Sbarco a Volta Fair
La nostra Veronica Santi, fra le reporter da questa Armory Week, ha incontrato l’ideatrice e direttrice artistica di Volta, Amanda Coulson, insieme all’artista italiano Giacomo Costa. Il risultato? Una intervista a tre dove il punto di vista di chi sceglie e organizza ai vertici si specchia con quello di chi partecipa a questa fiera dal format unico.
Andiamo per ordine. Amanda ci racconti come nasce questa fiera?
Amanda Coulson: L’idea di Volta nasce a Basel nel 2006, quando però ancora non era presente il concetto dei solo show. Successivamente siamo stati invitati a partecipare nel 2008 qui a New York e la mia prima reazione è stata negativa, mi sembrava ci fosse già abbondanza di fiere “satellite” – Scope, Pulse e così via – e non volevo essere l’ottava fiera dell’Armory Week. Poi, dopo un periodo di riflessione, siamo diventati partner dell’Armory, appartenendo così alla stessa compagnia avevo la possibilità di dare qualcosa in più. Così ho notato che, come a Basel c’è Statement, poteva esserci una sezione simile anche all’Armory. Il concetto di Volta è molto forte e ci ha permesso di essere la seconda fiera in città e non una delle tante.
Oltretutto quest’anno vi siete spostati in uno spazio eccezionale…
A. C.: Sì, sono veramente contenta di questa nuova location, l’ultima era molto difficile da gestire. Soho era il cuore del fermento artistico degli Anni Sessanta e Settanta, adesso ovviamente tutto è cambiato, ci sono gallerie prestigiose e istituzioni importanti come il New Museum. Queste strade e l’aria che si vi si respira sono perfette per questa fiera.
Cosa ne pensi dell’Armory?
A. C.: Mmm… È un po’ difficile rispondere perché siamo in partnership, ma se ho fondato un altro tipo di fiera c’era un motivo. Io sono prima di tutto un critico d’arte e quando vado all’Armory, così come a Frieze o a Basel, non scopro niente di nuovo, non sono situazioni frizzanti, ma questo è un discorso soggettivo.
Come reagiscono i protagonisti del mondo dell’arte a questo modello di fiera?
A. C.: Curatori e collezionisti adorano questo concetto di solo show. Anche per il pubblico in generale è interessante, quando vai a una fiera e vedi un artista e poi due stand più avanti rivedi lo stesso artista ti annoi in qualche modo. Per le gallerie il discorso è un po’ diverso, all’inizio c’è sempre un po’ di nervosismo perché è difficile e impegnativo fare una fiera con un solo artista la cui presentazione deve essere necessariamente curata. Alla fine però anche le gallerie sono tutte molto soddisfatte.
E per un artista come te, Giacomo, come è stato partecipare a Volta?
Giacomo Costa: Questa è la prima volta che faccio una fiera con sole personali ed è molto bello perché è un confronto reale non solo con il mercato ma anche con altri artisti.
A.C.: Infatti, quello che dice Giacomo è un altro punto importante. Trattandosi di solo show, gli artisti scelti sono sempre presenti in fiera e questa è un’opportunità unica di incontro e conoscenza diretta. Per un curatore è come farsi 80 studio visit in un giorno. I collezionisti poi stanno qui anche quattro o cinque ore, si prendono del tempo per guardare la singola proposta delle gallerie.
Prendersi del tempo a una fiera, specialmente qui a New York, è un bell’ossimoro. Effettivamente, Volta non è una fiera esageratamente grande e, proprio grazie al suo meccanismo, è facile selezionare subito su cosa soffermarsi. Giacomo, tu sei uno che vai normalmente alle fiere?
G. C.: Per me le fiere sono importantissime, non tanto per la vendita quanto piuttosto per creare connessioni. In Italia gioco in casa e tutti mi conoscono, quando esco dal mio Paese è bello il confronto con un pubblico e una cultura nuovi.
Qual è l’artista che più ti ha colpito qui a Volta?
Non ce n’è uno in particolare… Però mi ha fatto piacere vedere che i pochi artisti italiani reggono senza problemi il confronto internazionale. A riprova che la creatività italiana è di alto livello, ma che si scontano problemi di sistema.
Oltre alla qualità, mi sembra che questa fiera sia completa, c’è un grande ritorno della pittura ma non mancano installazione, fotografia, scultura e video. Amanda, che criterio utilizzate per scegliere le gallerie?
A. C.: Solitamente non seleziono solo l’arte che mi piace, per me l’importante è che sia interessante o conflittuale. Nelle fiere classiche c’è meno libertà nella scelta, quando una galleria espone un grande nome è difficile dirle di no. Inoltre le gallerie scelte per Volta devono avere un rapporto speciale con l’artista che propongono. C’è un grande studio dietro a queste scelte: diamo un premio a chi ha investito su un artista, cioè a chi lo ha scoperto e lo segue continuando a esporre i suoi lavori nel tempo. Io le chiamo Mother Gallery.
Galleristi come talent scout ma anche come investitori. Una fiera così mette un punto al consolidamento di un rapporto professionale e di crescita reciproca tra artista e gallerista. Giacomo è così anche per te con Guidi&Schoen?
Il lavoro che Guidi&Schoen fanno da anni è talmente concentrato e mirato sulla mia crescita al di là della realtà della loro galleria che oramai sono più dei manager che dei galleristi.
Tra i lavori che hai selezionato per questa mostra c’è un paesaggio relitto-apocalittico con una strada sopraelevata che sembra l’High Line di New York sotto le più nefaste previsioni di un nuovo uragano Sandy….
L’High Line interpreta nella realtà alcune delle mie riflessioni circa il rapporto tra la natura violentata da dissennati modelli di sviluppo e la città. La natura tende a riappropriarsi degli spazi abbandonati dall’uomo prendendosi la sua rivincita. Mi fa piacere che questa mia indagine teorica e visiva, iniziata oltre un decennio fa, stia iniziando a diventare riflessione pubblica.
Posso fare io una domanda ad Amanda? Da dove viene il nome Volta?
A. C.: Volta viene dalla fiera a Basel e ha un’origine italiana, mi piaceva l’idea di energia da Alessandro Volta…
Veronica Santi
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