Un tedesco a Rovereto
Fra le collezioni ospitate del Mart, ce n’è una che eccelle per ampiezza e qualità. È quella raccolta da Volker Feierabend e che prende il nome di VAF-Stiftung. A occuparsene per il museo trentino è Daniela Ferrari, alla quale abbiamo chiesto di spiegarci nel dettaglio origine e obiettivi.
Daniela Ferrari, il trait d’union tra VAF-Stiftung e Mart. La definizione è calzante?
È una definizione che mi lusinga molto. Sono curatore e conservatore della collezione VAF-Stiftung come funzionario del Mart, il museo che dal 2001 possiede più di mille opere di questa collezione come deposito a lungo termine. Dal 2007 mi prendo cura di questa raccolta che vanta importanti capolavori del Novecento italiano, ma che si spinge fino alla più recente contemporaneità. Il catalogo generale è uno dei frutti di questi anni di lavoro, appassionato, impegnativo, ma davvero interessante per uno storico dell’arte.
Ci fai uno schizzo della figura di Volker Feierabend?
È nato a Berlino nel 1935. Dagli Anni Sessanta agli Ottanta costruisce una fortuna economica da autentico self-made man. Era un imprenditore nel ramo dell’import-export di abbigliamento e calzature per il mercato europeo. Nel corso degli anni viaggia per lavoro in tutta l’Italia e si innamora del nostro Paese. Nel mondo dell’arte è una figura “ibrida”: l’anima del commerciante si sposa con quella del collezionista e del connoisseur.
È grazie a questa doppia personalità che oggi la collezione vanta più di 2mila opere ed è rappresentata da circa 350 artisti diversi.
Raccontaci della genesi e dello sviluppo della collezione. E perché è incentrata sull’arte italiana.
Feierabend ha iniziato a collezionare con metodo a partire dal 1978 insieme ad Aurora, sua moglie: la sigla VAF cela infatti le iniziali dei loro nomi. I suoi nuclei collezionistici originari vantano mobili antichi del Settecento lombardo, porcellane, avori e arte orientale. Le sue prime acquisizioni di arte figurativa riguardano grandi nomi come Ernst, Miró, Kandinsky e Chagall. Vende tutto con l’intento di costituire una collezione coerente, che abbia un filo logico e che nel tempo assumerà la forma definitiva della raccolta della VAF-Stiftung.
Decide così di concentrarsi sull’arte moderna italiana, focalizzando inizialmente l’interesse sulla prima metà del XX secolo, dopo aver considerato il numero e la qualità delle collezioni di arte tedesca già esistenti. Si libera di conseguenza delle opere di artisti stranieri per potersi permettere altri acquisti. L’idea è creare una raccolta di arte italiana con capolavori del primo Novecento, ma con il tempo estende gradualmente gli estremi cronologici per arrivare all’arte di oggi.
Come nasce il legame fra Collezione VAF e Mart?
Gabriella Belli racconta di aver incontrato Feierabend quasi per caso. Conosceva benissimo la sua collezione e, parlando del nascente polo museale di Mario Botta, ha suscitato in lui grande interesse. È nato così un forte sodalizio che ha portato alla stipula di una convenzione di deposito a lungo termine tra la Fondazione VAF e il Mart. La prima volta che il pubblico del museo ha visto esposti i capolavori della collezione è stato in occasione della mostra di apertura del museo di Botta nel 2002 intitolata Le stanze dell’arte.
La VAF-Stiftung propone anche un premio biennale in memoria di Agenore Fabbri, con un assegno al vincitore di ben 20mila euro. Qual è l’origine di questi fondi?
La VAF-Stiftung è una fondazione tedesca, costituita nel 2000 con lo scopo di promuovere l’arte italiana del XX e del XXI secolo. Si tratta di un progetto ambizioso che si articola in varie attività: l’acquisizione di opere e la concessione in comodato del patrimonio a diversi musei in Germania e in Italia; il contributo finanziario a progetti o pubblicazioni che abbiano per tema l’arte italiana e, infine, l’assegnazione di un sussidio a giovani artisti italiani legato a un premio-concorso a cadenza biennale. La legge tedesca prevede che per la creazione di una fondazione sia necessario dotarla di un finanziamento iniziale e così ha fatto Volker Feierabend.
Alla collezione chi collabora? Ci sono advisor, un comitato, una commissione?
Dirigono la fondazione Klaus Wolbert in qualità di presidente amministrativo e Volker Feierabend con carica di presidente di un consiglio direttivo composto da Lóránd Hegyi, Norbert Nobis, Peter Weiermair e Silvia Höller. In passato hanno fatto parte del consiglio Manfred Fath, Evelyn Weiss e Dieter Ronte. I progetti e la curatela del Premio di arte contemporanea sono vagliati e organizzati dai membri di questo comitato, tutti già direttori di importanti musei in Germania e in Italia.
Fra le altre meritorie attività di Feierabend c’è quella editoriale, con la pubblicazione di importanti saggi e monografie, oltre a numerosi cataloghi generali. Chi segue questo aspetto e quali saranno le prossime tappe, dopo la recente uscita del catalogo della collezione?
Sono in programma il catalogo generale di Campigli a cura di Nicola Campigli e della Galleria Tega, una monografia dedicata a Davide Boriani curata da Lucilla Meloni, una dedicata ad Alberto Biasi curata da Marco Meneguzzo, il catalogo della sesta edizione del premio VAF-Stiftung curato da Klaus Wolbert. Infine, come corollario del catalogo generale della VAF-Stiftung, sto lavorando già da tempo al catalogo ragionato della collezione, che sarà necessariamente diviso in volumi e presenterà le schede storiche e scientifiche delle opere.
Entriamo un poco nel corpus delle opere. Una delle prime cose che si notano è l’abbondanza di opere di Agenore Fabbri. Qual era il legame tra Feierabend e lo stesso Fabbri?
Agenore Fabbri è stato come un padre per Feierabend. Fabbri, artista nato in provincia di Pistoia nel 1911 e morto a Savona nel 1998, è stato celebrato dalla Fondazione VAF lo scorso anno, per il centenario della nascita, con una mostra retrospettiva al Museo della Permanente a Milano e con l’uscita del catalogo ragionato nei due volumi dedicati alla sua opera scultorea e pittorica.
In collezione prevale la pittura, o in senso più ampio le opere “da muro”, mentre la fotografia è pressoché assente. Anche nelle mancanze, in sostanza, mi sembra che vi sia una scelta ragionata. Ad esempio, se andiamo per “aree”, Castellani è assente mentre ci sono diversi Bonalumi, e lo stesso discorso si potrebbe fare sulla presenza di Rotella e l’assenza di Schifano. Per non parlare dei più “giovani”: niente Cattelan o Beecroft, ma ci sono Daniele Galliano e Gabriele Arruzzo, Stefano Cagol e Arcangelo Sassolino, Luca Pancrazzi e Loris Cecchini. Per non dire delle “correnti” più note all’estero, Arte Povera e Transavanguardia, che sembrano palesemente escisse dalla collezione.
Attualmente la collezione può dirsi quasi totalmente rappresentativa dell’arte italiana dalla fine dell’Ottocento fino a oggi – le opere più antiche sono due cere di Medardo Rosso – con grandi assenti di cui si ha piena consapevolezza. Come accade per tutti i collezionisti, anche Feierabend ha subito innamoramenti, ricoprendo per molti artisti il ruolo di autentico mecenate, penso a Fabbri, appunto, Guttuso, Bonalumi, Dadamaino, Arcangelo, Melotti, Munari, Recalcati, Scheggi, Tirelli e Chiara Dynys, che ha vinto nel 2003 la prima edizione del Premio VAF-Stiftung.
Non tutte le raccolte conservano la ricchezza quantitativa originaria, ma va riconosciuto che la Fondazione VAF ha organizzato mostre monografiche contando quasi esclusivamente sul proprio patrimonio. La collezione di questa fondazione nasce, del resto, da una raccolta individuale e ne conserva l’impronta. Non va dimenticata l’attitudine di Feierabend a collaborare con musei e istituzioni culturali. Prima di approdare al Mart, la sua collezione è stata esposta in numerosi musei tedeschi. È questa la ragione per cui i protagonisti della stagione dell’Arte Povera e della Transavanguardia non sono presenti nella sua collezione. Nelle sedi museali dove le sue opere erano in comodato c’erano nuclei importanti di queste tendenze artistiche e così Feierabend ha deciso di concentrarsi su ciò che in quelle raccolte mancava. A ciò va aggiunto un criterio non irrilevante: quello del gusto. Feierabend, amante e profondo conoscitore dell’Espressionismo tedesco, ha confessato di essere poco sensibile alla Transavanguardia. Per quanto riguarda Cattelan, ritiene più semplicemente che sia troppo costoso.
La visione di Feierabend della storia dell’arte è particolare: non gli interessa che il suo museo immaginario sia rappresentato solo da capolavori consolidati, preferisce al contrario che un periodo storico artistico sia raccontato in tutte le sue manifestazioni espressive. Un esempio per tutti è la scelta di vendere i Fontana poiché al Mart c’erano già suoi capolavori e di concentrarsi sull’acquisizione di opere di artisti, forse meno noti, ma che nel museo non erano presenti.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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