Polonia avanti tutta. Anche con un bicchierino di troppo
Terminata la lunga ricognizione del mondo artistico balcanico, iniziamo a risalire l’Europa centrale. E approdiamo nel Paese più attivo sul fronte del contemporaneo. Almeno nei programmi. Perché i presupposti ci sono ancora tutti, ma un rallentamento è ben visibile.
“Un ventenne che ha bevuto un bicchierino di troppo”: così l’ex ministro delle finanze Jacek Rostowski aveva definito l’economia del suo Paese dinanzi alla prime crepe nell’eurozona. Immune alle intossicazioni, da titoli spazzatura e dalle speculazioni pericolose, il Paese aveva pochissimo da smaltire ai tempi della crisi. Correva l’anno 2007 e Varsavia guardava al proprio futuro con l’entusiasmo vagamente ingenuo di uno studente Erasmus. Una strategia di promozione culturale e valorizzazione del patrimonio culturale c’era da tempo.
Già nel 2004 il Ministero della Cultura aveva pubblicato un progetto di sviluppo decennale integrato da un corposo programma esclusivamente dedicato al contemporaneo. Una strategia messa in opera attraverso un’infornata di nuove istituzioni, associazioni e dipartimenti regionali, nonché dal potenziamento di quelle già esistenti. L’obiettivo era incrementare le collezioni pubbliche e, allo stesso tempo, di costruire nuovi musei e centri d’arte contemporanea. La capitale manteneva il primato, con un agguerrito zoccolo duro di nuove fondazioni e gallerie: l’attività di centri storici come Zacheta e il CSW Ujazdowski, e il Museo d’Arte Contemporanea messo in cantiere, almeno sulla carta, ben prima della vetrina semestrale data dalla presidenza di turno a Bruxelles e dagli Europei di calcio. Una politica di promozione dell’arte contemporanea “dall’alto” che prendeva slancio dalla consapevolezza di avere le casse meno vuote.
Si trattava, dopotutto, di un’esigenza dettata anche dalla necessità di riconoscere istituzionalmente un settore portato alla ribalta delle cronache internazionali dell’ultimo decennio grazie all’attività dei suoi artisti. La repressione nell’epoca del vassallaggio sovietico non aveva impedito agli operatori culturali polacchi di mantenere un contatto con l’esterno e di promuovere sottobanco i propri artisti ancora prima del 1989. Le gesta dei concettuali polacchi guidati da Jaroslaw Kozlowski e capaci di portare Fluxus, Victor Burgin e Richard Long nella galleria Akumulatory 2 a Poznań negli Anni Settanta appartengono ormai al passato. Anche i tempi delle wystawe walizkowe (“mostre in formato valigia”) del decennio successivo, organizzate alla chetichella nei sottoscala dei centri urbani durante il periodo della legge marziale, sono belli e andati. Inutile sperare invece in una spinta progettuale negli amarissimi anni della transizione al libero mercato, quando le preoccupazioni per l’immediato presente avevano sempre la meglio.
Il circo dell’arte e suoi spettatori all’estero sono comunque rimasti a guardare con fiducia Varsavia negli Anni Novanta, la cui reputazione internazionale è stata tenuta a galla da pezzi di artiglieria pesante. La visibilità delle opere di Katarzyna Kozyra, Miroslaw Balka, Piotr Uklański, Krzysztof Wodiczko e Zbigniew Libera nel jet-set dell’arte contemporanea hanno consentito di mettere da parte per un decennio carenze infrastrutturali decisamente vistose. Tutti nomi capaci di far parlare di sé tanto in casa quanto in trasferta, contribuendo a cambiare la mentalità del Paese. Tanto che ora le reazioni scomposte e le alzate di scudi indignate dell’epoca sembrano un fenomeno da museo, quasi quanto i memorabilia della Repubblica Popolare di Polonia. Lo ha ricordato Goshka Macuga in mostra alla Galeria Zachęta, riportando alla luce le censure e gli attacchi contro opere, artisti, curatori e direttori della prima metà degli Anni Novanta. Ed è accaduto anche con la recente retrospettiva di Kozyra a Cracovia, dove una scopa e un tubo, sollevati dai manifestanti e rinvenuti davanti al Museo Nazionale in un’anacronistica crociata contro l’artista polacca, sono prontamente diventati materiali per arricchirne la personale.
Il gioco a scandalizzare la popolazione rurale dei “berretti di mohair” – dal nome dei copricapo indossati dalle anziane seguaci di Radio Maryja – è diventato forse un po’ troppo facile, dopo nell’installazione Passion (2002) di Dorota Nieznalska, dove un pene veniva sovrapposto a una croce greca in legno. Ciononostante i cannoni dell’arte locale continuano ancora oggi a far discutere, coadiuvati da nuove leve tra le quali spiccano personalità come Karol Radziszewski, Agnieszka Polska, Wojciech Gilewicz, Agnieszka Kurant o Jerzy Goliszewski.
Ma se artisti e opere ci sono e non smettono di interrogarci, sarebbe ora di dargli una nuova dimora, o almeno una parete tutta per sé. Difficile trovare spazio per tutti nelle sale dei musei delle maggiori città polacche, gli ultimi dei quali costruiti a ridosso della Seconda guerra mondiale, seguiti da pochi spazi pubblici per esposizioni temporanee. La febbre per i musei è arrivata implacabile e contagiosa proprio nel periodo in cui i leggeri postumi del bicchierino di Rostowski si sono fatti sentire. Verso la metà del 2000 hanno iniziato a farsi largo nuovi centri di medie dimensioni a capitale misto pubblico-privato: Laźnia a Danzica, la Biennale e poi il WRO Art Center a Breslavia, senza dimenticare la nuova sede postindustriale del Muzeum Sztuki di Lódź. E alcune promesse sono state mantenute anche più recentemente, richiamando l’attenzione internazionale. Lo ha confermato il New Museum di New York che, in Beyond the Bowery, ha incluso nella sua Art Spaces Directory i già citati Laźnia, WRO e Bunkier Sztuki, il CoCa Znaki Czasu di Toruń, diretto dal 2010 da Dobrila Denegri, Bec Zmiana di Varsavia, Wyspa di Danzica, Kronika di Bytom.
La geografia del contemporaneo in Polonia, insomma, si è ridisegnata. Come leva di sviluppo per riqualificare aree marginali o dimesse tipo il quartiere Praga a Varsavia, che con la Soho Factory ha dato vita a un distretto di giovani gallerie e fondazioni, riviste, imprese innovative, atelier di moda e design, oppure la zona della Manifaktura di Lódź, dove la seconda sede del Muzeum Sztuki affianca un enorme centro commerciale. A Cracovia, il Mocak ha contribuito al rilancio del distretto di Zablocie, tra fabbriche abbandonate e negozi bio. E la politica di sostegno dell’arte contemporanea ha generato anche felicissime sorprese, come a Toruń e Bytom, città di piccole-medie dimensioni che ospitano due centri espositivi d’indubbio valore.
Oltre alle massicce nuove acquisizioni e a un’attività espositiva che ha valorizzato tanto la scena locale quanto la più interessante a livello internazionale, le nuove istituzioni si sono fatte concorrenza a suon di riviste e pubblicazioni, convegni internazionali, festival e hanno dato vita a una serrata attività di promozione dell’arte polacca all’estero, in molti casi votata tanto all’esposizione quanto alla produzione artistica. Non sono mancati poi programmi di residenza, dall’ormai tradizionale AIR dell’Ujazdowski (a Varsavia), che ospita una ventina di artisti ogni anno, al quale si sono affiancate negli ultimi anni le iniziative di nuovi spazi emergenti come il CSW di Bytom, la Galeria Bielska a Bielsko-Biała, l’Art Factory a Bialystok. E poi c’è la neonata Casa Keret di Varsavia, interessante progetto architettonico che darà vita, almeno nel prossimo biennio, alla più stretta residenza per artisti del mondo, larga appena 122 centimetri.
Il susseguirsi di nuove inaugurazioni non si è ancora concluso. A Breslavia siamo in attesa del Museo del Contemporaneo, che per ora deve “accontentarsi” degli spazi suggestivi del Bunkier Strzegomski. A Katowice si concluderanno il prossimo anno i lavori della nuova sede del Museo della Slesia, che rivitalizzerà il complesso sotterraneo di una miniera abbandonata, anche se con collezioni dedicate in parte minoritaria al contemporaneo, mentre anche a Stettino si aspetta l’apertura di un nuovo centro d’arte contemporanea nel 2013.
Nonostante un periodo non proprio felice per le casse comunali, Cracovia continua a mantenere il primato dei cantieri per la cultura. Il centro multidisciplinare Malopolska Garden of Arts è stato inaugurato nell’ottobre scorso. Intanto proseguono i lavori dell’imponente Museo Kantor, dove confluiranno due delle istituzioni cittadine dedicate all’eclettico artista polacco. E se non bastassero le attività di MOCAK, MCK, Bunkier Sztuki e Museo Nazionale, è appena stato ottenuto un finanziamento europeo di 20 milioni di zloty (circa 5 milioni di euro) per la creazione della nuova Galleria Europa-Estremo Oriente del museo Manggha.
Insomma, tutto a gonfie vele? Non proprio. A pochi giorni dalla fine della presidenza polacca dell’Unione europea, i postumi del bicchierino si sono avvertiti un po’ più pesantemente del previsto e sono arrivate le prime delusioni. Alcuni cantieri chiave per lo sviluppo del Paese non sono stati completati prima degli Europei di calcio. La travagliata realizzazione del Museo d’Arte Contemporanea di Varsavia in piazza Defilad si è risolta con un nulla di fatto, al quale farà seguito un terzo bando di concorso. Tutto questo ha scatenato l’indignazione e la mobilitazione dell’Obywatelskie Forum Sztuki Wspólczesnej, i cui appelli sono stati firmati dall’intero establishment della scena artistica polacca contemporanea. Attivo da parecchi anni, il Forum ha affiancato e sostenuto il successo del movimento Obywatele Kultury, muovendo in parallelo una propria campagna per il riconoscimento dei diritti degli artisti, sfociata nel maggio scorso in un’iniziativa che ha fatto discutere: lo sciopero dell’arte. L’accusa lanciata al governo era aver sfruttato l’immagine e la popolarità dei suoi artisti, continuando a fare cinicamente orecchie da mercante alla richiesta di discutere sui contributi che gli stessi artisti, come liberi professionisti, devono alla previdenza sociale. La protesta è riuscita a coinvolgere tutto il panorama artistico polacco, dai più ai meno noti, da chi può provvedere a un’assicurazione e una pensione estera, a chi si finge contadino per poter usufruire di un sistema medico e previdenziale agevolato. Il 24 maggio scorso la protesta si è estesa alla maggioranza dei centri artistici del Paese, che hanno abbassato le saracinesche per una giorno. Nonostante qualche segnale di apertura da parte del Ministero della Cultura, gli effetti sono ancora difficilmente valutabili. A tutto questo vanno aggiunte alcune difficoltà di sistema, da una rete di trasporti ancora deficitaria, passando per una certa pesantezza burocratica come più volte denunciato dall’Economist. Incide negativamente anche la scarsa collaborazione tra le istituzioni, che probabilmente pagano lo scotto di doversi guadagnare una propria visibilità prima di poterla condividere con qualcuno.
Chi immaginava che di punto in bianco Varsavia potesse diventare la nuova Berlino si è forse dovuto ricredere. Non si è sentito ancora il boom che ci si aspettava, eppure la crescita è davvero solida. I finanziamenti per la cultura hanno ancora il segno positivo e la Polonia continua a progettare e sognare, ma mantenendo questa volta il tasso di ebbrezza sotto controllo.
Giuseppe Sedia e Stefano Mazzoni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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