A Cuba si parla italiano. Almeno in Biennale
Plurale, aperta a incidenti estetici di varia natura e a formule creative che elogiano la partecipazione e la coesistenza. È “La Perversión de lo Clásico: Anarquía de los relatos / La Perversione della Classicità: Anarchia delle narrazioni”, la mostra che allestita nel Padiglione della Repubblica di Cuba alla prossima Biennale di Venezia. Un palinsesto di opere e progetti che, sotto la stella maestra del multiculturalismo, crea nuovi mondo possibili. Antonello Tolve ha intervistato per Artribune Giacomo Zaza, curatore del padiglione insieme a Jorge Fernandez Torres.
La mostra pensata per il Padiglione della Repubblica di Cuba nasce all’insegna della coesistenza e del multiculturalismo. Come si configurano questi due aspetti nel panorama visivo che hai delineato?
L’intento del progetto è quello di guardare in modo decentrato le pratiche culturali, fuori dall’appiattimento asservito al capitalismo globale. Le attitudini contemporanee entreranno in una sfera di piena libertà. Il Padiglione di Cuba sarà un luogo dove avranno sfogo esperienze differenti, che toccheranno diversi ambiti tematici e contesti, sociali, politici, esistenziali. La scena delineata sarà “polifonica” in quanto vedrà la convivenza e convergenza di pratiche artistiche internazionali, con artisti nati a Cuba e artisti italiani, portoghesi, cinesi.
Il progetto dà risalto al carattere “transnazionale” della ricerca cubana e degli artisti in dialogo con essa. Molti artisti prendono le mosse dal contesto in cui vivono (penso a Lázaro Saavedra o al regista portoghese Pedro Costra) per creare una riflessione allargata sul senso stesso della uguaglianza/inferiorità all’interno dell’attuale scena intrasociale e sulle capacità critiche, prima ancora che poetiche, dell’arte oggi. La mostra è la coesistenza di esperienze orientate su tutte le reti di valore e tutte le culture, comprese quelle inferiori.
Centrale è, tra l’altro, il tema della diversità. Intesa come brano riflessivo sui linguaggi dell’arte. Di un processo creativo che adotta materiali e tecniche di diversa estrazione e natura.
Vivendo in un mondo segnato da differenze geografiche, linguistiche, culturali, etniche, politiche, economiche, sessuali, nonché da una differenza di informazioni, gli artisti invitati sperimentano uno spazio-tempo fluttuante, capace di interpretare, discutere, “reinventare” questo mondo, un mondo della divergenza restituito continuamente dal network mediatico onnipresente. Gli artisti del Padiglione di Cuba non si soffermano sulla superficie della realtà filtrata e manipolata dai media, ma intendono operare nel mezzo delle questioni, tra le profondità del visto e del vissuto, sia tra le quinte che sul palcoscenico di un teatro dell’immaginazione, sovversiva e trasformativa, come può essere la scena processuale agìta da Gilberto Zorio. Artisti cubani, come Glenda León, Sandra Ramos e Tonel, lavorano mediante un sincretismo di linguaggi e una pluralità di tecniche, facendo confluire concetti e visioni, tracce storico-sociali, viaggi fantasticanti che vanno al di là dei confini fisici e mentali di ciascuna comunità culturale. Poter camminare sul ponte lungo dieci metri di Sandra Ramos, 90 Millas, significa poter attraversare metaforicamente lo spazio che separa due paesi, l’America e Cuba. Le opere di Francesca Leone nel Padiglione di Cuba sembrano svelare visioni inquiete, dove prevale una superficie incerta, e dove l’andamento della materia dipende da “strategie della pulsione”, che trasfigurano il corpo e il volto umani in una superficie materica indefinibile. Sono come “paesaggi” fluttuanti che vanno oltre la ritrattistica antica con cui dialogano.
Pertanto, centrale appare il tema della diversità dei linguaggi come “spostamento” incessante di idee e di questioni, entro una “mappa” di significati sempre aperta. Non a caso l’opera di Antonio Eligio Fernández, conosciuto come Tonel, è il risultato di un modus operandi che ingloba molteplici mezzi espressivi, dal disegno a parete all’assemblaggio di oggetti e alla scrittura, al fine di veicolare il simbolico, il cosmo, la nazione, la geografia del corpo.
Sette artisti cubani in dialogo con sette artisti internazionali per concepire, inoltre, un’analisi sullo spazio museale. Di cosa si tratta?
Più che un’analisi sullo spazio museale, si tratterà di una formula di duplice dialogo, il primo tra artisti cubani e artisti internazionali, il secondo tra contemporaneo e archeologico all’interno del museo, così come è avvenuto a Parigi per un ciclo di mostre di artisti contemporanei in simbiosi con autori del Museo d’Orsay. Dunque si avrà, oltre al dialogo tra le esperienze individuate per il Padiglione, da una parte la ricognizione sul passato, con i reperti delle condizioni mentali e ideologiche delle civiltà (dal ritratto tipologico greco, quale manifestazione della polis o della divinità, al busto onorario romano), dall’altra un’archeologia intrecciata e veloce del contemporaneo secondo un “percorso” disconnesso da ogni esegesi funzionale e storicista. Il fruitore oscillerà tra passato, presente, e futuro, perdendo tuttavia la riconoscibilità del presente, e soprattutto la cognizione del passato.
Puoi farci qualche esempio?
Ci sarà un continuo transito da un contesto a un altro. Ci saranno dei livelli di contatto tra motivi dell’arte antica e opere di artisti contemporanei, ad esempio le opere di Hermann Nitsch in connubio con la figura di Dioniso, chiaro riferimento ai rituali dionisiaci, allo stravolgimento delle strutture logiche, morali e sociali, a quella potenza dionisiaca che, secondo Friedrich Nietzsche, riconcilia l’uomo con la natura. Il “teatro delle orge e dei misteri” di Nitsch, di cui il Padiglione presenterà l’azione svolta in occasione dell’ultima Biennale dell’Havana (2012) diretta da Jorge Fernandez Torres, richiama proprio l’istinto, il caos e l’irrazionalità dionisiaca. Si vedranno citazioni scultoree del contemporaneo, con vena critica e sarcastica, quali i busti di Bin Laden nell’installazione di Wang Du e il busto di Marx nell’opera site specific di Saavedra. Non mancheranno convergenze e collisioni con la cultura classica, nonché l’intrinseca retorica accademico-didattica del museo: l’ideale e la bellezza, tanto esaltate nel Rinascimento e nel Neoclassicismo, verranno contaminate dall’intervento “profano” pensato nella sala detta degli Imperatori da María Magdalena Campos & Neil Leonard. Questo intervento consisterà in una grande installazione con tante gabbie al cui interno alcuni piccoli monitor trasmetteranno video-suoni e alcune immagini delle labbra degli imperatori.
Quale parametro è stato adottato nella scelta degli artisti?
Insieme a Jorge Fernandez Torres sono stati selezionati artisti protagonisti della scena cubana e di quella internazionale, insieme a outsider, capaci di smuovere lo standard espositivo della Biennale di Venezia, e sperimentare nuovi i contesti linguistici. Artisti che veicolano una esperienza allo stesso tempo sovversiva e decostruzionista. L’insubordinazione si dichiara un’attitudine con cui depistare l’esistente codificato, mentre la decostruzione smonta l’esistente per rivitalizzarlo. Sono artisti assetati di esplorazioni visionarie e immaginarie, per istituire una diversa realtà giammai utopistica, ed anche di riflessioni riguardo l’“immaginazione al potere”, quel potere economico, mediatico, politico. Il loro è un viaggio che prevede il possibile e l’improbabile, la malinconia e l’humor, la critica e l’impulso. Il viaggio è verso un perentorio sfalsamento di stereotipi.
Nel concept mostri una via di lettura che, se da una parte evidenzia la condizione attuale dell’arte e della vita (una condizione legata alla deterritorializzazione, alla pluralità, all’erranza culturale di stampo globale), dall’altra pone l’accento su “una proiezione internazionale del Padiglione di Cuba della Biennale di Venezia” che rivendica “pienamente il nuovo carattere multietnico della realtà cubana, teatro, oltre che di frontiere linguistiche, ideologiche, mitiche e culturali, di un nomadismo d’idee e di una crescente immigrazione giovanile”.
Il dialogo interculturale e umano proposto dal Padiglione della Repubblica di Cuba ribadisce il carattere ricettivo della “rete” culturale cubana. Conferma un’internazionalità dell’arte cubana in relazione ad esperienze importanti del mondo artistico, penso all’esperienza “estrema” di Pedro Costa – film che parlano del destino della gente venuta dalle ex colonie africane per lavorare nell’edilizia portoghese, diseredati e abbandonati ai margini – inoltre alla presenza di H.H. Lim, autore di una un’installazione, appositamente realizzata, composta da tre gabbie sigillate di diverse dimensioni e inserite l’una dentro l’altra, come una sorta di “scatola cinese”, che racchiude un cactus, metafora di un paese (Cuba) che ha incentrato la propria vita su una dura legge di sopravvivenza: simile ad un cactus nel deserto. Anche se il terreno del deserto non è fertile, questa specie vegetale riesce a sopravvivere.
Un’altra rivendicazione del progetto: proiettare a Venezia l’internazionalità della Biennale dell’Avana, ambito indiscusso di sperimentazione/veicolazione dell’arte contemporanea; e ribadire il dibattito artistico che viene fatto sull’isola di Cuba, il senso di una piattaforma di scambi e di dialettiche dentro e fuori il territorio.
Chiuderei questo nostro dialogo centralizzando l’attenzione sul titolo che hai dato (assieme a Jorge Fernandez Torres) alla mostra. La Perversión de lo Clásico: Anarquía de los relatos – La Perversione della Classicità: Anarchia delle narrazioni. Si tratta di una via di fuga (da parte dell’arte) all’embargo culturale? Di una rivolta creativa? Di una protesta? Di una voce estetica che vuole farsi sentire?
Il titolo nasce dalle riflessioni intorno al contesto nel quale si andava a inserire il Padiglione, ovvero nelle sale del Museo Archeologico di Venezia. Partendo da una scena a più livelli, un insieme di gesti intermediali e atti intersoggettivi, si approda ad una forma di “anarchia” dei significati e delle narrazioni. Questa è da intendere non solo come estensione del campo dei significati, non regolamentati da un canone, ma anche come verità contraddittoria, perversa in virtù dei suoi continui “attentati” alla normalità, ai discorsi politicamente corretti.
Antonello Tolve
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