È ufficiale: la splendida collezione di pittura barocca appartenuta a Sir Denis Mahon (1910-2011), storico dell’arte, collezionista, filantropo e appassionato sostenitore dell’ingresso gratuito ai musei pubblici, è stata formalmente donata alla Gran Bretagna. Un lascito permanente ai musei inglesi in accordo con i desideri del suo energico proprietario. Ma a una condizione: che tutti coloro che amano l’arte possano vederla. Gratis. Un annuncio questo fatto il 19 febbraio scorso alla National Gallery di Londra che, con venticinque dipinti, è la maggiore beneficiaria della generosità di Mahon.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, curatore volontario, nel 1936 Mahon offrì un Guercino al museo londinese (Elia nutrito dai corvi, comprato a Roma due anni prima per 200 sterline) per poi vederselo rifiutare dall’allora direttore Kenneth Clark che, seppure apprezzando la qualità del dipinto, non ritenne opportuno neppure menzionarlo ai membri del comitato di gestione dell’istituzione, tale era all’epoca la mancanza di interesse nell’arte italiana del XVII secolo. Il tapino non poteva immaginare che sessant’anni dopo lo stesso dipinto sarebbe stato stimato circa 4 milioni di sterline. Fortunatamente, Mahon non si lasciò scoraggiare da quell’insuccesso e avendo capito che i tempi non erano maturi, decise di collezionare lui stesso i dipinti e di tenerli con sé fino a quando i musei nazionali non avessero compreso (e apprezzato) il suo gusto. Cosa che infatti è avvenuta, grazie anche (e soprattutto) all’instancabile impegno dello stesso Mahon.
Ora questa collezione di capolavori del Barocco italiano, che comprende nomi illustri come Guercino, Guido Reni, Domenichino, Ludovico Carracci, Luca Giordano, Pietro da Cortona, Giovanni Antonio Pellegrini e Giuseppe Maria Crespi (solo per citarne alcuni), e il cui valore complessivo alla morte del collezionista era di circa cento milioni di sterline, sarà ospitata in sede permanente in sei musei e gallerie britanniche, secondo il desiderio di Mahon. Otto presso le National Galleries of Scotland di Edimburgo, venticinque alla National Gallery di Londra, dodici all’Ashmolean Museum di Oxford, sei al Fitzwilliam Museum di Cambridge, cinque alla Birmingham Museums and Art Gallery e una a Temple Newsam House di Leeds. Ma è un dono, questo, fatto a una precisa condizione: qualora le istituzioni in questione dovessero decidere di re-introdurre l’ingresso a pagamento, i lasciti sarebbero immediatamente revocati e i dipinti ritirati. La stessa cosa accadrebbe se tentassero di vendere quadri appartenenti alle collezioni permanenti. Mahon ha sempre avuto le idee chiare sui fruitori della sua collezione, e giá nel 1999 annunciò che la sua raccolta sarebbe passata in mani pubbliche e che alla sua morte (avvenuta nel 2011 alla veneranda eta di cent’anni) l’amministrazione delle opere sarebbe stata trasferita all’Art Fund con le precise disposizioni che fosse esposta permanente in Gran Bretagna.
L’eliminazione dell’ingresso a pagamento a musei e gallerie nazionali britanniche (introdotto in epoca thatcheriana) da parte del governo di Tony Blair nel 2001 come parte di un piano per estendere l’accesso al patrimonio culturale della nazione a un publico più vasto, ha visto nel corso di un decennio quasi raddoppiare il numero di visitatori dei musei nazionali. Secondo un sondaggio condotto da Museum Association, durante il primo anno dall’introduzione dell’entrata libera, il numero di visitatori del Victoria & Albert Museum è aumentato del 111% portandolo da 1.1 milioni a 2.3 milioni. E le cifre hanno continuato a salire in tutto il Paese. Da allora l’ingresso gratuito ai musei nazionali è diventato una parte fondamentale della vita culturale britannica, tanto da portare il Segretario alla Cultura Jeremy Hunt ad affermare che “la cultura è di tutti, non solo di pochi fortunati” e di essere particolarmente orgoglioso dell’aver garantito il futuro dei musei gratuiti, nonostante l’attuale clima finanziario.
Ma quelli attuali sono tempi difficili e il principio di mantenere l’ingresso gratuito costa caro. I musei britannici (e gli organi che li sostengono) hanno dovuto prendere decisioni difficili, ma hanno preferito tagliare il personale amministrativo pur di mantenere un servizio di fama internazionale. Mahon aveva previsto tutto questo e sapeva che la minaccia dei tagli alla cultura avrebbe continuato a pendere sulle ricchezze dei musei come una spada di Damocle. Così inventò un ingegnoso meccanismo, la cui attuazione, dopo la sua morte, fu opportunamente affidata alle mani dell’Art Fund. Un meccnismo che ha il sapore di un ricatto. “Un ricatto” disse allora Mahon, “of course, pro bono publico.”
La sua fiera opposizione all’idea che il pubblico paghi per vedere qualcosa che gli appartiene di diritto, ha spinto Mahon a non donare direttamente nessuno dei 57 capolavori ai musei: le opere sono state lasciate in custodia all’Art Fund, che ha giurato di portare avanti le idee e i principi morali dello storico dell’arte. Fondato nel 1903, The Art Fund (in precedenza chiamato National Art Collections Fund) è un’organizzazione indipendente (non riceve aiuti da parte del governo o della Lotteria Nazional, ma affida la sua sopravvivenza agli abbonamenti di soci e donazioni pubbliche) e il cui scopo è raccogliere di fondi per aiutare l’acquisizione di opere d’arte per la nazione. L’Art Fund (di cui Mahon fece parte dal 1926 fino alla morte) oltre a concedere sovvenzioni e ad agire per conto di musei e gallerie d’arte e dei loro utenti, funge anche da canale per donazioni e lasciti. Non sorprende pertanto che Sir Denis abbia visto in questa organizzazione il custode ideale della sua collezione, nonché un fidato esecutore dei suoi desideri. Stephen Deuchar, il direttore, ha dichiarato: “Sir Denis Mahon è stato per tutta la vita un sostenitore dell’Art Fund e ha condiviso il nostro impegno di ampliare l’accesso pubblico gratuito all’arte. La sua visione come collezionista d’arte è stata straordinaria, come lo è stata la sua determinazione nel sostenere che la sua collezione dovesse essere visibile a tutti”. “È ancora un principio importante” continua Deuchar, “perché l’ingresso a pagamento costituisce una barriera”.
Nato a Londra nel 1910 e figlio di John FitzGerald il Mahon, un membro della famiglia che aveva prosperato della banca d’affari Guinness Mahon, Sir John Denis Mahon ha amato il Barocco quando era terribilmente fuori moda in Inghilterra. Una laurea a Oxford nel 1933, poi il nuovo Courtauld Institute di Londra, dove l’incontro con Nikolaus Pevsner, di cui seguì le lezioni sul Barocco italiano, lo porta a specializzarsi nello studio di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino. Fu nel 1934, durante in viaggio in Francia, che Mahon vide nella vetrina di un mercante d’arte parigino un quadro che riconobbe come un importante capolavoro perduto del Guercino. Non ebbe esitazioni e lo comprò, assicurandosi per sole 120 sterline il suo primo capolavoro. Si trattava di Giacobbe benedice i figli di Giuseppe. È l’inizio di una strepitosa avventura che dalla Gran Bretagna lo porta in Europa e da lì in Italia, a Bologna, Cento e a Ferrara, sulle tracce del Barocco italico. Nasce così, poco alla volta, la sua straodinaria collezione di opere italiane Seicento; una collezione formata nel corso di varie decadi.
Essendo ancora negli anni Trenta la critica d’arte anglosassone tutta impregnata delle idee di John Ruskin che disprezzava il Barocco e sosteneva che dopo il Rinascimento c’era stato più nulla, Manhon non spese mai per i suoi quadri più di 2000 sterline l’anno. E la cifra più alta pagata dallo studioso per un singolo quadro furono 2000 sterline per La presentazione al Tempio (1623), sempre di Guercino, comprato nel 1953. Un’enormità se si pensa che per alcuni disegni dello stesso Guercino aveva pagato 10 sterline. Poco più di un biglietto giornaliero della metropolitana.
Paola Cacciari
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