Filippo Del Corno: la cultura come condivisione
Una intervista a tutto campo con Filippo Del Corno, musicista e compositore che ha ereditato la guida dell’assessorato alla cultura del Comune di Milano, dopo l’improvviso allontanamento di Stefano Boeri. Da Brera all’ex Ansaldo, dal PAC a Palazzo Reale, ecco le possibili sorti degli spazi culturali a Milano. In attesa dell’Expo.
Milano, 17 marzo 2013. “Sono molto sorpreso da questa rottura, che per me è del tutto ingiustificata”. Così Stefano Boeri, intervistato dalla Rai, ha commentato la sua uscita dalla giunta del Comune di Milano. Il sindaco avrebbe dovuto solo sostituire i dimissionari Bruno Tabacci e Maria Grazia Guida, ma l’occasione ha portato anche a pronunciare l’addio all’uomo meno amato: l’Assessore alla Cultura, Moda e Design. A distanza di qualche ora, ecco comparire i tre nuovi nomi dell’Amministrazione milanese, comunicati con nota ufficiale da Palazzo Marino. Nell’ordine: Carmela Rozza, Francesca Balzani e Filippo Del Corno, (Milano, 1970). Del Corno eredita dunque le importanti deleghe alla cultura del capoluogo lombardo, e sarà lui a “traghettare” la Milano culturale verso il grande traguardo di Expo 2015.
Chi è il nuovo assessore alla cultura di Milano e che cosa significa, oggi fare cultura a Milano?
Sono un musicista e compositore che ha deciso di dedicare i prossimi tre anni alla straordinaria ricchezza della città di Milano. Oggi fare cultura nel capoluogo lombardo significa guidare l’emergere di potenzialità espressive e comunicative già intrinseche alla rete attuale di attività urbane. Esiste infatti una ricchissima produzione culturale che, a causa della congiuntura economica, della difficoltà – tra le istituzioni, le associazioni, gli enti e i diversi interlocutori – di fare massa critica e di unire le forze in dialogo, rischia di soffocare la vitalità della città.
Grande Brera, grande novità. Quando cominceranno i cantieri? Quali sono i budget e i tempi concordati? E quali gli obiettivi del nuovo Polo?
Anche se il Polo si inserirà nel cuore della città e nel pieno delle attività dell’Assessorato, tecnicamente io non sono la persona che può rispondere a questa domanda. La gestione dei bandi di gara e degli appalti non spetta al Comune, ma al Ministero per i Beni e per le Attività Culturali. Naturalmente faremo tutto quanto in nostro potere per seguire il progetto, cercando di facilitarne in tutti i modi possibili gli sviluppi.
Come verrà gestito in futuro l’OCA? La Barley Arts termina il proprio mandato a maggio, chi si occuperà della programmazione degli spazi?
Prima di tutto si procederà con la valutazione della gestione sperimentale di questi mesi affidata alla Barley Arts. Gli spazi dell’Ex-Ansaldo, nel frattempo, da maggio fino alla ripresa autunnale, saranno interessati sia internamente che esternamente da lavori di recupero, che permetteranno di aggiungere locali disponibili a quelli già esistenti. Sebbene non sia possibile ancora stabilire con certezza quando verranno ultimati i lavori, il secondo mandato di gestione esterna dell’OCA verrà affidato in seguito a un bando, che individuerà, anche in base alle disponibilità degli spazi, le modalità di utilizzo degli stessi. È necessario ricordare che la stecca occupata dalle Officine creative attualmente ricade nelle competenze dell’Assessore Tajani, che ha ricevuto dal Sindaco le deleghe per la Moda e il Design.
Il nuovo Museo delle Culture (area dell’ex Ansaldo), come lei stesso ha sottolineato durante un’intervista, deve diventare una sfida per gli artisti a pensare il loro lavoro in rapporto alla multiculturalità. Concretamente, che differenza tra interculturalità e multiculturalità, e come si può sottolinearla attraverso l’arte?Gli spazi dell’area ex-Ansaldo devono diventare un laboratorio per l’intera cittadinanza, interagendo con il Museo delle Culture, il quale, a sua volta, non deve rimanere un mero luogo espositivo dei diversi apporti etnografici, ma deve stabilire scambi continui e vivi, volti a ibridazioni, fecondazioni e coabitazioni quotidiane fra le genti. Le diverse culture dovranno qui compenetrarsi e interagire tra di loro: ecco quel che comprende la visione di una multiculturalità partecipata.
Il Museo della Culture di Chipperfield instaurerà una nuova relazione con lo spazio urbano: come cambierà l’arte, ponte di collegamento tra l’interno e l’esterno di via Tortona?
Gli spazi verranno sicuramente inaugurati nella primavera del 2014. Marina Pugliese ha curato il progetto scientifico del Museo insieme a Carolina Orsini e il direttore verrà individuato attraverso un bando. Il Museo delle Culture, a partire dalla propria conformazione architettonica e dalla posizione urbanistica, è un museo che deve essere non solo scoperto e conquistato, ma anche abitato, grazie, ad esempio, alla presenza del Forum Città Mondo. Vivere il museo significa, fin da ora, pensare a una progettualità che trasformi ed estenda il concetto di visita ai diversi iter espositivi, attraverso attività satelliti che si ramificano nel quotidiano. Il Museo delle Culture deve diventare un luogo che attiri l’attenzione di diversi pubblici, producendo nuova energia volta a generare idee, progetti e visioni.
Chi si occuperà, esternamente o internamente al suo staff, di promuovere l’arte contemporanea a Milano? Come pensa di riuscire a intersecare arte moda e design, che sarebbe l’optimum per questa città?
Ho deciso di non procedere con l’assegnazione di incarichi singoli per singoli ambiti di competenza dell’Assessorato. Io credo nella capacità di team, di uno staff di coordinamento. Un gruppo che crei proposte, che vagli progetti e con il quale io personalmente ho intenzione di dialogare moltissimo. Per quanto riguarda l’arte contemporanea ho già iniziato, ad esempio, a conferire con Paola Nicolin sui tutti i progetti precedentemente approvati e in via di realizzazione. Ma ritengo che una singola assegnazione di un responsabile, una sola musa, in tutti i settori – dalla musica, al cinema all’arte contemporanea stessa – non favorisca la condivisione di obiettivi e di ricerche, di cui la città di Milano necessita.
Potrebbe farci un esempio strategico di come Palazzo Reale potrebbe ospitare mostre di contemporaneo e di come, invece, il PAC possa finalmente diventare un luogo con una propria identità e smettere di essere un contenitore?
Il PAC è, e deve restare, un luogo centrale, un fulcro strategico deputato all’arte contemporanea, non solo un mero luogo espositivo. Lo spazio di via Palestro deve fornire un’esperienza sull’arte. E per farlo bisognerà attivare percorsi di visita sulle opere esposte, seminari, residenze per artisti, laboratori didattici e altre occasioni per coinvolgere, a più livelli, diversi pubblici di riferimento. Il PAC deve testimoniare come gli intrecci di linguaggi possano diventare un patrimonio condiviso, mentre Palazzo Reale deve cominciare a essere inteso come un terreno all’interno del quale declinare diverse specificità, mettendo in risalto, attraverso il contrasto di specifici segni, l’arte del passato a confronto con il presente. Ritengo infatti che il contemporaneo, quando viene esposto e immerso nei riferimenti del passato, acquisisca nuovo senso, costituendo ponti tematici, figurali ed espressivi, sebbene l’arte dell’immediato resti comunque preposta a suscitare dibattiti e polemiche.
Quali sono i budget che il Comune ha messo a disposizione per la Cultura? Verrà dato seguito al programma di mostre completamente prodotte dal Comune?
Il nostro budget sta vivendo un periodo di enorme sofferenza delle risorse pubbliche, crisi che comunque interessa tutti gli assetti della politica e della vita pubblica di Milano. Al momento, stiamo aspettando l’approvazione del budget al 30 giugno 2013 e temo sia impossibile confermare cifre assolute che quantizzino le nostre future disponibilità. Bisogna, però, stipulare un patto con il Privato che fornisca un modello di gestione lasciando al Pubblico la governance di spazi e contenuti. La trasparenza nei rapporti fra i due emisferi e l’indipendenza necessaria per un alto livello delle proposte, ovviamente, devono rappresentare gli elementi chiave per condurre un dialogo che rispetti le aspettative di entrambi.
Durante un’intervista ha dichiarato che la Cultura a Milano dovrà “cominciare a misurarsi con i temi posti da Expo2015”. Potrebbe fare alcuni esempi in merito e strategie di marketing territoriale sull’Expo?
Avere un confronto con i temi dell’Expo significa ripercorrere e attraversare quel filo rosso di pensieri che devono necessariamente interrogare le coscienze di artisti e operatori culturali, rendendo sostenibile l’azione di nutrire e preservare il pianeta. Data questa premessa, l’azione di marketing deve valorizzare il patrimonio iconico della città, come marcatura identitaria e immagine della storia di Milano. Gli stranieri associano, ad esempio, al nostro capoluogo, il Cenacolo, ma spesso ci si dimentica, o non si riesce a far emergere, tesori e nomi che possono avere in sé le medesime potenzialità, oltre che pari valore culturale. Questi giacimenti devono essere opportunamente inseriti nella produzione dell’immaginario urbano inserendosi appieno in sintonia con il patrimonio architettonico. Parlando ad esempio delle esposizioni che interesseranno il Castello Sforzesco, anticipo che nello spazio deputato a diventare una sorta di gate, di accesso simbolico all’Expo 2015, compiremo la prima operazione di valorizzazione delle opere appartenenti alla città; esponendo i Sette Savi di Fausto Melotti, realizzati appositamente per il Liceo Carducci e da noi restaurati. Sarà un momento forte che si misurerà con altri vettori importanti che culmineranno nell’Expo2015.
Che rapporto instaurare tra cultura e sostenibilità? E i privati quale ruolo potrebbero ricoprire in questo dialogo? Come intende coinvolgerli e far partecipare di più le aziende in un contesto di zero o pochi finanziamenti pubblici?
Ritornando al tema del patto, sarà fondamentale che i privati non solo vengano sollecitati, ma anche sfidati a partecipare della vita culturale pubblica. Saranno infatti previsti incarichi assegnati attraverso l’utilizzo di bandi, strumento che diventerà il principale attivatore di contatti diretti affinché il Privato possa intervenire pienamente e non con il semplice ruolo di bancomat. L’epoca in cui un soggetto si rivolge al settore pubblico per ripianare i propri investimenti è decisamente finita.
Durante un’intervista ha espresso la volontà di “dimensionare la potenza propositiva di Milano”. A cosa faceva riferimento?
Intendevo che la forza culturale di Milano dovesse essere dimensionata, nel senso che deve essere fornita la giusta cornice all’interno della quale esprimere e canalizzare ogni specifica potenzialità. D’altronde, ritengo che al momento sussista un deficit di conoscenza in merito perché manca una mappatura che costituisca una forma definitiva delle nostre attività e delle nostre possibilità.
Riprendo una sua recente dichiarazione: “La Milano di oggi è attraversata da molte sacche di esclusione, essenzialmente sociali ed economiche, ma anche propriamente politiche, linguistiche, perfino religiose. Il reticolo di queste sacche genera una frammentazione tribale del tessuto sociale, tanti clan numerosi in perenne e rabbioso conflitto. È necessario trasformare questo arcipelago di genti in una comunità coesa, che condivida un senso profondo di partecipazione e appartenenza.” Da Assessore della Cultura come rendere possibile questo augurio, questa visione per il capoluogo lombardo?
Creando momenti di felicità condivisa per tutti. Mi auguro che la gente, attraverso la cultura, possa riconoscersi come componente di una comunità che ambisca a vivere e a fruire di alti momenti di trasmissione del pensiero. Proprio com’è successo qualche sera fa, durante un concerto di Davide Cabassi, nel quartiere di Baggio, area che, sebbene sia considerata periferica, ha in realtà riunito un pubblico così eterogeneo e di così diversa formazione culturale, da farmi intendere quanto vivere trasversalmente la cultura rappresenti, prima di tutto, un’importante sospensione di qualsiasi pregiudizio.
Ginevra Bria
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