Musei che chiudono. L’emergenza Mandralisca

Un ennesimo caso di paventata chiusura. Un’altra istituzione culturale siciliana che chiede aiuto. E pare una catena luttuosa, inarrestabile. Il Museo Mandralisca di Cefalù, custode di importanti collezioni artistiche e scientifiche, non ha più fondi. La Regione taglia tutto. Ma dove finirebbero, in caso di chiusura, le opere della Fondazione, tra cui il “Ritratto d'ignoto marinaio” di Antonello da Messina?

Insieme all’aulica Annunciata, incorniciata da virginali pennellate d’azzurro, è forse il più iconico tra i dipinti di Antonello Da Messina; quello che, quando parli del maestro siciliano, viene subito in mente: lo chiamano Ritratto d’uomo, oppure, con maggiore enfasi letteraria, Ritratto d’ignoto marinaio; un piccolo olio su tavola, datato tra il 1465 e il 1476, in cui si condensa tutta la solidità, la misura, l’intensità e la verità della pittura antonelliana. Un volto scolpito nella luce di un incarnato mediterraneo, che accende il nero dell’abito confuso con lo sfondo; un sorriso ironico, sintesi di nobiltà e di saggezza popolare. Il sorriso di un capolavoro.
Per vederlo basta farsi un viaggio in Sicilia, tra i paesaggi di sabbia, di boschi e di mare della deliziosa Cefalù, cittadina madonita in provincia di Palermo. Il Marinaio riposa tra le sale del Museo Mandralisca, assieme a una serie di altri gioielli, custoditi tra la pinacoteca, la biblioteca, la collezione naturalistica, il fondo archeologico, la collezione d’antiquariato e quella di malacologia. A gestire la struttura è l’omonima Fondazione, istituita nel 1864 come ente morale per volere testamentario del barone Enrico Piraino di Mandralisca, uno di quei mecenati che, prima di morire, si adoperarono per lasciare in eredità un’istituzione che ne tutelasse il patrimonio ed educasse all’amore per il bello e la cultura. Il barone pensava di assicurare un sostentamento all’ente sfruttando la generosità dei suoi terreni agricoli. Oggi, a distanza di un secolo, di agricoltura non si campa; piuttosto, ci si indebita.

Una sala del Museo Mandralisca, Cefalù

Una sala del Museo Mandralisca, Cefalù

E allora? A proteggere le opere – tutte di proprietà della Fondazione, eccezion fatta per la collezione Cirincione, prestata dal comune di Cefalù – ci ha pensato la Regione Siciliana, naturalmente preoccupatasi di vincolarle come patrimonio pubblico. Fino al 2012 le casse regionali versavano una cifra media di 150mila euro annui, che unita agli introiti della bigliettazione non era sufficiente a coprire le spese per il personale e il funzionamento. E che però era, per il museo, unica garanzia d’esistenza. La cifra arrivava grazie alla tanto vituperata “Tabella H”, cancellata nel 2013 dal neopresidente Rosario Crocetta. Troppe magagne, troppi inciuci e obbrobri dietro quel fondo permanente destinato a 141 enti, arrivato a costare quasi 33 milioni di euro a mamma Regione.
E bene per i tagli e la pulizia. Ma con quello strumento si tenevano in vita non solo raccomandati e associazioni in odor di clientela, ma anche realtà meritevoli. Stando dunque all’attuale scenario, il Mandralisca è a quota zero. Nessun finanziamento all’orizzonte. Il risultato? Se così fosse, si chiuderebbe. L’allarme lo ha lanciato nei giorni scorsi il Cda della Fondazione. Un film già visto: la Fondazione Piccolo di Calanovella, il Museo di Storia Patria, la Fondazione Orestiadi, solo per citare i clamorosi casi esplosi negli ultimi due mesi. Antiche istituzioni, prive di finanziatori e imprenditori alle spalle, affidate alla tutela delle amministrazioni pubbliche.

Il San Giovanni Battista attribuito a Giovanni Antonio Sogliani - Museo Mandralisca, Cefalù

Il San Giovanni Battista attribuito a Giovanni Antonio Sogliani – Museo Mandralisca, Cefalù

Abbiamo sentito telefonicamente il vicepresidente della Fondazione Mandralisca, Manlio Peri, che ci ha confermato i dati: “Contiamo nove dipendenti a tempo pieno e con i 70mila euro ricavati dalla vendita dei biglietti non arriviamo a pagarne nemmeno metà. Poi ci sono le spese di manutenzione, le bollette, l’amministrazione. Senza considerare quello che abbiamo speso, di tasca nostra, per adeguare alle norme europee l’impianto elettrico e l’impianto antincendio, e per risistemare parte dell’allestimento”. Naturale chiedergli subito se una ricerca di risorse alternative fosse mai stata tentata. “Certo che sì”, ci ha risposto Peri. “Abbiamo contattato diverse aziende nazionali e internazionali. Avevamo quasi chiuso un accordo con un grosso gruppo straniero, ma poco prima di firmare si sono tirati indietro. La crisi è implacabile. E la Sicilia non invoglia a investire. Non ci sono economie, non si fa business, non c’è un grosso ritorno di immagine e la burocrazia è un ostacolo enorme. Fino a oggi un buco nell’acqua”. Unico obiettivo raggiunto, proprio nella giornata di ieri, è stato l’impegno da parte della Regione di liquidare l’80% dei contributi relativi al 2012 (113mila euro), ancora non elargiti. Un rammendo provvisorio, per pagare gli stipendi arretrati. E poi? Si naviga a vista. Nella certezza che, se il museo dovesse chiudere davvero, l’ultima parola sulla fruizione dei beni spetterebbe alla Fondazione, legittima proprietaria; e trattandosi di una casa-museo, il patrimonio per legge non potrebbe essere smembrato o trasferito in altra sede. Impossibile accedervi, in definitiva.
Nel frattempo, un paradosso si compie. Mentre un’istituzione siciliana preannuncia il proprio imminente decesso, dall’estero quella stessa istituzione viene corteggiata con zelo. Tra pochi mesi due maschere della collezione del Mandralisca voleranno al Getty Museum per la mostra Sicily: Art and Invention between Greece and Rome, mentre una terza – il celebre Cratere del venditore di tonno, risalente al IV secolo a.C. – era stata richiesta, ma con esito negativo.

Cratere del venditore di tonno, IV sec. a.C - Museo Mandralisca, Cefalù

Cratere del venditore di tonno, IV sec. a.C – Museo Mandralisca, Cefalù

Ecco la follia: il mondo ci invidia e noi ci sbizzarriamo in esercizi di autoflagellazione, se non di suicidio. E allora, qual è la visione generale? Quale il progetto? Quale la strategia governativa? Rispetto alla politica dei prestiti, come rispetto alla distribuzione delle finanze: tra patto di stabilità e abnormi buchi economici, urge l’assunzione di una logica trasparente ed efficace, che scongiuri il pericolo di sperperi, clientele, scelte fallaci e parassitismi vari. Il poco che c’è va gestito con coscienza: questione di ménage, quando la crisi non lascia spazio a sbavature ma nemmeno a trascuratezze. Perché la politica dei tagli, che tanto piace alla gente inferocita, qualche volta degenera in miope populismo. Tagliare tutto, tagliare e basta, tagliare per pulirsi la faccia. Purché poi, tagliando allegramente, non si spazzino via pure servizi, garanzie, spazi di conoscenza e buone pratiche di democrazia. Arrivando a perdere, più che a guadagnare. Il riformismo, al contrario del rivoluzionarismo, passa per vie forse meno “appealing” ma più oculate: curare, riparare, modificare, rieducare. E non demolire.
Dunque, dopo la Tabella H il vuoto? Certo che no. Qualcosa, per arrestare la catena di cadute e di chiusure, si dovrà pur fare. E qualcosa, sembrerebbe, comincia a muoversi. Notizie fresche e in anteprima ci giungono dalla Commissione Cultura dell’Assemblea Regionale, dove ieri mattina il problema è venuto fuori. Ecco allora un elenco di 50 enti che possiedono un patrimonio (sia modesto che cospicuo) e che sono impegnati in attività di tipo sociale, culturale o educativo: a queste si pensa di riassegnare il finanziamento annuale. Una mini Tabella H, in sostanza. Compilata secondo quali criteri? Nessuno, a parte delle valutazioni arbitrarie. Tutto come prima. Dentro ci sono, tra gli altri, il Museo Mandralisca, la Fondazione Whitaker, la Fondazione Ettore Maiorana,  Amnesty International, l’Automobil Club di Palermo, l’associazione No Limit di Catania, il Comune di Custonaci, il Centro studi G. Pastore di Agrigento, l’associazione OIKOS di Barcelona Pozzo di Gotto, la Società di Storia Patria, l’Istituto del Papiro di Siracusa, la Fondazione Piccolo, la Fondazione Buttitta. Un mix bizzarro, tra istituzioni di alta rilevanza e realtà piccole e ignote.

Il Barone Enrico Piraino di Mandralisca

Il Barone Enrico Piraino di Mandralisca

La proposta – che tale è in questa fase – dovrà passare in commissione bilancio e poi seguire tutti gli iter di rito (tra emenadamenti e discussioni d’aula) per poi tramutarsi, eventualmente, in legge. Con scontri annessi e connessi.
La speranza è che, almeno per quei casi di reale emergenza, si giunga a un’assunzione di responsabilità, sulla base di criteri trasparenti ed equi (ancora mancanti). Perché al netto di fundraising necessari, di partnership con privati e di mecenatismi nuovi, l’istituzione pubblica è chiamata a prendersi cura del bene più grande che ha la collettività: le sue radici, i suoi talenti, l’identità, il patrimonio storico, artistico e paesaggistico. La bellezza, in una parola sola. La stessa che, dopo seicento anni, ancora s’irradia con immutata forza da quel sorriso astuto e bonario, “un sorriso ironico, pungente e nello stesso amaro, di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà”. E la Sicilia, ancora una volta, è tutta qua, in un pezzetto di letteratura, in quest’ordito di parole radiose, ricamate dal giovane Vincenzo Consolo in memoria di un ignoto marinaio.

Helga Marsala

www.fondazionemandralisca.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

Scopri di più