I Magnifici 9. La trasferta
I Magnifici 9 alloggiano sempre sotto il cielo di New York, questa settimana però hanno sedi in tutto il globo e convivono entro un cerchio più stretto: le volte di Park Avenue Armory. AIPAD è l’occasione perfetta per fare quattro passi tra le più solide gallerie di fotografia del mondo e per tastare il polso dei loro collezionisti più incalliti.
La giovane terza età di Edward Weston. Si parte da New York, ovviamente. Robert Burge offre una portata abbondante di nature morte. Non esattamente una boccata d’aria fresca, né esattamente il tipo di immagini che un liceale appenderebbe sopra la scrivania. Le fotografie però suggeriscono due collocazioni ideali; le pareti beige di un corso in sala di posa, un lussuoso showroom di design, a sua volta natura morta. Bisogna dirlo, i vassoi funebri di Douglas W. Mellor, le farfalle di John Woolf, i fiori di Reenie Barrow non godono di una pecca; tutti vecchi nipoti di Edward Weston.
www.yaleburge.com
Così è se vi pare. Le gallerie che battono bandiera cinese pretendono sempre (o ancora) uno sguardo di particolare interesse. La 798 lascia a Pechino ogni residuo di Novecento, ogni remora sociale, politica o patetica e s’inventa uno stand da sogno; non necessariamente per la qualità delle opere ma per l’accento degli artisti proposti. Lo spazio della fotografia di 798 per questo AIPAD 013 è lo spazio delle possibilità, è lo spazio della creazione. Quello che non c’è s’inventa, quello che c’è ma non piace si manipola, quel che non si può manipolare non appare. Tutto cede al magistero di Photoshop, tutto è possibile nella fiction dell’arte, a patto di crederci.
www.798photogallery.cn
Oli e incensi, bianchi e neri. Finisce qui l’effetto Beijing. Alla Etherton si torna rapidamente al bianco/nero. Frederick Sommer e Danny Lyon iniettano una buona dose d’asfalto e d’affanno ben contenuto però dal porpora dello stand e dalle cornici nere, perfette. Tante opere e di piccolo taglio per far gola agli avventori. Ma su tutti impera lui, in un autoritratto del 1951, Irving Penn. È lui la vera celebrità di questa edizione di AIPAD, e forse lo sarà ancora. Il suo fantasma ricorre tenacemente tra gli spazi della fiera e qui, alla Etherton, campeggia in bella vista, solitario nel piccolo perimetro della sua parete, alla portata comoda e seducente degli sguardi.
www.ethertongallery.com
Virtù è differenza. La Weinstein tratta a Minneapolis come a New York un buon assortimento di opere, più vasto in termini temporali rispetto a tante consorelle di AIPAD. L’ideale palette della galleria contempla sia il bianconero sia le intonazioni tiepide degli scatti di Alec Soth. La Weinstein punta su qualità e dimensioni e Robert Mapplethorpe con Vera Lutter non possono che essere hit. Il primo – ripulito di ogni osceno – sciorina in quattro mosse il suo repertorio eternamente statuario, la seconda semplicemente sbanca.
www.weinstein-gallery.com
Ciò che è stato non più sarà. Allo stand della James Hyman la sfera del vintage bacia quella dello chic. I lavori in toni seppia superstiti del XIX secolo sono fuori competizione, la fotografia in questo caso vive un tempo oltre ogni accusa, fuori dai ranghi del confronto. Una veduta, una barca a mollo, il volto di un edificio. È questa l’età dell’innocenza, del gioco bambino, quando tutto è concesso.
www.jameshymangallery.com
Amerikanish denken. Dire “nuova fotografia” è forse azzardato, ma alla Robert Morat ci si riesce perlomeno a sporgere fuori dal Novecento, almeno quello prettamente cronologico, almeno quello strettamente inteso. La galleria di Amburgo strizza l’occhiolino al mercato americano con una selezione ben ponderata sui palati stelle-e-strisce. Shane Lavalette affabula il suo immaginario hipster e postgrunge, ma è Joakim Eskildsen il nome da annotare sulla moleskine.
www.robertmorat.de
Congerie e delitto. I nomi degli artisti della californiana Joseph Bellows sono il ritornello della fiera di Park Avenue, sono i tanti noti della grande avventura del XX secolo: Berenice Abbott, Ansel Adams, Edward Weston, Lee Friedlander, Andre Kertesz, Imogen Cunningham. I temi da questi trattati sono altrettanto noti e vari, comporre uno stand prendendo “di tutti un po’” condurrebbe a un risultato facilmente prevedibile: il modello patchwork. Joseph Bellows ha l’accortezza di tenere in fresco una scorta assortita di buoni assi e di allestire alle pareti una selezione di lavori e di nomi attorno all’immaginario del territorio americano: la piccola architettura, il paesaggio. E quando la fotografia è discreta, è spietata.
www.josephbellows.com
More is less. Anche per Neil Folberg vale la forma del doppio binario per trasbordare i vecchi collezionisti oltre la soglia del classico-contemporaneo. Chi credesse conclusa la stagione dell’odiatissimo lightbox deve fare i conti coi lavori di Ronnie Setter che alla retroilluminazione somma abbondanti interventi a graffio e un’addizione di figure 3D. Il risultato è un maquillage glassato che ha il merito di saper incuriosire, come le vetrine di Moreno a Natale.
www.visiongallery.com
Correnti e risacche. Il volto umano è il protagonista dello stand 122. Lo spazio della fotografia giapponese presentata da Picture Photo Space è lo spazio una realtà raffreddata e distante. Estinta la furia del ciclone anime, torna sottotraccia e fuori del sogno un modello normalizzato d’Occidente, una voglia svogliatamente trendy, stancamente in voga.
picturephotospace.blogspot.com
Luca Labanca
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