delle entità che chiamavamo stati, istituzioni, sistemi… le potenze, i troni, le dominazioni… le cose che continuamente si mescolano all’umanità e dall’umanità emergono? La nostra tenebra, esteriorizzata e visibile? Comunque fosse, era stato raggiunto il punto critico. Discese l’ira. Il bene, il male, la bellezza, la tenebra, le città, la campagna… il mondo intero, tutto si rispecchiò per un istante sulla spada levata. La mano che impugnava quella spada era la mano di Carleton Lufteufel. Nel momento in cui affondò nel nostro cuore, non fu più la mano di un uomo, ma quella del Deus Irae, il Dio dell’Ira. Ciò che resta esiste grazie alla Sua longanimità. Se deve esistere una religione, per me questo è l’unico credo possibile’”.
La differenza è che, mentre nel secondo romanzo sappiamo con certezza che Lufteufel ha inventato la GOB – Great Objectless Bomb, l’ordigno più micidiale della storia, non è affatto chiaro se il Dr. Bluthgeld/Bloodmoney abbia veramente scatenato la guerra nucleare, se sia effettivamente dotato di poteri paranormali o se la sua non sia piuttosto una proiezione paranoica.
Questo spunto era stato ripreso nel 1971 da Ursula K. Le Guin ne La falce dei cieli (The Lathe of Heaven), forse il più originale e ambizioso romanzo post-apocalittico degli ultimi decenni. Fantascienza concettuale al suo meglio, ma senza pesantezze o orpelli, La falce dei cieli è concepito come una continua mise en abîme, in cui i sogni di George Orr ridefiniscono e trasformano di volta in volta la realtà intorno a lui. Finché si scopre che queste ricostruzioni progressive partono da una distruzione originaria, ed è il mondo intero a essere sognato e creato dal protagonista: “Avevo la nausea, non riuscivo a camminare e mi sedetti sui gradini di una casa, ai piedi delle colline occidentali; le case erano bruciate tutte, ma i gradini erano di cemento, ricordo che c’erano alcuni denti di leone fioriti, in una spaccatura del cemento. Ero lì seduto e non potevo alzarmi, non ne avevo la forza. Continuavo a pensare che ero in piedi e camminavo, uscivo dalla città, ma era soltanto un delirio. Quando ripresi i sensi, vidi di nuovo i denti di leone, e capii che stavo per morire. E che tutto il resto stava per morire. E allora feci il… feci quel sogno. – La sua voce era diventata roca; ora si spezzò. – Sognai che stavo bene – disse. – Sognai di essere a casa. Mi svegliai e stavo bene. Ero a casa, nel letto. Solo, non era una casa che conoscessi, l’altra volta, la prima volta. La volta brutta. Oh, Dio!, preferirei non ricordare. E spesso non ricordo. Non posso. Da allora mi sono sempre detto che era un sogno. Che quello era un sogno! Ma non lo era. Questo è un sogno. Questo mondo non è reale. Non è neppure probabile. Quell’altro era vero. Era ciò che è successo. Siamo morti tutti, e abbiamo rovinato il mondo prima di morire. Non resta nulla. Soltanto i sogni”.
L’apocalisse è l’unico evento reale, e la post-apocalisse, il nuovo inizio dopo la fine, è frutto di una deviazione innaturale. È un’unica grande digressione, un fantasma narrativo.
Christian Caliandro
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